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Riportare i Marò a casa? Bastano 5 minuti!

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Ignazio La Russa con Edoardo Sylos Labini

Ignazio La Russa con Edoardo Sylos Labini

E’ un’estate molto OFF, anche per il dibattito politico. La serie di interviste realizzate a Riccione Incontra parla chiaro. Anche la stagione balneare può essere fertile di spunti e suggestioni (oltre che di ricordi e entertainment). Proponiamo le quattro interviste cult dell’estate 2015 per i lettori de ilgiornaleoff.it

MATTEO SALVINI A TUTTO CAMPO, DALLA QUESTIONE IMMIGRATI ALLA MAGISTRATURA

IGNAZIO LA RUSSA: DAGLI AMORI DI GIOVENTU’ AI MARO’

IL GRILLINO ALESSANDRO DI BATTISTA: RENZI CI PORTA AL FALLIMENTO

IL DELFINO DI BERLUSCONI, GIOVANNI TOTI NON TEME IL VERDINEXIT

 

 

 

 

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“La sinistra conosce più i banchieri degli operai”

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La rockstar della politica. Come se arrivasse un Pallone d’oro. Come se arrivasse Vasco Rossi. Folla oceanica. Lui s’inabissa tra le mani che lo vogliono toccare, i telefonini brillano ovunque, come reperti stellari. Lo toccano, ovunque. Come fosse un re taumaturgo, uno che può curare dal male. Matteo Salvini, il politico del momento, dicono. Segretario della Lega Nord dal 2013, parlamentare europeo, elegantissimo. “Renzi ha passato un quarto d’ora durante una assemblea del Pd a parlare delle magliette di Salvini. Pazzesco. Un premier così è un problema per l’Italia”. Granata di applausi, di grida. Nell’ambito della rassegna Riccione Incontra, in villa Mussolini, Giampaolo Rossi, giornalista de il Giornale, tenta di indagare Salvini.

Milano bucolica. Rimpiango la civiltà senza telefonino. “Andavo alle elementari a piedi, alle medie con l’autobus, la 95. Adesso mio figlio sull’autobus, a Milano, non lo mando, con la gente che c’è in giro. Rimpiango la civiltà prima del telefonino e dell’i-pad, si stava da Dio. Rimpiango il gettone telefonico. Adesso chi riesce a vivere per due settimane senza cellulare?”.

L’importante è la difesa. Nel calcio come in politica. “Facevo il terzino, nella Vercellese, una squadra in fondo a via Novara, a Milano, una zona dove adesso ci sono solo prostitute e si fanno ben altri giochi. L’ho detto anche a Berlusconi: le squadre forti nascono dalla difesa. Lo stesso vale per i partiti: prima del genio solitario c’è la militanza, la base”.

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Tangentopoli e Mafia Capitale: se sbagli a sinistra è meno grave. “Durante Tangentopoli si sfogliavano i quotidiani per leggere il toto-arresti del giorno, c’era un’aria pesante e di liberazione. Certo, alla luce di Mafia Capitale c’è da dire che non molto è cambiato. Furono puniti in molti, allora. Gli unici che non pagarono allora sono quelli che non pagano oggi, i compagni. Sbagliare a sinistra, si sa, è meno grave”.

Perché non mi è ancora arrivato un avviso di garanzia? “Sono un uomo onesto, trasparente. Anche perché se hai scheletri nell’armadio non cambi il mondo, e io con la Lega voglio vincere le elezioni e cambiare il mondo. Mia nonna diceva ‘male non fare, paura non avere’: ma con certi giudici italiani anche se ‘male non fare, paura avere lo stesso’. La Lega Nord cresce nei sondaggi, Salvini funziona, mi domando spesso perché non mi sia ancora arrivato un avviso di garanzia. Arriverà, statene certi. Diranno che Salvini ha rubato un lecca-lecca o ha sputato per terra, ma arriverà. E mi difenderò”.

Giudici politici, un male italiano. “Toccare certa magistratura è peggio che toccare i fili dell’elettricità. Non si capisce perché se un medico sbaglia paga, se un imprenditore sbaglia paga, ma se un magistrato sbaglia pagano altri. Vogliamo la responsabilità civile per i magistrati. Giudici che fanno politica? Un male tutto italiano”.

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Intercettazioni per sputtanare a casaccio. “Rosario Crocetta è il peggior amministratore della Sicilia che ricordi. Deve andarsene per questo. D’altra parte, penso che in un Paese normale se l’intercettazione per cui è stato sputtanato Crocetta sulla stampa si dimostrerà falsa, quei giornalisti che la hanno divulgata debbano andare in galera, perché quella non è libertà di stampa ma libertà di diffamazione. Ma lo sapete che le intercettazioni non sono gratis, che ci sono centinaia di persone pagate per ascoltarci? Esistono decine di migliaia di nastri con le nostre chiacchiere, è orribile, una roba da regime, da Unione Sovietica. Le intercettazioni vanno usato quando c’è certezza di reato, non per sputtanare a casaccio una persona. Immaginate se intercettassero qualcuno di voi per una settimana: cosa direste di vostra moglie, del collega di lavoro, dei vostri parenti?”.

Il bello dell’Italia sono i campanili. “Il bello dell’Italia è la sua diversità. La Romagna è la Romagna, l’Emilia è l’Emilia, Riccione non è Milano Marittima come Brescia non è Bergamo e il Salento non è la Puglia. L’Italia è bella perché ci sono i campanili, le identità, le lingue. Siamo belli perché siamo diversi. Ma l’Europa vuole distruggere questa ricchezza”.

Le battaglie di sinistra? Le faccio io. “Ci sono temi come la difesa degli ultimi, l’attenzione alle disabilità, alle fragilità, all’ambiente, verso i genitori separati, che teoricamente sarebbero di sinistra, ma che la sinistra ha abbandonato perché Renzi conosce più banchieri che operai. A me quei temi appassionano. Pensiamo all’ambiente. Per noi non significa che non bisogna toccare gli alberi, che cretinata, ma che della montagna deve avere cura chi abita in montagna”.

Mano tesa e pugno chiuso. Due saluti, due misure. “Destra e sinistra sono concetti ormai passati. Come l’opposizione tra fascismo e comunismo, entrambi periodi storici da studiare. Solo che non si capisce perché il saluto con la mano destra tesa sia illegale mentre il pugno sinistro chiuso no. Visto che il comunismo ha fatto più morti del fascismo, o puniamo entrambi o nessuno”.

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Umberto Bossi: venerazione assoluta. “Per Bossi avevo una venerazione assoluta. Nella mia camera da adolescente avevo tre poster: Franco Baresi, Bossi e Miriana Trevisan di Non è la Rai, che a pensarci oggi, visto che mi schifa, è l’unico poster che strapperei. Bossi mi ha cambiato la vita, mi ha aperto una nuova visione del mondo. Ricordo che tra i militanti si raccoglievano come una reliquia i pezzi del sigaro consumato da Bossi. Non mi sentirete mai dire una brutta parola su di lui, né tanto meno qualcosa come ‘Bossi stai sereno’. Se faccio politica lo devo a Bossi, devo tutto a lui”.

Famiglia allargata, un casino. “Ho due figli da due donne diverse, entrambe intelligenti. I bambini sono sereni, anche se la famiglia allargata, in Italia, è un vero casino. Io sono fortunato, non lo sono in tanti: donne e padri con i bambini a carico, in grande difficoltà. Questa è una emergenza vera: intendo varare una legge per famiglie con problemi, altro che 80 euro al mese in busta paga…”.

Non avere paura di chi è migliore di te. “Salvini sarà capace di guidare la Lega? Me lo domando tutti i giorni. Intanto, mi sono circondato di ottime persone. Non bisogna avere paura di chi è migliore di te e io ho sempre preferito avere al fianco chi ha qualcosa da insegnarmi. Al contrario di Renzi, che sceglie chi è meno bravo di lui per svettare”.

Giudizi politici. Giorgio Napolitano: “traditore. Perché ha svenduto l’Italia all’Europa. E nel 2011 ha avallato una porcata come il Governo Monti, a colpi di spread, per ribaltare un Governo eletto”. Sergio Mattarella: “non lo conosco, perché rifuggo dalle cerimonie, dai cortei, dai cocktail. Al Quirinale sono stato la prima volta qualche settimana fa: ho chiesto al Presidente della Repubblica di aiutare a varare una legge che superi la “Fornero”, finalmente. E ho chiesto la grazia per Antonio Monella, da undici mesi in carcere a Bergamo che ha purtroppo ucciso il rapinatore albanese che voleva derubarlo. Quel posto in galera può essere utilmente riutilizzato per altri”. Angelino Alfano: “come Ministro della Giustizia, onesto; come Ministro dell’Interno, incapace”. Laura Boldrini: “con tutto il rispetto istituzionale che si deve a una carica dello Stato, una saccente vuota”. Silvio Berlusconi: “il mio Presidente. Con il Milan ha vinto tutto”. Marine Le Pen: “una donna straordinaria, determinata, intelligente, capace. Nel 2017, se vince in Francia, cambia davvero il mondo”. Martin Schulz: “il tipico tedesco che tenta di fare ciò che 70 anni fa la Germania non è riuscita a fare”. Barack Obama: “in politica estera il peggior presidente degli Stati Uniti che io ricordi, non ne ha azzeccata una neppure per sbaglio”. Vladimir Putin: “tosto. Le sanzioni contro la Russia sono uno degli errori più madornali che abbia fatto l’Europa”.

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Non siamo più in un film di “Rocky”. “Non vale più il contrasto Russia-Stati Uniti, sono finiti i tempi dei film di Rocky. Bisogna dialogare a Oriente come a Occidente, un premier dovrebbe volare ogni settimana a Washington come a Mosca”.

Razzisti noi? Una risposta alla Kyenge. “Il razzismo è una brutta cosa, uno deve essere idiota per credersi superiore a qualcun altro per il colore della pelle, perché è magro o biondo… La Lega non è razzista, e all’ennesima volta che la Kyenge mi ha accusato di razzismo l’ho querelata. Quando la sinistra non sa più cosa dire ti accusa di essere razzista, fascista, nazista”.

Immigrazione. Cerchiamo di capirci. “Chi scappa da una guerra deve essere ospitato, anche in casa mia. Ma la maggior parte dei migranti, il 70%, non scappa da una guerra, noi li manteniamo, ci prendono i fondelli e qualcuno si arricchisce con il business dell’immigrazione clandestina. Vorrei per l’Italia il modello canadese o quello australiano: chi vuole andare in quei Paesi deve dichiarare che lavoro fa, se sta bene, quanto guadagna, e quei Paesi decidono se c’è un posto di lavoro compatibile per lui oppure no”.

Gli italiani non vogliono fare fatica? Una balla. “Non sono un complottista, ma c’è un tentativo di indebolire l’Europa, attraverso il movimento dei popoli, con la concorrenza sleale dei lavoratori. Dicono che non ci sono più italiani che vogliono fare lavori faticosi. Una balla. A fare la raccolta delle pesche o dell’uva o delle arance nei campi ce ne sarebbero migliaia, ma se ti pagano 3 euro all’ora e tu hai una famiglia da mantenere questo non è lavoro, è sfruttamento”.

Lega: Salvini, meglio soli che male accompagnati

Chi difende l’euro è in malafede. “Non è mai stata fatta nella Storia una moneta senza un popolo. L’euro è contro natura. Ed è servito per arricchire alcuni e impoverire altri. Esempio. Nel 2001, con la lira brutta&cattiva, l’Italia aveva un + 53 miliardi di euro di avanzo commerciale. Cioè: esportavamo moltissimo. Stesso anno, la Germania, con il marco forte, aveva un – 126 miliardi di euro, cioè doveva comprare molto. Ad oggi la situazione è ribaltata: – 30 miliardi di euro per l’Italia, che fatica a piazzare i propri prodotti, + 456 miliardi per la Germania che ha letteralmente inondato il mondo con le sue produzioni. Ora, l’euro morirà, indipendentemente dalla Lega, perché è una moneta sbagliata. Lavoriamo per costruire il dopo euro”.

L’Europa contro i popoli è un’Europa sbagliata. “Se una direttiva europea porta un popolo a morire, è sbagliata, va cambiata. Faccio un esempio. A Cattolica non possono più raccogliere le vongole perché una direttiva europea impone che quei molluschi debbano avere un diametro da 25 millimetri, mentre in Adriatico le vongole sono di 22 millimetri. In Turchia, invece, si possono pescare anche di 17 millimetri. Così sono a rischio 70 barche e oltre duemila lavoratori. Che Europa è questa?”.

L’Europa contro l’Italia. “Non siamo più un Paese sovrano. Non controlliamo la moneta. Non possiamo difendere i nostri confini, perché l’Europa ce lo impedisce”.

La parola agli italiani. “Su tutto quello che riguarda la vita degli italiani, devono avere l’ultima parola gli italiani. Io andrei al voto anche tutti i mesi”.

Lega e Forza Italia. Da soli è difficile. “Gareggiare da soli è difficile se non impossibile. L’accordo con Forza Italia può esserci, però senza compromessi sui temi forti della Lega. Che il candidato del centrodestra lo scelgano gli italiani”.

Pietrangelo Buttafuoco governatore della Sicilia. “Buttafuoco mi piace, è uno dei pochi intellettuali non di sinistra che riesce a sopravvivere e a dire cose sensate, i suoi percorsi religiosi non mi interessano. Il fatto è che a volte bisogna puntare su personalità estranee ai giochi politici, in alcuni paesi le elezioni non servono a nulla”.

Sogno un’Italia normale. “Tutti in politica sfoggiano grandi aggettivi, ‘splendido’, ‘meraviglioso’. Io sogno per i miei figli un Paese normale. In cui i giovani non debbano andare a New York o a Londra per trovare lavoro, dove le diversità siano un valore, dove si rubi un po’ meno”.

(30 luglio 2015)

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“Io figlio di poveri, De André figlio di ricchi”

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Branduardi2Ci racconta un episodio Off di inizio carriera?

Quando facevo il figurante al teatro La Scala, alla prima di Simon Boccanegra, con la lancia tenuta su troppo in alto, ho tirato giù tutta la scenografia. Il regista, Giorgio Strehler, mi ha inseguito per tantissimo tempo.

E’ stata un’estate ricca di soddisfazioni…

Con concerti divisi in due parti: una ritmica e l’altra più mistica ed esoterica. Questo perché attraverso il ritmo si cerca la trance e attraverso la spiritualità si cerca l’estasi. Alla fine ciò che apparentemente sembra opposto, combacia. La musica è una visione.

Una visione di cosa?

Di tutto ciò che non si vede e di ciò che è al di là della porta chiusa.

È come se volesse condurre il pubblico a rifugiarsi in un giardino segreto?

È proprio questo il senso della seconda parte del concerto; mi piace far entrare il pubblico – a piedi nudi e senza fare rumore – in un luogo intatto e coperto di rugiada.

Quasi a volerlo salvare dalla frenesia che lo minaccia?

Sì, e a spronarlo a ricercare l’estasi. La musica, come ho già detto, è una visione; la visione – almeno nel mio caso – non ritrae mai la realtà. Sono un artista atipico, siete voi giornalisti a raccontare bene la realtà. A me non interessa farlo perché cerco l’Oltre. Lo scriva con la o maiuscola, mi raccomando.

Quale aspetto della realtà disturba maggiormente l’Essere umano?

L’imbarbarimento dell’arte, della cultura, della televisione, della musica; il gran controllo delle banche sulle nostre vite, la finanza, e i soldi senza peso che non valgono niente.

E il frastuono?            

Tantissimo. Ne siamo assuefatti. Ci accorgiamo dell’infernale rumore del traffico soltanto quando apriamo la finestra di notte e non lo sentiamo più. Questo mastodontico ventilatore macina alla velocità della luce un sacco di roba, musica compresa.

Come in una lirica francescana, lei preferisce da sempre la sottrazione all’addizione.

Cerco l’essenziale, al contrario dei barbari che ne avevano terrore. Occorre – più che riempire gli spazi – permettere al silenzio e al vuoto di far respirare la musica, le frasi e la vita.

Il possesso rende poveri?

L’ansia da possesso genera una sorta di schiavitù. Non siamo più servi della gleba, ma basta legarsi al possesso eccessivo delle cose e delle persone – che, se vogliamo, è ancora più brutto – per depauperare la propria esistenza. Il possesso è un culto senza senso.

È nato ai Caruggi di Genova, conducendo un’infanzia al limite dell’essenziale.

Ho avuto l’infanzia più bella che si possa immaginare. Era un quartiere di ladri, contrabbandieri e prostitute, ma venivo consideravano un principino perché suonavo il violino ed ero diverso. Venivano a vedermi in massa quando suonavo in pubblico, scatenando l’ira dei benpensanti. Mia madre non ha mai chiuso la porta a chiave perché non ce n’era alcun bisogno. Eravamo aiutati da tutti, ed era bellissimo. Auguro a tutti un’infanzia come la mia.

Prima di innamorarsi del violino, però, ha subìto il fascino del pianoforte.

Ma costava troppo, e nella casa dove stavamo non ci entrava. Quando il maestro Augusto Silvestri ha aperto davanti a me una scatola che custodiva un violino del ‘700, sono rimasto colpito non solo dalla bellezza dello strumento ma anche dal colore e dall’odore di cera che emanava. Quell’amore a prima vista mi ha fatto accantonare definitivamente il pianoforte.

Branduardi era il figlio del povero, De Andrè il figlio del ricco.

Fabrizio veniva da una delle più ricche famiglie di Genova, è vero, ma con lui non ho mai cercato e praticato alcun dualismo. Ci rispettavamo.

Perché Alla Fiera dell’Est non ha ancora fatto infuriare i vegani?

Amo il politicamente scorretto perché – anche se non sembra – sono un provocatore. I vegani secondo me mangiano male, si rovinano la salute con tutto quel glutine. Sono tendenzialmente grassi.

Le piace Papa Francesco?

Moltissimo. Ha detto anche che la Madonna non fa il postino, e non scrive messaggi alle 4 del pomeriggio. Ha pienamente ragione.

E se potesse affiancargli un personaggio in grado di prendere mano il controllo della situazione?

Richiamerei in vita Gandhi, sicuramente.

Per una una strategica sommossa nonviolenta?

Sì perché io non sono pacifista ma nonviolento come Francesco d’Assisi e Marco Pannella, al quale auguro lunga vita. Teniamocelo stretto.

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La mia gomitata a Ibra. Cassano? Ingestibile…

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Nicola Rizzoli

26 anni di carriera culminati nell’arbitraggio della finale delle finali, quella dei Mondiali 2014 tra Germania e Argentina tenutasi il 13 luglio 2014 nel vero tempio laico del calcio sul globo terracqueo, il Maracanà di Rio De Janeiro: Nicola Rizzoli in questo momento si trova sul tetto del mondo della sua complessa professione, quella di arbitro. 43 anni, bolognese, faccia da ragazzino, giubbino di pelle alla Fonzie, il miglior arbitro del mondo transita al Palazzo del Turismo di Riccione nell’ambito della rassegna R-Incontra per raccontare un po’ del suo mestiere attraverso gli snodi più importanti della sua carriera: dal campetto provinciale congelato di Berceto (quando all’età di 19 anni pensò di smettere) alla finale di Champions League 2013 arbitrata a Wembley, fino alla notte incantata del Maracanà. Il tutto è anche narrato in un libro Che gusto c’è a fare l’arbitro, pubblicato quest’anno dall’editore Rizzoli (ironia della sorte).

La notte del Maracanà/1 (l’empireo). “Il punto più alto, lo zenith della mia carriera: è fantastico arrivare sul tetto del mondo della professione. Come ci sono arrivato? Non riesco a spiegarlo: si è creata una concatenazione di eventi che mi hanno condotto fino a lassù, all’empireo del calcio, ad arbitrare la finale dei Mondiali. La fortuna in tutto ciò ha avuto un ruolo fondamentale”.

La notte del Maracanà/2 (da Messi a Cacia). “Il difficile è il dopo, l’aftermath: come tornare con i piedi sulla terra. Non ho riguardato la partita (l’ho rivista mesi dopo, un paio di volte e basta). Per riprendere le misure con la vita, come prima partita arbitrata dopo il Mondiale, ho scelto un’amichevole estiva del Bologna in ritiro a Sestola. Un bel modo per tornare dalla metaforica “luna” del Maracanà: lì i tifosi bolognesi mi hanno omaggiato con un coro (“Rizzoli portaci in Europa”)”.

La notte del Maracanà/3 (episodi). “Kramer della Germania prende un brutto colpo in testa, mi passa di fianco dopo 5 minuti e mi chiede: Referee, is it the final? Dopo 20 secondi viene sostituito su esortazione dei medici. Contro Higuain ho fischiato un fallo che non c’era: qualche mese dopo l’ho incotrato sui campi di serie A e gli ho chiesto scusa”.

La notte del Maracanà/4 (cosa è cambiato?). “In campo cambia poco, forse si modifica qualcosa a livello mediatico ed aumenta la stima e la fiducia da parte degli altri. Aumenta anche la popolarità ovviamente, ma l’importante è essere sereni con se stessi. Dopo l’esperienza agli Europei 2012 e al Mondiale 2014 sono molto più riconoscibile per strada, ma mi sento essenzialmente una persona normale. Mantenere il livello una volta arrivati al top non è facile, ad un arbitro basta poco per per cadere, le aspettative sono elevatissime, se sbagli l’errore viene amplificato a dismisura”.

Anatomia di una professione scomoda: che gusto c’è a fare l’arbitro? “Onestamente non saprei: so solo che facendo questo mestiere c’è qualcosa di incredibile che ti cambia la vita. All’inizio sui campetti di provincia si vanno a prendere dei grandi insulti. Nelle categorie inferiori in mezzo al campo sei solo: devi fare affidamento su un grande senso di responsabilità, nessuno rimedia al tuo errore”.

Più sbagli, più impari: la solitudine dell’arbitro “Se l’errore è grosso, o impari oppure soccombi. Quello dell’arbitro è un mestiere crudele, ma che può insegnare tantissimo”.

Top players/1. “Messi è un alieno, lo scorso anno ho arbitrato la semifinale di andata di Champions League tra il suo Barcellona e il Bayern Monaco e ho assistito da pochi metri al suo staordinario gol (quello del dribbling ubriacante ai danni di Jerome Boateng e del pallonetto a Neuer): incredibile, dovreste sentire le esclamazioni di stupore negli auricolari con i miei assistenti. Schweinsteiger è un esempio fulgido di sportività e professionalità. Il più forte secondo me? Probabilmente l’argentino Angel di Maria, assente alla finale di Rio per infortunio, a mio parere la sua presenza avrebbe spostato gli equilibri in campo”.

Il più grande errore sul campo. “In un derby di Milano, il rigore che ho fischiato contro Julio Cesar per l’uscita su Boateng. Ho sbagliato io, mi sono fatto cogliere impreparato da un ribaltamento di fronte e non avevo la prospettiva giusta per osservare l’azione di gioco in maniera corretta (ero impallato da due giocatori). Il portiere brasiliano mi dice immediatamente hai preso un granchio. Mi sono reso conto dell’errore vedendo gli highlights dopo il match”.

Top players/2. “Ibra, il giocatore che ho espulso di più, e con cui è necessario adottare un sistema di comunicazione particolare: mi pestò un piede volutamente mentre posizionavo la barriera durante un match del Milan qualche anno fa, gli risposi con una piccola gomitata ben assestata sulla schiena: ci capimmo al volo. Cassano attraversa momenti in cui rende impossibile ogni forma di comunicazione: quando gli si chiude la vena non è gestibile”.

Collina, un gigante. “Un grandissimo arbitro, un’ottima persona, praticamente uno scienziato in campo: quando arbitrava conosceva i nomi di tutti i giocatori (anche e soprattutto nelle categorie più basse). È il suo modo di conquistare il rispetto”.

Calciopoli. “La categoria arbitrale è uscita devastata da quella tempesta, con un’opinione pubblica inferocita. La gente non credeva più nella categoria. Oggi la nuova generazione degli arbitri è immacolata, nessuno degli ultimi scandali ha toccato la categoria”.

Top players/3. “Totti: un grande campione, una persona che stimo, la storia del triplo vaffa durante Udinese-Roma è ormai acqua passata. Passai un paio di mesi poco belli in quel frangente, pensai di smettere poi tornai sui miei passi. Roberto Baggio forse è il più grande giocatore che ho conosciuto, uno dei più grandi talenti del calcio italiano”.

Moviola in campo: no, grazie. “Meglio affidarsi solo alla tecnologia per le situazioni evidenti (goal tecnology per capire se la palla ha superato la linea di porta, ad esempio). La moviola in campo non risolverebbe niente: la maggior parte degli episodi, anche osservati svariate volte, lasciano dubbi”.

Che bella la Premier League! “Mi piacerebbe arbitrare nei campionati esteri, adoro l’atmosfera della Premier League inglese. Credo che a certi campionati esteri (anche la Bundesliga) sia nescessario guardare con attenzione anche per imparare a livello culturale come vivere il calcio in maniera più corretta e meno isterica”.

Come preparare una partita/1 (tecnologia da Minority Report). “Per preparare una partita dal punto di vista tecnico ci avvaliamo di un sistema tecnologicamente molto avanzato: abbiamo a disposizione un programma professionale ed un server attraverso cui è possibile selezionare partite, statistiche, highlights, situazioni di gioco particolari, per conoscere perfettamente le squadre che andremo ad arbitrare”.

Come preparare una partita/2 (L’arte della Guerra). “È fondamentale la preparazione di un match a livello psicologico. Ho fatto mia parte della filosofia espressa da Sun Tzu all’interno de L’arte della guerra: conosci il tuo nemico, ma soprattuto conosci te stesso. Solo così potrai vincere le battaglie della vita. Rituali prima della partita? Vado sotto la doccia e con l’acqua che mi romba nelle orecchie cerco di fare spazio nella mente. Penso a quello che devo fare. Il mantra è controlla ciò che puoi, prendendo consapevolezza di quello che è possibile controllare all’interno di una partita”.

Il futuro. “Mi vedo ancora in campo ad arbitare, questa è la mia vita”.

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Bonaccini: Non chiamatemi Renziano…

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BonacciniQuando l’ho incontrato la prima volta, una manciata di mesi fa, ho scritto che “ha innestato l’ottimismo di Renzi su un corpo da ducato modenese”. La definizione non andò bene agli alfieri stampa del Presidente della Regione Emilia-Romagna che si premurarono di telefonarmi, indignati, rammaricati. Avete tutta la stampa a favore, che fastidio vi da uno che la pensa diverso? Lasciatemi stare, dissi. Due giorni fa Stefano Bonaccini, surfando su entusiastiche notizie – il premier Renzi lo vuole a Roma a coordinare la segreteria del Pd in previsione elettorale – è stato a Riccione, per l’ultimo appuntamento di “R-Incontra”, e tra ego a go-go – è tutto un intercalare di “come dico sempre”, “sono di quelli che dice”, “ciò che ho detto” – muscoli retorici – “non mi piace essere chiamato ‘renziano’, con il cognome di un altro, non sono per la fedeltà, ma per la lealtà; con Matteo ho lavorato benissimo, sa che non sono uno yes man” – e poco pubblico – la claque era sostanzialmente politica: il Presidente, accompagnato dal suo Assessore al bilancio, Emma Petitti, è stato applaudito dal Sindaco riccionese Renata Tosi, dal suo guru Natale Arcuri e da mezza Giunta locale, ma anche dal Sindaco di Misano Adriatico Stefano Giannini – c’è poco da fare, l’epiteto è sempre quello, un ducetto modenese su stampino renziano.

La bellezza del PCI (e la necessità del cambiamento). “Il PCI prima ha fatto la Resistenza, poi ha creato la democrazia, infine, durante gli Anni di Piombo ha salvato il Paese: pur con tanti errori, la sua è stata una storia di grande libertà e di democrazia. Dopodiché, quando Occhetto, nel 1991, decise di cambiare simbolo e nome al partito, i miei genitori erano tristi, io esultavo, pensai che era ora”.

Ma è bella anche la DC… “Quella della DC è la grande storia di un partito che è riuscito a riscattare l’Italia uscita dalla vergogna nazifascista. Dico sempre grazie alla DC”.

…ma anche il Movimento 5 Stelle (a parte i fatti di Comacchio). “Il Movimento 5 Stelle ha svegliato l’Italia sui costi della politica: è stato un bene. Poi, da libero cittadino, i loro metodi mi sembrano strani, sono una curiosa forma di democrazia. L’anno scorso hanno espulso dal Movimento il Sindaco di Comacchio perché ha accettato di candidarsi per la Provincia: un conto è cacciare un disonesto, un conto allontanare uno che fa gli interessi della sua città”.

Matteo Salvini? Farebbe bella figura a stare a Bruxelles. “Salvini ha un linguaggio che mi spaventa, delle risse politiche in televisione ne abbiamo davvero abbastanza. Sembra venuto da Marte, eppure durante lo scandalo dei diamanti della Lega Nord c’era anche lui. Ha salvato il suo partito, ha beneficiato del crollo di Forza Italia, ma se stesse un po’ di più a Bruxelles, dove è pagato, farebbe una figura migliore”.

Tagliatemi tutto, anche 100mila euro. “Nei cinque anni della mia legislatura taglieremo per 7,5 milioni di euro i costi della politica, abolendo i vitalizi, riducendo l’indennità dei consiglieri, azzerando i fondi consiliari. In cinque anni mi taglierò personalmente oltre 100mila euro. Saremo ricordati per l’onestà e la sobrietà. Ma non basta”.

Politica a costo 0: impossibile. “La politica a costo 0 è pura demagogia. Non bisogna guadagnare troppo, ma il giusto: altrimenti saranno solo i ricchi, i pensionati e i mediocri a fare politica. Piuttosto, è uno scandalo che un consigliere regionale possa guadagnare più di un Sindaco. Ecco, ai Sindaci aumenterei lo stipendio”.

Il calcio mi piace tanto. “Dal ’72 in poi conosco tutti i giocatori italiani e del mondo. Nella mia Provincia, Modena, deteniamo il record di squadre nelle serie maggiori, grazie a Modena, Sassuolo e Carpi. Quella del Carpi, poi, è una storia straordinaria, che insegna come non servono solo i soldi per far bene. Il Presidente del Carpi si chiama quasi come me, Stefano Bonacini: quando lo incontrai mi disse, ‘io ho una C in meno’, gli risposi, ‘ma hai una A in più’”.

Olimpiadi: una sfida da giocarsi. “Chi critica Renzi per la candidatura di Roma ad ospitare le Olimpiadi del 2024 sbaglia: le colpe del passato non possono castrare il nostro futuro. Ho mantenuto come Presidente della Regione la delega allo sport, e insieme al Coni ho condiviso l’idea che le condizioni per fare una Olimpiade sono due: nessun nuovo impianto sportivi, ma riutilizzo e rinnovamento di quelli preesistenti; Roma come base olimpica, ma competizioni in tutta Italia. Sulla costa romagnola, ad esempio, vedrei bene le competizioni di beach volley”.

Immigrazione: preferisco salvare uomini più che fare campagna elettorale. “Sul problema immigrazione si dicono tante sciocchezze pur di guadagnare consenso in previsione elettorale. Per quanto mi riguarda, preferisco perdere le elezioni pur di salvare almeno una vita in mare. Poi, sia chiaro, come Regione faccio la mia parte, doverosa, nella distribuzione razionale degli immigrati, ma non mi faccio carico della parte delle altre Regioni. Cosa bisogna fare? Creare opportunità. Guardate l’Albania: non accadono più sbarchi, il Paese cresce, adesso è un potenziale bacino di nuovi turisti”.

Cinesi per tutti. “Dobbiamo essere in grado di intercettare il movimento turistico dei cinesi, destinato a crescere esponenzialmente negli anni. Per far questo sappiamo che la formula ‘piccolo e bello’, che ha fatto grande l’Emilia-Romagna, non funziona più: dobbiamo metterci insieme e essere grandi, un’unica città da Piacenza a Rimini. Sappiamo inoltre che cresce il turismo culturale e quello sportivo: nessuno si accontenta più della vacanza sotto l’ombrellone, si desidera in poco tempo visitare molto. Magari facendo sport. Su questo, grazie al distretto del Wellness creato da Technogym, siamo all’avanguardia in Europa”.

Siamo la Regione che trainerà la crescita del Paese. “Vogliamo essere ricordati come il governo che ha creato almeno 120mila nuovi posti di lavoro durante il suo mandato, dimezzando la disoccupazione, portandola al 4,5%. Grazie al ‘Patto per il Lavoro’ che abbiamo sottoscritto con camere di commercio, parti sociali, università, istituzioni, ci stiamo riuscendo, mettendo a disposizione, per un quinquienno, 15 miliardi di euro per favorire l’occupazione e creare lavoro”.

Favola buonista. “Lo dico sempre, nella nostra Regione anche l’ultimo della fila può tagliare il traguardo come gli altri”.

Morale della favola. “Un tempo si diceva che per andare svelti bisognava camminare da soli, ma era prudente andare piano. Adesso dobbiamo marciare insieme e veloci, altrimenti il mondo globalizzato ci travolgerà”.

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Smaila: quel Colpo Grosso tra Raegan e Gheddafi..

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DB-Smaila-GioiaIl Cav. Ha scelto lo Smaila’s a Porto Rotondo per il suo ritorno estivo. Grande festa tra amici con la compagna Francesca Pascale, tra Mariano Apicella, Bruno Vespa, Jerry Calà, e un gran numero di fan e ammiratori. Padrone di casa, L’Umbertone, sempre più istrionico e ipnotizzatore di pubblico anche Vip.
Riproponiamo l’intervista cult a Smaila, una vita sul filo dello show, dal Derby a Colpo Grosso, al lavoro di entertainer….

Entertainer. Intrattenitore, anzi “ipnotizzatore”, come si definisce, di pubblici. Comico raffinato con i Gatti di Vicolo Miracoli, prima al Derby poi nel varietà Rai di Enzo Trapani. Maestro di cerimonie nella prima trasmissione tv di spogliarello integrale (naturalmente parliamo di Colpo Grosso tra gli anni 80 e i 90) e in contemporanea conduttore di trasmissioni per famiglia sulle reti Fininvest. Poi imprenditore dell’intrattenimento live, suo il franchising dei locali Smaila’s, dal Salento alla Sardegna.
Umberto Smaila nella sua casa milanese ha un pianoforte Petrof da cui sono nate canzoni, per esempio E’ tutto un attimo, che con Anna Oxa rischiò di vincere un Sanremo, e colonne sonore (tante) di film, di serie a e di serie b. Ha una libreria fornita: i suoi preferiti sono Proust e Celine. E un corridoio tappezzato di fotografie storiche, in una canta insieme a Mike Tyson (“Aveva mangiato aglio, con l’acuto finale di My Way mi ha praticamente ammorbato”, ricorda). 65 anni appena compiuti, un presente da “zingaro di lusso”, sempre in giro per serate, quattro figli. Origini orgogliosamente istriane: madre insegnante, padre artista. “La mia provenienza mi ha dato una coscienza geopolitica” racconta a ilgiornaleoff.it . “Sin da bambino sapevo bene cos’era il regime di Tito. I miei tornavano regolarmente a Fiume, già dal 54. Arrivavamo con la Seicento appena acquistata durante il boom economico, c’erano bambini in mutande che inseguivano la macchina chiedendo l’elemosina. Mia zia Nina faceva un’ora di coda per prendere il pane”.

Comicità milanese. Con Gerry Calà, Franco Oppini, Nini Salerno avete anticipato Elio e Le Storie Tese. Un verso come “l’aerobica è giappo-italiana” è abbastanza esplicativo…

Be’ certo, Elio e le storie tese ci hanno copiato, e ne vado fiero. Il nostro cabaret aveva anche riferimenti colti. Per noi era motivo d’orgoglio forte non appoggiarci alle comicità dialettali. Non far ridere alla napoletana, alla romana o alla toscana. Al derby c’eravamo noi, poi Cochi e Renato, poi Villaggio, poi Jannacci. Cinque anni di gavetta, dopo la tv fu facile.

Dal Derby passava tutta Milano, dal boss Francis Turatello in poi…

Una volta arrivarono Enrico Maria Salerno e Veronica Lario, lavoravano insieme al Manzoni, a guardare lo spettacolo di Enzo Robutti. Lui dice in bolognese: “un bel spumon”. La Lario chiede a Salerno: “cos’è lo spumone”. E Salerno: “pompino!”

(CONTINUA A LEGGERE DOPO LA GALLERY)

GUARDA LA GALLERY DI BERLUSCONI ALLO SMAILA’S

E la Milano di oggi? Quella dei Fuori salone e dell’Expo?

In giro vedo più nervosismo. Ci sentiamo tutti un po’ meno sicuri: furti di ogni tipo, aggressioni. Ma io amo Milano. Ci trovi di tutto: dalla musica classica in poi. Perfino Casanova, nelle sue Memorie scrive: “Milano è una città dove le persone sono gentili e ci si dà una mano, Roma invece….”

Dai Gatti a Colpo Grosso. Ha sdoganato il nudo. Ha rimappato la geografia del desiderio in tv…

C’è un pre-Colpo grosso e un post-Colpo grosso. Con Quelli della notte di Arbore abbiamo rivoluzionato la Tv. Sia Beniamino Placido che Oreste Del Buono mi elogiarono, e anche Alberoni. Non tutti erano contrari. 

Alcuni sì, però…

Concita De Gregorio da direttrice dell’Unità scrisse che Colpo Grosso e Drive In avevano rovinato le generazioni a venire. Io ho frequentato la sinistra eccome, il mio amicone Diego Abatantuono è di sinistra, ho lavorato con l’aiuto regista di Dario Fo, insomma conosco quel mondo. Uno dei motti di allora non era “Vietato vietare?”.

Quella di oggi è una sinistra da oratorio?

Oratorio per oratorio, durante una partita della nazionale cantanti mi trovai a giocare con dei frati…

Lei, il maestro di cerimonie delle ragazze cin cin?

Come corrono i frati! Velocissimi. Tostissimi. Alla fine della partita mi si avvicina il priore (ormai Colpo grosso lo conduceva Maurizia Paradiso) e mi fa: “era meglio quando lo conducevi tu”.  “Allora mi assolve, padre?”. “Ma certo”…

E invece Reagan non la assolse…

Un giorno venne da me Mike Bongiorno e mi disse “hai fatto un casino eh”. La Cbs aveva fatto un servizio su Colpo Grosso, avevano coperto i capezzoli delle ragazze in post-produzione, con delle stelline. Reagan si era lamentato del programma. Gheddafi, addirittura, minacciò di lanciare dei missili su Lampedusa: Colpo grosso gli distraeva i libici dalla preghiera. Erano tutti lì attaccati alla tv.

Dallo spogliarello alle colonne sonore…

Ne sto facendo una anche adesso. Il film si chiama Infernet, con Remo Girone, Lino Banfi, Catia Ricciarelli, Ricky Tognazzi. 

C’è un suo pezzo in Jackie Brown di Tarantino….

Lo prese da un b movie italiano degli anni 70, La Belva col mitra. Con un Helmut Berger orfano di Visconti. Tarantino prese la scena con la colonna sonora. Quando lo chiamai per ringraziarlo mi disse: “grazie a te per la tua fottutissima musica, vorrei fare una altro fottutissimo film con una fottutissima musica fatta da te fottutamente apposta”. Sei parole e ottanta “fuck”. Comunque per quella colonna sonora mi arrivano diritti d’autore dalle isole Samoa e dall’Alaska, ancora…

Celebrità per celebrità, nei suoi locali sono passati molti personaggi famosissimi

Una notte Niki Lauda si scatenò come un pazzo sulla pista. La sua compagna di allora disse che non l’aveva mai visto così. Convinsi perfino Gino Paoli, che era a cena in Sardegna, a cantare. Lo incastrai facendo cantare Il cielo in una stanza a tutto il pubblico. Difficile sottrarsi. Sono un po’ un ipnotizzatore. 

Coi Gatti incontrò anche Woody Allen.

Si doveva lavorare assieme, per il festival di Spoleto nell’80. Andammo a New York. Lui gentilissimo e timidissimo, restava sveglio la notte per scrivere per noi. Poi mancarono i soldi. Una sera ci trovammo in un ristorante con lui, la Fallaci e Isabella Rossellini. Stava lì schiacciato in mezzo alle due. 

E ora i suoi locali. 

Non sono i miei, Gli Smaila’s sono dei franchising, mi permettono di avere un tot di serate assicurate. Anche con la crisi. 

 

Momenti suoi di crisi?

A inizio anni 90. Quando finì Colpo Grosso e finirono i programmi Finivest. Da 500 puntate all’anno a zero. 

Che si fa in questi casi?

Mi resi conto che avevo un repertorio vastissimo. Cambiai la Bmw con una macchina usata, e mi rimboccai le maniche per ripartire. Ho fatto così. 

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Paolo Conti: con i dirigenti di oggi il calcio non non cambierà mai

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Paolo_Conti_Roma_1978-79Ci racconta un episodio Off di inizio carriera?

Era da me lontana l’ambizione di diventare un professionista dello sport. Consideravo il gioco del calcio un puro divertimento tra amici. Ho iniziato a Riccione, nella prima squadra locale, sostituendo il portiere impegnato nell’addestramento del servizio militare. Da quel momento ho intrapreso una carriera che, le ripeto, non era tra i miei desideri.

Ha giocato in Serie A, tra gli anni Settanta/Ottanta. Qual è il ricordo più avvincente?

Più che di un ricordo, farei riferimento a una sensazione: a quella piacevole consapevolezza di sentirsi importante per una città e per dei tifosi; ci impegnavamo tanto per ricambiare le loro viscerali aspettative con delle ottime prestazioni in campo.

Durante i Campionati Mondiali del 1978 in Argentina, è stato il vice di Dino Zoff. Oltre alle emozioni provenienti dal terreno di gioco, che atmosfera si percepiva in quel Mondiale militarizzato?

Quel Mondiale è stato lo strumento usato dal regime di Jorge Videla per mostrare il proprio lato umano. C’era molta differenza tra l’apparente normalità di Mar del Plata – con la sorveglianza allentata – e Buenos Aires, in cui tutto era blindato e controllato. La polizia ci proteggeva costantemente. Tanta, tantissima, era la tensione che si respirava.

Portiere della Roma per sette stagioni. Eravamo agli albori della rivalità con la Juventus. Si vocifera di scontri con il suo allenatore Liedholm. 

Questa è una balla che circola ingiustamente da anni. Con Liedholm c’è stato sempre un grandissimo rapporto. Era una persona straordinaria. Credo di essere stato fra le rarissime persone con le quali si fermava a parlare anche di argomenti non strettamente calcistici. È stato per me come un padre, mi ha insegnato tantissimo. Era un uomo esigente, straordinariamente colto, ironico, con la passione per l’arte. Conservo di lui uno splendido ricordo.

Proviamo a sfatare un tabù: ancora oggi serpeggiano misteri e pruriginose curiosità attorno ai ritiri. Il calcio annovera da sempre calciatori ligi e spericolati bad boy

Liedholm, per esempio – da persona intelligente – sapeva che il ritiro gravava sulle spalle dei calciatori e delle loro famiglie. Dunque, non li appesantiva ulteriormente con limitazioni. L’atmosfera di quei ritiri era piacevole, sana, e non severa. Liedholm era uno svedese attento, non un sergente.

Dove inizia e dove finisce la libertà di un calciatore?

Questo è stato uno dei problemi che ho vissuto da calciatore, nel senso che quando si ha una vita pubblica è molto difficile averne anche una privata. Ho sempre cercato di privilegiare il privato rispetto al pubblico, concedendomi il meno possibile alle cronache proprio perché i valori della famiglia erano superiori a quelli dell’immagine. Oggi tutto è stravolto perché il calcio risponde e si adatta alle regole dello spettacolo, e i giocatori faticano a capire la loro dimensione reale. Noi, invece, sapevamo che la partita – prima o poi – sarebbe finita.

Roma, Verona, Sampdoria e Fiorentina, nelle cui fila ha concluso la carriera. Se potesse tornare in attività in quale squadra vorrebbe tornare a giocare?

Ho fatto parte di squadre che hanno regalato grandi emozioni ai loro tifosi. Ho vissuto il massimo. Non ho rimpianti, tornerei a indossare la maglia di ogni singola squadra con la quale ho giocato. 

Il calcio degli anni Settanta/Ottanta visse momenti anche bui. Sono emersi casi di doping, morti sospette, e il primo ciclone giudiziario del Totonero. Poi Calciopoli e oggi il caso Catania. Ma questo calcio di quali riforme avrebbe bisogno?

Con gli attuali dirigenti è impossibile fare delle riforme, mi creda.

Gli stadi di proprietà e l’avvento della tecnologia possono essere un’evoluzione e un primo rimedio per l’intero sistema?

L’evoluzione è nelle persone, più che nelle cose. L’evoluzione è – soprattutto – crescita culturale. Il limite del nostro calcio sta proprio nei suoi rappresentanti. Probabilmente ci americanizzeremo ancora di più, ma questo non servirà a spianare la strada ad alcuna rivoluzione concreta.

Gli introiti televisivi, gli sponsor e i diritti sportivi stanno incidendo notevolmente sul calcio continentale. Esiste la possibilità che, nei prossimi anni, la demarcazione tra club ricchi e meno ricchi diventi irreversibile e che vi siano Superleghe tipo NBA e tornei nazionali minori?

Sarà questo il futuro, ne sono convinto. Il mondo si sta globalizzando. Alcune partite si giocano già in Paesi estremi. Il calcio, essendo un business, deve sottostare a delle regole.

Paolo Conti oggi

Paolo Conti oggi

Il calcio continua a essere un fenomeno sociale, una febbre collettiva. Frequentando ancora l’ambiente, le capita di respirare ancora il romanticismo e l’autenticità del calcio dei suoi vent’anni?

Non è più la stessa cosa. Oggi c’è una grandissima offerta di calcio, è innegabile, ma le società calcistiche non sono quasi più sportive; si occupano prevalentemente di immagine e comunicazione. Lo sport de miei vent’anni non esiste più.

Oggi svolge la professione di procuratore sportivo. Perché in Italia le squadre di A non si sbilanciano decidendo di investire sui giovani?

Perché è più semplice e facile prendere un prodotto semi-lavorato.

Paolo Conti tifa per?

Non tifo per una squadra in particolare, ma per il bel calcio e per gli allenatori coraggiosi. Il coraggio è una virtù che manca nelle attuali società.

Chi vince il prossimo scudetto?

Direi che la Roma sia una squadra attrezzata bene. Occorre fare attenzione perché a volte basta un granellino di sabbia per inceppare un ingranaggio perfetto.

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“L’omicidio di mio padre? Deciso a Roma”

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RitaDallaChiesaIntervista

La commemorazione del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, assassinato dalla mafia il 3 settembre del 1982, ha lasciato uno strascico di polemiche, per l’assenza del governatore siciliano Rosario Crocetta. Sul fatto che il custode dello stato in Sicilia non fosse amato si è espressa la figlia, Rita. E in quest’intervista realizzata qualche mese fa da Ilgiornaleoff.it le dichiarazioni a riguardo erano state ben più tranchant. La Dalla Chiesa individua delle precise responsabilità politiche nell’omicidio del padre…

Mi racconti un aneddoto off degli inizi della tua carriera?

Quando ho cominciato a fare tv, stavo da poco con Frizzi, lui conduceva già “Tandem”. Mi ricordo che si metteva dietro le telecamere e ogni volta che si accendeva la lucetta scappava da una parte all’altra facendomi capire quale mi stesse inquadrando! (ride n.d.r.). È stato lui a insegnarmi come stare davanti alle telecamere. Mi ha detto: “sii sempre te stessa, anche col mal di testa, la coda di cavallo, o senza trucco”.

Tu hai iniziato come giornalista…

Sì, scrivevo per Gioia e Donna moderna. E poi avevo una rubrica su Epoca, “Affari di famiglia”, che fra l’altro ricomincerà a giorni su Visto.

Una notizia in anteprima…

Sì, non lo sa ancora nessuno (ride)

Nel 1983 sei approdata alla tv, appunto, con il programma “Vediamoci sul Due”, dove hai conosciuto l’amore della tua vita. Con Fabrizio è stato amore a prima vista?

Per lui sì, io invece ci ho messo un po’ per via della differenza di età. All’epoca non c’erano ancora matrimoni con divari di età così forti, e anche se io sono sempre stata ribelle, ho dovuto fare un percorso prima di accettare che questa storia stesse diventando importante.

Oggi riavresti una storia con un uomo più giovane di te?

Certo, quelli della mia età mi annoiano! (ride) Molto meglio una persona più giovane. Non dico di trent’anni, ma comunque più giovane. Dai giovani c’è molto da imparare, e questo non basta mai, a qualunque età. Molti ragazzi mi scrivono “per me sei come una zia”. È bellissimo!

Fabrizio si è appena risposato, e si è parlato della tua assenza al matrimonio. C’è stato un momento in cui avresti voluto tornare con lui?

Sì, molte volte. Fabrizio è una persona che non si può non amare, la più perbene che io abbia mai conosciuto. Ho avuto nostalgia di lui, delle cose belle che abbiamo vissuto mille volte. Però poi mi sono arresa all’idea che comunque io ho avuto il mio passato, e oggi è giusto che lui viva il suo presente.

E’ una bella dichiarazione anche questa…

E’ amore anche lasciar libere le persone di vivere la propria vita.

Tornando alla tv, conduci proprio con Fabrizio “Pane e marmellata”, un programma per bambini grazie al quale vieni notata dalla moglie di Arrigo Levi e approdi a Fininvest.

Sì, la moglie di Levi guardava sempre “Pane e marmellata”, e mi propose al marito per la prima rubrica di approfondimento Fininvest. Io all’inizio ero convinta, sbagliando, volessero incontrarmi per intervistarmi sulla vicenda mio padre. In quella scelta mi aiutò Maurizio Costanzo. Mi disse “è il momento giusto, fa’ il salto”. Ed lo feci, passando dalla Rai a Fininvest. Arrigo e Maurizio sono stati i miei più grandi maestri.

Tanti programmi di successo, come “Il trucco c’è” con Diego Dalla Palma, ma innegabilmente sei entrata nel cuore di tutti con “Forum”.

Sì, Forum me lo sono cucito addosso, soprattutto nella seconda parte. Infatti abbiamo fatto ascolti tali da andare in onda su Canale 5 e anche con uno sportello pomeridiano su Rete4.

Manchi tanto alla trasmissione! Io ho provato a dargli un occhio: ha un sapore completamente diverso.

E’ un’altra trasmissione, condotta benissimo da Barbara Palombelli. Non ho motivo di esserne gelosa.

E’ spiaciuto non vederti allo speciale per i 30 anni del programma.

Quello è stato un pugno nello stomaco. Avrebbero dovuto evitare di chiamare quella puntata “30 anni di Forum”. Mi hanno detto addirittura che hanno mandato in onda puntate condotte da me, ma coi miei interventi tagliati. Francamente questo non lo capisco.

Una volta hai detto “faccio sempre le scelte sbagliate nel momento più sbagliato”. Qual è la scelta più sbagliata che hai fatto?

(ride) questa!

Anche se in realtà non è dipesa totalmente da te…

Sai, prima di lasciare il programma, ho saputo con dispiacere che Fabrizio e Marco non sarebbero stati confermati. Per me è stato un colpo. Poi ci sono state anche molte voci di corridoio secondo le quali “Forum” sarebbe stato sospeso. Ho sbagliato nel non andare alla fonte, anche perché io sono visceralmente legata a Mediaset. Ma questo è il motivo per cui ho accettato la proposta di Cairo, a cui sono rimasta legata pur non avendoci lavorato. Io e lui avevamo una concezione diversa della messa in onda: lui voleva una trasmissione alla Forum, io non sarei mai andata contro il mio programma di sempre. Andarmene da Canale5 prima, e da La7 dopo sono state due scelte coraggiose, alla mia età non facili.

Altra tua frase: “non ho alcun talento nel frequentare i famosi posti giusti”. Un posto giusto che non frequenti?

I salotti romani stile “Grande bellezza”. Quel film è meraviglioso, perché racconta la solitudine che puoi vivere in una città come Roma, frequentando certi ambienti.

Ti riporto una tua frase che mi ha fatto sorridere. “preferisco chi mangia piccante, vuol dire che mette passione anche nell’intimità”. Che rapporto hai col sesso? 

Meraviglioso! (ride) Credo sia una cosa molto importante, che ti faccia stare bene. Certo, non quello inutile e fine a sé stesso. Devi amare, almeno dal mio punto di vista. Devo amare, perché ci sia il tutto. E quando c’è è bellissimo.

Se poi si mangia piccante ancora meglio…

A me dà fastidio l’uomo a dieta, mi fa paura. Io non mangio carne, ma voglio mangiare la pasta, le pizze rustiche, formaggi saporiti. Mi piace la vita. Un bel piatto di pasta al pomodoro con l’olio piccante sopra, per me, è impagabile!

Una data che è rimasta impressa nella tua vita è il 3 settembre 1982, quella dell’omicidio di tuo padre, Carlo Alberto Dalla Chiesa. Posso chiederti cosa ricordi di quel giorno?

La solitudine nella quale mi sono sentita proiettata nel giro di mezzo secondo. Io ho saputo di questa cosa da un giornalista del Tg2, non dai carabinieri, che sono la mia famiglia, la mia anima, il mio cuore, il mio tutto. Evidentemente al comando generale in quel momento c’era qualcuno che non amava mio padre. Mi sono seduta sotto la doccia e ho passato metà nottata lì, inebetita. La mattina dopo sono arrivata a Fiumicino, mi sono fatta il biglietto per Palermo. All’epoca ero solo giornalista di carta stampata, nessuno mi riconosceva. Mi hanno detto “signora, non c’è un posto perché stanotte hanno ammazzato il Generale Dalla Chiesa”. Ed io ho detto “era mio padre”, e allora il posto è saltato fuori.

Il racconto che Riina ha fatto sulla strage di via Carini è tremendo. Se ne è tornato a parlare anche nei giorni scorsi.

Non riesco a capire se sia vero. È possibile che io debba venire a sapere la verità non dai magistrati, non dai giudici, ma da Totò Riina? Che peraltro parla soltanto adesso! C’è qualcosa di strano, come tutto quello che riguarda la morte di mio padre.

La cassaforte, anche…

Tutto! È tutto molto strano. Hanno fatto film su come si sia arrivati al 3 settembre. Io ne farei uno dal 3 settembre in poi, sui tanti misteri che sono rimasti tali: la borsa di mio padre, i documenti spariti, chi è entrato nella prefettura quella sera invece di buttare un lenzuolo su mio padre? Mio padre è morto in una strada molto affollata, eppure un lenzuolo per coprire mio padre ed Emanuela (Setti Carraro, la seconda moglie del Generale Dalla Chiesa) nessuno l’ha buttato dalla finestra. E chi è entrato a Villa Pajno quella sera? Cos’ha preso? Dov’era la chiave della cassaforte? Nella cassaforte abbiamo trovato una scatola vuota, c’erano i gioielli di Emanuela, ma non i documenti di mio padre. La scrivania di mio padre era sempre piena di carte, scartoffie. Quella sera non c’era un foglio, era perfettamente pulita. Quando mio zio, fratello di mio padre, disse al procuratore “dovete farci capire cosa sia successo” lui gli rispose “non mi gioco di certo le ferie per questo omicidio”…

Allucinante… Da chi vorresti delle risposte?

Dallo Stato. Tutti mi dicono “continui ad andare a Palermo, ad amarla”. Certo, io non dovrei vivere a Roma, dove è stato deciso il tutto! Non a Palermo, dove sono solo state armate le mani.

Sei sempre più convinta che la mafia abbia ucciso tuo padre su commissione…

Certo. Politica……..

Qual è la cosa che più ti manca di tuo padre?

Mi mancano la sicurezza che mi dava, il senso di giustizia che si portava appresso. Il ruvido della sua divisa quando l’abbracciavo, mi manca la sua telefonata serale, mi mancano tante cose. Io ho avuto un padre, non il generale Dalla Chiesa. Mi manca mio padre

2/12/2014

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Putin, il numero uno più odiato dalla sinistra chic

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PUTIN evidenzaSilvio Berlusconi va a trovare Vladimir Putin in Russia, e il leader russo è il protagonista numero uno della politica mondiale. Dagli scenari energetici ai delicati equilibri in medio Oriente. Eppure, a molti non piace. La sinistra non lo ama per via del suo profilo “Dio, Patria e Famiglia”, per i suoi atteggiamenti considerati repressivi.
Allo stesso modo la destra più legata agli schemi dello scontro di civiltà lo detesta.
Proponiamo qui quattro interviste realizzate da ilgiornaleoff, a personaggi considerati sia di destra che di sinistra, in cui emerge quanto sia necessario parlare con il leader russo.

MASSIMO FINI: RENZI E OBAMA? DUE POVERETTI. LA RUSSIA, INVECE, E’ L’EUROPA

MASSIMO CACCIARI: LA RUSSIA è IL NOSTRO PRIMO ALLEATO

MATTEO SALVINI: PUTIN E’ UN TOSTO. LE SANZIONI CONTRO LA RUSSIA? UN ERRORE MADORNALE

LA RUSSA: CONTRO L’ISIS SERVE UN ACCORDO CON PUTIN!

 

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Sono gentile, ma non fatemi girare i c…

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Angelo Crespi con Vittorio Sgarbi

Angelo Crespi con Vittorio Sgarbi

Sgarbi vs. Sgarbi. “Sono gentile, garbato, accomodante. Diciamo che basta poco per farmi girare i coglioni”. Il più discusso, provocatorio, audace storico dell’arte italiano, uno che, come dice Angelo Crespi, “ha voluto fare della propria vita un’opera d’arte, perciò la sua vita è totalmente pubblica”, tiene lezione a Riccione, nel contesto della rassegna “Riccione Incontra”. Non si scompone. Arriva in orario perfetto. Non si arrabbia – tranne un istante, scagliandosi contro un antiberlusconiano dell’ultima ora. Stimolato dai suggerimenti di Crespi, delinea, a partire dal progetto del “Museo della Follia”, che non per caso è al Palazzo della Ragione di Mantova (fino al 22 novembre), i rapporti tra arte e pazzia, spudoratezza artistica e malattia mentale. Ne vien fuori una specie di corroborante aforismario.

Arte&follia: definizione. “L’arte è una fuga dalla follia – ma è la follia a indirizzare quella fuga”.

Il segreto di Marcel Duchamp, il rivoluzionario dell’arte. “Nel 1917 Marcel Duchamp prese un oggetto d’uso, un orinatoio, lo firmò ‘R. Mutt’, lo inviò a un museo. Prese un oggetto non suo, non fabbricato da lui, spostandolo dal luogo della funzione a quello della contemplazione. Ponendoci la domanda: basta  che un’opera sia in un museo per essere arte?”.

“Fontana”: etichetta. “La Fontana di Duchamp è come la Pietà di Michelangelo in un mondo senza Dio”.

Movimenti o individualità? “La critica del Novecento ragiona per schemi, escludendo i solitari. Se non fai parte di un gruppo – futurismo, surrealismo, cubismo… – sei dimenticato. Un esempio è quello di Pietro Annigoni, straordinario pittore figurativo, che non si trova quasi mai nelle storie dell’arte del Novecento. Purtroppo per Annigoni, non basta essere un pittore tecnicamente eccelso perché la critica, che vuole vedere solo ciò che vuole vedere, si accorga di te”.

I geni anonimi (e l’architetto cretino). “La ruota, gli occhiali, il martello, lo spillo: chi ha inventato queste forme pure? Dei geni anonimi. Poi viene un architetto cretino, che deve essere per forza originale, e costruisce un water quadrato, dove è impossibile sedersi”.

1949: la svolta dell’arte. “Nel 1949 intorno a Pietro Annigoni e ad altri realisti si costruisce una grande mostra. Che non funziona. E la pittura figurativa finisce per sempre. Nello stesso anno, Lucio Fontana esegue il primo dei suoi tagli, denunciando che non esiste più una forma artistica”.

La vita straordinaria. “Modigliani, Van Gogh, Ligabue non appartenevano a gruppi. Il loro valore estetico certo è sostenuto da una biografia avventurosa, da una vita da film. Questo ha permesso loro di emergere come feroci individualità”.

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Un celebre autoritratto di Antonio Ligabue

Ligabue, un pazzo vero. “A differenza di Annigoni, intorno a Ligabue è nata una leggenda e questo gli ha permesso di emergere, pur restando un pittore isolato. Fu Marino Mazzacurati a raccontare, a Roma, di un pittore che viveva lungo le sponde del fiume, come una bestia. Il suo racconto stimolò la curiosità di Cesare Zavattini, che diede avvio al mito di Ligabue. Dietro a lui, Mario De Michelis e Davide Lajolo, che vedevano nel pittore pazzo, che gridava e dipingeva cose pazzesche, una specie di ‘buon selvaggio’”.

La tigre e la Gilera. “Ligabue dipinge tigri e leoni mai visti, che sono i suoi autoritratti rabbiosi, e poi animali domestici. E decine di autoritratti veri che sono il diario del rapporto con se stessi, con il proprio volto. Nei suoi quadri senti il bramito delle tigri, che hanno il correlativo industriale nella moto Gilera che Ligabue si compra per fare il duro. Ma quella motocicletta resta un animale, un cavallo da domare”.

Una lotta di liberazione. “Uso spesso Ligabue nella mia lotta di liberazione contro i cliché di una critica asservita alle sue paturnie”.

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Van Gogh, il più grande pittore di tutti i tempi. “Van Gogh non è più bravo di Caravaggio o di Raffaello, ma rispetto alla reazione che suscita è il più grande pittore di tutti i tempi. Riesce a depositare sulla tela un tale grado di dolore che la sua opera è il diario di una vita tormentata”.

Frida non si dipinge, si sogna. “Frida Kahlo ha una immediatezza che prende alla pancia, molte donne la percepiscono come una specie di alter ego. Donna romantica, comunista, libera, con un rapporto estremo con il pittore Diego Ribera, non si dipinge, si sogna”.

Pietro Ghizzardi: una scoperta. “Come Modigliani, Ghizzardi è ossessionato dalla stessa forma. Ghizzardi raffigura il trasporto erotico inesprimibile e inappagato, fa sentire il desiderio e il tormento, vagheggia la bellezza femminile dentro una ragnatela di forme”.

Bacon e Freud, gli ultimi umanisti. “In un’epoca di avanguardia e di informale, Francis Bacon e Lucian Freud sono gli ultimi pittori umanisti, che mettono l’uomo al centro del mondo pittorico. Hanno sconvolto lo schema dell’arte fatto di tendenze con la loro potente individualità”.

Caravaggio, l’inventore della fotografia. “Caravaggio è l’inventore della fotografia come istantanea, che vede la realtà per quello che è. Il Ragazzo morso da un ramarro è come la fotografia del miliziano colpito a morte di Robert Capa: Caravaggio coglie il momento della faccia che si deforma. Allo stesso modo Giuditta e Oloferne ricorda le esecuzioni compiute dall’Isis ai danni dei giornalisti occidentali, il momento del coltello che spicca la testa”.

La curiosità morbosa, inappagata. “Caravaggio piaceva per il suo mondo al limite della moralità, perché è morboso. Nel Bacchino malato raffigura un ragazzo con la pelle gialla e le labbra viola, sceglie di dipingere l’ombra del male, la realtà malata. D’altronde, quando accade un incidente stradale rallentiamo per vedere l’orrore, siamo curiosi anche del sangue: Caravaggio ha capito questo aspetto dell’uomo prima di tutti”.

Politica e follia: Berlusconi. “Berlusconi che fa le corna durante una riunione dei capi di Stato ha per modello Amici miei, sembra il Conte Mascetti. Ricorda un po’, ma non bisogna dirglielo sennò si incazza, Roberto Benigni, il suo carisma è la beffa, prende in giro le cose serie. Eppure, certa stampa si è ostinata a fare del Conte Mascetti una specie di Diabolik. Che il più grande contribuente italiano sia considerato un evasore, ad esempio, mi pare una cosa pazzesca”. Interruzione momentanea, interviene l’antiberlusconiano. Sgarbi si arrabbia (e il pubblico esulta). “Essere condannato perché uno scopa mi pare una cosa inaccettabile, una azione grottesca. Non voglio pagare con i miei soldi un magistrato che prosegue le sue indagini del c***o, non lo voglio pagare”.

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Marco Pannella. “Non gli perdono il referendum per abolire i Ministeri del Turismo e dell’Agricoltura. Cos’è l’Italia senza turismo? Come le Maldive senza il mare”.

Francesco Cossiga. “Appartiene a una generazione politica in cui eri ancora qualcuno, in cui appartenere a un partito era ragione di identità. Ha vissuto l’integrità della politica”.

Angelino Alfano, Denis Verdini. “Non si possono vedere. Dopo aver preso tutto a Berlusconi adesso sono diventati i leccaculo di Renzi”.

Beppe Grillo. “Piuttosto che votare la merda, gli elettori votano Grillo. Non ha identità, non è politica. Con Grillo vince il principio della scheda bianca e del ‘vaffa’, la sua è un’area di protesta”.

Matteo Renzi. “L’erede naturale di Berlusconi. Ha svuotato il Pd rendendolo un partito democristiano. Ha capito che in politica il potere è ottenere risultati. E ha fatto ciò che Berlusconi ha promesso ma non ha ottenuto. Un professionista capace, ma debole nei contenuti”.

Capra, capra, capra. “Un modo per prendere meno querele. Lo ‘stronzo’ ne prende molte, la ‘capra’ nessuna”.

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Massimiliano Gallo, la prevalenza del cattivo

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Massimiliano Gallo

Massimiliano Gallo

Al cinema ha interpretato il boss Valentino Gionta in Fortapasc di Marco Risi, in tv Antonio Bardellino ne Il clan dei camorristi. Oggi Massimiliano Gallo, figlio di Nunzio, esponente di primo piano sulla scena musicale napoletana a partire dagli anni Cinquanta, torna nelle sale con Per amor vostro di Giuseppe Gaudino. Il film, che alla Mostra del Cinema di Venezia è valso la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile a Valeria Golino, lo vede protagonista nel ruolo di Gigi Scaglione, padre di famiglia violento e usuraio senza scrupoli. Ma come ci si addentra nel male? Come fa un attore ad immedesimarsi con un personaggio senza possibilità di redenzione? Ce lo racconta lui stesso.

Come sei riuscito a rendere credibile un personaggio così negativo come quello di Gigi Scaglione?

Mi sarebbe piaciuto avere modo di lavorare su qualche sfumatura positiva del personaggio ma poi, lavorando con Gaudino, ci siamo accorti che non c’èra possibilità di giustificarlo. Gigi Scaglione doveva essere un personaggio netto in modo da essere funzionale al percorso di riscatto di Anna Ruotolo (interpretata da Valeria Golino, n.d.r.). E’ stato molto faticoso per me girare delle scene di violenza domestica che mi risultavano pesanti da un punto di vista psicologico.

Da dove trai ispirazione per interpretare personaggi così violenti?

Non è poi così difficile trarre ispirazione dalla realtà riguardo agli episodi di violenza visto che siamo un Paese ancora molto indietro rispetto al femminile. Con Gigi Scaglione ho messo in scena un uomo che esiste e che bisognerebbe mettere sotto una lente di ingrandimento per far riflettere. Scaglione è un personaggio pieno di rabbia e del tutto incapace di amare e di comunicare con la propria famiglia.

Come dialoghi con il male anche rispetto ai malavitosi che hai interpretato spesso nella tua carriera?

Rispetto a Gigi Scaglione il percorso è stato diverso. In lui non ci sono tratti di umanità. Nei malavitosi che ho interpretato, anche quando erano dei boss, mandanti di numerosi omicidi riscontravo un grande amore per la propria famiglia. Immaginavo che avessero avuto un percorso di vita difficile ma che fossero comunque capaci di amare. Mi facevano pensare a tutti i latitanti che venivano traditi proprio dalla voglia di telefonare alle proprie compagne o alle madri.

Non interagisci con il tuo lato oscuro tramite le loro storie di vita?

Ogni attore dovrebbe fare un grande lavoro di introspezione. Io insieme ad una psicologa sono da tempo impegnato in dei corsi di teatro terapia che mi hanno aiutato a trovare delle nuove chiavi di lettura per i ruoli che interpreto. L’attore non ha possibilità di nascondersi perché questo è importante sottoporsi a de i percorsi terapeutici che ti danno la forza di aprirti senza paura e di superare quei dolori che possono eventualmente frenarti.

Il bello del film di Gaudino è che tutti i personaggi sono raccontati sul filo dell’ambiguità, la stessa Anna non è esente dal peccato di omertà.

Senz’altro. Leggendo la sceneggiatura abbiamo subito colto un forte elemento di realismo. Anna non è un’eroina ma una donna che commette un peccato di ignavia. Il suo non è il percorso di una santa ma di una donna vera che si confronta con due uomini veramente poco rispettabili.

Ma per queste persone esiste veramente una possibilità di riscatto nella vita o alcuni nascono semplicemente sotto una cattiva stella?

Io credo che il messaggio di Gaudino arrivi forte e chiaro: non abbassiamo la testa, non facciamo finta di non vedere. Noi siamo artefici del nostro destino. Dobbiamo prendere coscienza di chi siamo.

Valeria Golino ha parlato delle difficoltà che avete riscontrato durante le riprese del film. Quanto è difficile oggi girare un film nel napoletano?

Non credo che si tratti solo di un problema regionale ma che riguardi tutta l’Italia. Noi non abbiamo un industria del cinema che garantisca spazio a qualsiasi prodotto. Per ogni film c’è bisogno di gente che creda in quel progetto e unisca le forze per mettersi alla ricerca dei capitali che servono per finanziarlo. Figurarsi poi se si tratta di un film d’autore senza garanzia di incassi come possono essere le commedie di Natale.

Cosa ne pensi della rappresentazione cinematografica di Napoli negli ultimi tempi?

Napoli è una città in fermento che riesce sempre a mettere in gioco grandissimi talenti da Paolo Sorrentino che va a rappresentarci in America a piccole realtà musicali come i nuovi rapper Rocco Hunt e Clementino passando per il passaggio epocale di Pino Daniele. Quello che detesto sono invece i luoghi comuni che sono molto difficili da combattere. Credo che vi sia una volontà politica ben precisa nel far male alla città di Napoli.

Di Gomorra cosa ne pensi? Sei tra i detrattori?

No, non potrei andare contro un prodotto di tale qualità. Poi quanto riguarda la presunta mitizzazione dei criminali io trovo molto più violenti gli interventi dei nostri politici in tv che non gli episodi di Gomorra. Se vivessimo in un Paese con una classe dirigente onesta allora la polemica ci potrebbe anche stare ma non è questo il caso.

E del rapporto tra Napoli e il sangue di cui scriveva Giuseppe Marotta?

Parlare di quella Napoli ha due spiegazioni: da una parte la responsabilità di raccontare fatti di cronaca che continuano ad accadere e dall’altra proporre figure malavitose che hanno da sempre esercitato un grande fascino sullo spettatore. Vedi il successo di Scarface o de Il Padrino.

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Vittoria Puccini sul tetto che scotta

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La gatta sul tetto che scotta, foto di scena

La gatta sul tetto che scotta, foto di scena

Sempre dolce e, allo stesso tempo, determinata e aperta al confronto. Si presenta così Vittoria Puccini, incontrata in occasione della conferenza stampa di presentazione della stagione 2015-2016 al Teatro Manzoni di Milano. Grazie a una lunga gavetta tra lavori per cinema e tv in cui si è distinta per la sua intensità (basti pensare a C’era una volta la città dei matti di Marco Turco) e professionalità, si è messa in gioco ed è riuscita a farsi amare da migliaia di spettatori anche per quella semplicità e profondità che traspare dal suo viso.

L’attrice arriverà finalmente a calcare le tavole di uno dei teatri storici del capoluogo meneghino (dall’11 al 28 febbraio 2016), oltre a toccare altre città in giro per il nostro stivale, e lo farà con un testo del 1955 di un autore come Tennessee Williams, La gatta sul tetto che scotta, affiancata da Vinicio Marchioni e diretta da Arturo Cirillo. Quest’ultimo ha parole di elogio verso la prima esperienza teatrale della Puccini, descrivendo così il suo approccio: «si è posta con l’intelligenza, la forza, la resistenza di imparare giorno per giorno facendo questo spettacolo, sì perché il teatro si fa quotidianamente e, anzi, andrebbe rifatto sempre come se fosse la prima volta. Questo atteggiamento da parte sua mi ha molto commosso». La pièce subisce un po’ la spada di Damocle del famoso lungometraggio del 1958 con Elizabeth Taylor e Paul Newman, ma quando lo vedrete vi consigliamo di sgomberare la mente e pensare a vivere solo questa messa in scena, nell’hic et nunc del momento.

Temete il confronto con la trasposizione filmica?

Al confronto non bisogna pensarci (lo dice sorridendo, ma con grande rispetto e umiltà), anche perché il testo teatrale è molto diverso dalla sceneggiatura cinematografica. Arturo, oltre a un gusto retrò nella scena, ha voluto cercare una contemporaneità parlando della crisi di coppia, di un marito e una moglie che vivono un rapporto formale e lei non accetta più questa condizione. In questo Maggie è anticonformista, cerca di riscoprire l’amore e ricostruire un rapporto non in base alle convenzioni sociali.

Il regista, Arturo Cirillo, ha sottolineato come questo testo di Tennessee Williams richieda attorialmente una messa in gioco dei propri sentimenti. Ci può raccontare, per ciò che si sente di dirci, che cosa Le ha comportato sul piano emotivo. Cos’ha scoperto?

Ho scoperto moltissime cose perché è stata un’esperienza molto intensa, visto anche il testo così complesso pure sul piano tecnico. Maggie apre la pièce con un monologo molto lungo perciò difficile e che tutte le sere mi obbligava a non risparmiarmi mai, è un tipo di personaggio su cui non puoi far prevalere la stanchezza che provi magari quella sera o se sei influenzata, devi sempre spingere al massimo. Ci entri dentro con tutte le scarpe e, appunto, comporta sempre un’emotività piuttosto alta, stiamo parlando di una donna molto passionale, che vive tutte le emozioni con un’intensità e un’autenticità forti, che io ho cercato di riportare emozionandomi e facendomi completamente coinvolgere sul palco da lei.

Com’è stato quest’incontro con un regista e attore che ha respirato per tanto tempo la polvere del palcoscenico e conosce bene il mondo teatrale?

È stato meraviglioso lavorare con lui, è un artista con un talento speciale ed è stato subito accogliente nei miei confronti, il che non era scontato venendo io da un tipo di formazione diversa, più cinematografica e televisiva. Si è posto senza nessun tipo di pregiudizio, completamente aperto, con la voglia di cercare il buono che poteva trovare dentro di me e, anzi, teso a utilizzare questa mia freschezza e l’esperienza portata dal background differente per metterle a servizio di questa messa in scena.

Riallacciandoci proprio al pregiudizio, capita che un critico di teatro puro si approcci un po’ con diffidenza verso chi “improvvisamente” passa dal cinema a un ruolo da protagonista in teatro. Lei cosa pensa di questa posizione? Come la vive?

Io sapevo che sarebbe stata una sfida impegnativa, importante e che sarebbero potuti arrivare dei consensi così come delle critiche o impressioni negative per cui ho cercato di concentrarmi su di me, sull’importanza che aveva per me quest’esperienza. Io l’ho voluta fortemente fare, sono felice che sia accaduto e sono contenta di riprendere la tournée e riviverla quest’anno. Poi, mi sono focalizzata soprattutto sul rapporto col pubblico perché, alla fine, è quello l’aspetto più importante. Tentare di conquistarlo, sentirlo anche perché l’andamento dello spettacolo prende sempre direzioni diverse a seconda di ciò che avverti mentre sei in scena. Il rapporto col pubblico è circolare per cui ciò che rimandi a lui, poi ti torna indietro e questo aspetto mi è piaciuto moltissimo. È impagabile la soddisfazione che si prova nel ricevere gli applausi o persone che ti aspettano dopo la replica apposta per incontrarti e farti i complimenti.

Come mai, secondo Lei, si ragiona ancora un po’ a compartimenti stagni?

Io credo che prima c’era più questa forma mentis, tanto più tra cinema e televisione, e che sia un atteggiamento molto italiano perché in America o in Inghilterra non esiste come differenziazione. Oggi si sta sdoganando, gli attori riescono più a dividersi tra piccolo e grande schermo, l’attore è attore punto. Il nostro approccio al personaggio non cambia, può mutare tecnicamente perché ovviamente sono strumenti diversi, ma il modo di entrare in un personaggio e farlo proprio è identico indipendentemente dal mezzo tramite cui ci si esprime.

Sembra che il teatro stia riguadagnando terreno. Se lo si mette a confronto con la visione di un film, forse è diventato più “forte” rispetto anche all’effetto che ha sugli spettatori proprio per la sua peculiarità di essere un evento unico e irripetibile. Lei che lo ha provato da poco in prima persona che sensazione ha avuto?

La bellezza del teatro sta proprio nel fare ogni sera una rappresentazione diversa. Per quel che mi riguarda, durante la scorsa tournée ho visto solo teatri pieni di persone e anche di varie età, è stato un segnale che mi ha colpita in virtù anche del fatto di essere alla mia prima volta. C’è molta curiosità, attenzione e voglia di andare a teatro. È meraviglioso rendersi conto di come il teatro riesca ad arrivare a tutti, a unire anche persone di estrazione sociale diversa, caratteri differenti.

Lei ha definito Maggie un’anticonformista e questo mi fa pensare a quello che ha affermato rispetto a Oriana Fallaci in un’intervista: «L’hanno definita in mille modi. La mia impressione è che affrontando il rischio di risultare antipatica o scorretta, Fallaci si sia fatta guidare soprattutto dall’istinto. Di essere impopolare o al passo con le mode non le importava nulla. Sentiva. Agiva. La parola chiave per lei è sempre stata indipendenza». Tornando a Lei, Vittoria, segue un po’ questa logica di indipendenza?

Sono dei personaggi molto diversi, io cerco di mantenere una mia autenticità, senza costruzioni.  Fingo quando recito, quando interpreto un ruolo, però, nei rapporti con gli altri, anche in circostanze come una conferenza stampa o un’intervista, non costruisco un personaggio, ma porto esclusivamente me stessa. Le riflessioni, i sentimenti arrivano di più quando nascono da una necessità autentica e questo è l’elemento fondamentale, è la passione che ti spinge in questo lavoro.

Nel testo de “La gatta sul tetto che scotta”, tra le varie tematiche, si tratta l’omosessualità nell’ambito famigliare su cui lo stesso Cirillo ha affermato che siamo ancora effettivamente indietro. Lei cosa ne pensa tenendo conto anche della questione delle adozioni da parte delle coppie omosessuali?

Nell’ambito del rispetto degli altri che è basilare, sarà semplice e banale come frase ma attuo il modus vivendi per cui il mio spazio finisce dove inizia quello dell’altro, avendo premura di non fare mai cose che possano turbare. Detto questo, penso sia giusto che le persone siano libere di vivere in base a ciò che sentono, non ho preconcetti, per me l’importante è che ci sia amore. Anche per quanto riguarda le adozioni, se si pensa anche alle donne single, ci sono tanti bambini che hanno bisogno di una famiglia e se gli viene fornito amore credo che questa sia la cosa essenziale, insieme alle attenzioni e al senso di responsabilità quando si fa la scelta dell’adozione.

Qualche giorno fa sulla cover di Vanity Fair c’era Jane Fonda, la quale pur avendo settantasette anni ne dimostra trenta o al massimo quaranta. Come vive lo scorrere del tempo?

Per ora la vivo bene, però richiedimelo tra vent’anni! Senz’altro posso dire che non mi spaventa, non è una mia ossessione nel senso che ho un buon rapporto con me, però è anche vero che sto crescendo bene, quando inizierò a vedere i primi segni, forse, lì potrò risponderti con più cognizione di causa.

In stagione al Manzoni ci sarà uno spettacolo, Calendar Girls, in cui donne di mezza età decidono di posare nude per un calendario per raccogliere fondi per la battaglia contro la leucemia e la pièce è ispirata a una storia vera. Facendo un passo indietro, Angelina Jolie ha fatto molto parlare di sé per il suo gesto di prevenzione per paura del cancro, Lei cosa ne pensa?

Sono scelte troppo personali e nessuno di noi può avere il diritto di giudicare una decisione di questo tipo – a parte che non sono noti tutti i dettagli. Ognuno è giustamente libero di fare una scelta in base, tra l’altro, a dei test scientifici, però ogni caso è a sé e non si può generalizzare. Si tratta di aspetti talmente delicati che riguardano se stessi, il proprio corpo e anche il senso di responsabilità nei confronti dei figli e della famiglia. L’unica cosa che mi sento di dire è che trovo molto bello che lei abbia voluto condividere una cosa così intima con tutti perché purtroppo l’informazione su questi temi è molto importante e spesso ce n’è troppo poca rispetto a quella che servirebbe. Credo sia stata molto generosa e altruista nell’utilizzare questo suo grande potere mediatico per raccontare la sua esperienza e informare le persone.

Le è venuto spontaneo domandarsi cosa farebbe lei?

Credo che ci si debba trovare in quella situazione, a priori e in teoria non si può prendere una decisione del genere. Ribadisco tutta la mia stima per ciò che la Jolie ha fatto.

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SCORRETTISSIMO MA VERO

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Solenghi: Un po’ d’anima al diavolo la devi vendere…

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Tullio Solenghi

D: un episodio Off della tua carriera?

R: Il mio provino al Teatro Stabile di Genova. Io venivo dai “bricchi” che in genovese vuol dire dalla montagna, mi sentivo montanaro, avevo la sindrome del provincialismo. Avevo cercato di documentarmi per fare il provino. Non avendo molta pratica con le letture teatrali non me la sentivo di portare una cosa sulla quale non ero sicuro. Mi presentai con i primi versi di “A Silvia” di Leopardi recitati in tutti i dialetti italiani!

D: E la commissione come reagì?

R: Arrivò questo Ufo capisci? Chi presentava Amleto, chi faceva Ibsen, Beckett, invece vedono arrivare questo pazzo che si mette a fare i dialetti. C’era Squarzina. Silenzio, stupore, tutti cominciarono a ridere a crepapelle. Pensavo da provinciale:” ridono di me o per me?” Quando arrivò la lettera di convocazione capii che ridevano per quello che facevo. Un provino Hellzapoppin!

D: È stata in quell’occasione che hai conosciuto Massimo Lopez?

R: Ho conosciuto Massimo tanti anni dopo. Io ho debuttato, ho fatto sette anni di militanza allo Stabile di Genova. Mi davano sempre due battute, pure avendo avuto un esordio clamoroso: debuttai facendo il figlio in “Madre Coraggio” con Lina Volonghi. Quando mi sono ritrovato a battute due, mi sono rotto le le balle: ” Faccio il Cabaret! Mi scrivo i testi” L’attore che mi sostituì per una battuta in un Pirandello fu Massimo Lopez.

D: Non si pensava ancora a un sodalizio..

R: No, non si pensava a un sodalizio. Poi quando debuttai nel Cabaret mi inventai un numero solo con i rumori. Venni a sapere che anche Massimo si dilettava con i rumori e allora ci incontrammo in un bar di Corso Sempione a Milano e gli dissi:” sarebbe bello montare uno spettacolo assieme fatto di soli rumori”. Poi di nuovo persi, ognuno per conto suo, fino al grande debutto nel 1982 con il Trio.

D: E Anna dove l’avevi conosciuta?

R: a Torino. Stavo facendo una “marchetta”. E quando fai le cose in cui riponi meno attenzioni poi scattano certe cose interessanti e basilari. Facevamo una trasmissione per la Svizzera italiana registrata a Torino e rimasi impressionato.

D: Cosa ti colpì della Marchesini?

R: Il talento e soprattutto la sua grande capacità di giocare in territori che per una donna, un’attrice, sono ostili. Le attrici sono restìe a praticare la buffoneria, la clowneria, il diventare brutte, orrende in un secondo. Lei ha avuto anche un carattere molto tosto. Metteva in riga i maschi!

D: Chi era il regista di voi tre? A chi era affidata l’ultima parola?

R: Di sicuro io e Anna. Noi due avevamo un ruolo più istituzionale. Ognuno di noi è autore al 33,3 percento periodico di Siae assolutamente legittimo. Massimo è sempre stato un Pierrot che dovevamo afferrrare, con intuizioni diaboliche. Io e Anna eravamo più organigramma.

D: c’era un organizzatore, un amministratore?

R: c’era un organizzatore che proposi io, Tito Antoccia che aveva lavorato al Teatro Argentina di Roma con Squarzina, al quale abbiamo affidato le chiavi del regno. Lui poi, ha spadroneggiato per una decina d’anni con alle spalle il Trio. Era molto professionale intendiamoci, alcune scelte le ha indicate anche lui, ma era avallato da noi tre.

D: Eravate mitici. Io ero ragazzino e a scuola si riportavano le vostre gag. Nei teatri poi c’era la ressa!

R: Sì. C’è la foto storica della coda davanti al Teatro Nuovo di Milano. Non si è mai vista una coda così. Mi ricordo che un giorno venne in camerino la maschera del Teatro Nuovo e disse (in accento milanese):” Oggi siete arrivati alla tabaccheria. Avete battuto anche il Dorelli!” La coda faceva il giro dell’angolo della strada e Dorelli non c’era arrivato. Noi esauriti ovunque, a qualsiasi latitudine, da Palermo a Genova, la mia città. Ognuno di noi è un bravo attore, insieme siamo stati fenomeno.

D: hai citato Genova. Facciamo un passo indietro: hai fatto uno spettacolo con Beppe Grillo!

R: A Milano feci un provino al Derby, che era come La Scala del Cabaret e il mitico Bongiovanni che mi ascoltò alla fine della giornata. Lui faceva radunare i camerieri e ti faceva esibire davanti a loro. Se i camerieri ridevano eri accettato. Mi propose di entrare in stagione da gennaio. Io ero impaziente, eravamo a ottobre e allora andai in un altro locale, il Refettorio che adesso non c’è più; lì c’era Maurizio Micheli che faceva i suoi spettacoli e Scarfò, l’impresario, mi affiancò a un altro genovese: Beppe Grillo. Io facevo il primo tempo e lui il secondo. Nacquero le famose battute di Grillo. In platea c’erano tre spettatori. E lui diceva:” l’importante è che ridano in due, perché se ridono in due ha riso il 70% del pubblico!”

D: Come vedi oggi la sua predicazione sfociata in politica?

R: I politici hanno commesso molte porcate. Hanno lasciato un’Italia corrotta. Lui a volte ha la battuta un po’ troppo velenosa , la provocazione, ma ha dato un’alternativa.

D: Vi sentite?

R: È venuto ad abitare al mio paese, Sant’Ilario, sopra Nervi. Lì c’è mio fratello e quando ho fatto una passeggiata con le mie figlie l’ho incontrato e abbiamo ricordato i vecchi tempi, i trascorsi.

D: Raccontaci un episodio che avete rievocato

R: C’era una coppia di cabarettisti che erano due amici per la pelle, inseparabili. Uno voleva fare il Cabaret, l’altro faceva l’elettricista. Erano davvero inseparabili. Facevano il numero insieme. Uno diceva le battute, faceva il monologo e l’altro in tempo reale montava un lampadario. Sembrava un numero di Beckett! E ricordava Grillo (facendone l’imitazione): “quello andava via e lasciava il lampadario, capisci? Questo qui del locale si ritrovava un lampadario montato! Roba da matti!”(ride)
Erano folli, completamente.

D: Allora il Cabaret era sperimentale

R: Dal primo Cabaret c’erano Cochi e Renato, Villaggio, Jannacci. Era un cabaret esplosivo. Quella era l’epoca di Claudio Villa, con dei personaggi così era come mettere una bomba in ambasciata.

D: De André lo hai conosciuto?

R: Come no. De André veniva spesso a vedere noi e ci portava la chitarra. L’ho rivisto tanti anni dopo. Lui era orgoglioso che io da genovese avessi montato questo terzetto di comici chiamato il Trio.

D: Come eravate visti voi del Trio dall’ambiente ufficiale del Teatro di prosa?

R: Gli addetti ai lavori ci adoravano. Ricordo una nostra prima: all’uscita Carlo Dapporto, Ugo Tognazzi, Celentano ci diceva: ” quando soffro d’insonnia metto su il Trio!” Fiorello ha dichiarato che i suoi maestri sono Totò e il Trio.

D: e la critica?

R: Arriccia sempre il naso. Abbiamo avuto delle critiche ingenerose.

D: ti ricordi una pesante stroncatura?

R: su La Notte. Un quotidiano milanese che usciva di pomeriggio. Dopo i Promessi sposi ci fu la mania delle parodie. A Canale 5 ne fecero una sui Tre Moschettieri e quel critico scrisse che finalmente quella era una parodia e non quella cosa becera del Trio Solenghi-Marchesini-Lopez. Questa cosa fece soffrire; poi di quell’altro sceneggiato se n’è persa traccia.

D: mi ricordo di un tuo Khomeini in televisione. Hai veramente vissuto un momento da guerra fredda?

R: Abbiamo vuto una settimana calda. Erano arrivate delle velate minacce. Io ebbi personalmente un momento di terrore. Vivevamo a Roma, io mia moglie e le due bimbe. Il primo anno in un residence in via Stresa e c’erano anche degli stranieri.
Una sera rientro dalle prove, salgo in ascensore e sale un altro assieme a me. Caratteristiche somatiche: un arabo. Mi guarda, mi fissa e: “Tu Khomeini??” Dico dentro di me:” Porca troia!!” Non potevo negare: Sì. Pausa. Mi abbracciò: “Complimenti!” Era iracheno. La presa per il culo gli andava benissimo.

D: Oggi sarebbe possibile un’imitazione del genere?

R: la situazione si è talmente evoluta in maniera terrificante che passerebbe inosservata. Ci sono stermini di massa, si è andati oltre. Una parodia sarebbe irrilevante.

D: Nell’integralismo non c’è ironia

R: Secondo me la frase di Marx andrebbe rivista e aggiornata: la religione non è l’oppio dei popoli, oggi è Lsd dei popoli! L’oppio ti porta nel mondo onirico, oggi sono una droga cattiva, un pretesto per uccidere.

D: Poi c’è stata un’altra parodia scandalo in prima serata: San Remo che recita: ” In Christian, per Christian, con Christian…”

R: quella volta ho avuto problemi con mia madre, da fervente cattolica si era disturbata. San Remo è stato un incidente. Se fai il comico devi cercare messaggi trasversali, hai delle responsabilità, andare a rimestatre nel sacro è inutile.

D: Tullio, hai da poco festeggiato quarant’anni di matrimonio! Come si fa col mestiere, il successo, a rimanere uniti?

R: Basta non andare sui giornali. È meraviglioso artigianato che deve rimanere lontano dalla vita privata. Prima c’è il Tullio Solenghi casa, famiglia, che diventerà nonno a ottobre, poi c’è il mestiere. Altrimenti diventi schiavo del successo prima e dell’insuccesso poi.

D: Ci sono riusciti anche Anna e Massimo secondo te?

R: Sì. La nostra fortuna è stata quella di arrivare al successo già quarantenni, con tanto teatro alle spalle, doppiaggio, avendo già capito com’era l’ambiente.

D: Risolviamo il mistero: come si è sciolto il Trio?

R: quando si è amici basta dirselo. Abbiamo inventato le nostre cose dicendo: quando la vena creativa, quando il divertimento diventerà lavoro e non sarà più libero cazzeggio, allora forse conviene lasciar perdere. La gente oggi è ancora in crisi di astinenza.

D: Siete inimitabili. Appena ci provano si rimpiange l’originale. Quali erano le singole aspirazioni di Tullio, Anna e Massimo?

R: di sicuro c’erano delle tendenze, delle tentazioni che venivano sempre mediate dal Trio. Anna è sempre stata la più “ronconiana”, Massimo voleva fare scelte più facili, amava fare il presentatore alla Mike, io Tullio, mediavo tra i due. Alla fine facevano quello che dicevo io senza dirlo.

D: La televisione ti andava stretta?

R: se parti dal fatto che sei un attore di teatro, la televisione ti andrà sempre stretta. Altrimenti ti fai il tuo spazio Off, Cult, all’una di notte, ti vedono in dodici compresi i tuoi genitori che ti vogliono bene ma è un altro discorso. Noi abbiamo fatto quattordici milioni di ascolti! Un po’ di anima al diavolo la devi vendere.

D: Berlusconi con voi non ci è riuscito?

R: ci ha provato due volte. Ci ha ricevuto a casa sua in via dell’anima a Roma. È simpatico non è mica il diavolo. Allora c’era una grande differenza tra Canale 5 e la Rai. Ci propose il triplo del nostro cachet e la direzione artistica della rete. Poi ci chiese di dare una mano a Mike in un programmma del mattino. Non ce la siamo sentita.

D: Pippo Baudo dirà: ” Li ho scoperti io!”

R: È vero. Mi ha scoperto lui. Mi ha portato in televisione. Gli ascolti che abbiamo fatto con Fantastico di Baudo! Il Trio però era già nato.

D: Quanto materiale avete scartato?

R: Tantissimo! Dal cazzeggio corale si buttava giù su carta, si verificava. Se questo materiale non raggiungeva l’unanimità di tutti e tre, veniva scartato. Sarà arrivato in televisione un 20% di tutto il materiale che abbiamo scritto.

D: Come autore, non avete fatto entrare nessun altro?

R: Mai. Nessuno.

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Salemme: Eduardo mi prese perché sembravo affamato

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Vincenzo_SalemmeVincenzo, ci racconti un episodio OFF degli inizi della tua carriera?

Ricordo con particolare simpatia l’incontro con Eduardo De Filippo, l’incontro più bello della mia vita. Un attore della sua compagnia, Sergio Solli, mi accompagnò a Cinecittà e mi presentò Eduardo che stava cercando comparse per le registrazioni delle sue commedie. Solli gli disse “Diretto’, stu guaglione vorrebbe fare una comparsa”. Eduardo mi guardò, e gli fui subito simpatico, forse perché ero particolarmente magro e sciupato. E disse “Facciamogli dire qualche battuta, così prende la paga di attore”. Infatti guadagnai bene, e finalmente, secondo lui, mi rimisi in sesto. (ride, n.d.r.) Poi mi provinò per la commedia successiva, ed entrai nella sua compagnia. Quella fu la mia svolta. Ero iscritto all’università, ma feci solo tre esami perché nonostante mi piacesse studiare iniziai le tournée con Eduardo e fui costretto a lasciare.

Cosa ha significato per te lavorare con un grande del teatro mondiale come Eduardo?

A diciannove anni hai una percezione diversa. Per me era come essere in famiglia, sentivo affetto. Fu un anno irripetibile, una luna di miele. Capivo che stavo vivendo il più grande uomo di teatro del mondo. Laurence Olivier volle conoscerlo e lo portò in Inghilterra, le sue commedie erano recitate in Russia… Mi ricordo per esempio che Ingrid Bergman venne al Quirino di Roma a vederlo. Massimo Troisi nel 1981 al Teatro Tenda per conoscerlo.

Un aneddoto particolare del vostro rapporto? Ti dava consigli?

Eduardo era un regista talmente grande e semplice da dire poche cose. Bastava solo che facesse sentire come dire una battuta per farti capire immediatamente il personaggio. Per esempio, nell’atto unico Gennariniello io ero un ingegnere stralunato. Beh, per spiegarmi il ruolo Eduardo fece solo riferimento al personaggio che Andy Luotto interpretava accanto ad Arbore nel programma L’altra domenica, e mi disse “O’ tenit’ presente chillo scemo arret’ ad Arbore? Quello è il personaggio”. E io capii. Fu un successo, ricordo il debutto a Firenze. Avevo vent’anni, ero giovanissimo.

Poi nel 1990 sei diventato capocomico…

Nel 1990 misi in piedi una compagnia con mia moglie Valeria, la Chi è di scena. Ma in realtà già nel 1986 io e Gianfelice Imparato portammo in scena due spettacoli scritti da noi. Nella mia compagnia sono passati poi Carlo Buccirosso, Nando Paone, Maurizio Casagrande, Daniele Marazita, Gigi Savoia. Daniela ha scritto un libro bellissimo Hai appena applaudito un criminale, è bellissimo. È un libro “povero”, non sto facendo pubblicità occulta. (ride n.d.r.)

Qual è il segreto per far ridere?

Non c’è un segreto. C’è bisogno di scuola, tecnica, esperienza. Ma sono due le cose, o fai ridere o non fai ridere. Io, per esempio, quand’ero ragazzo qualsiasi cosa dicessi facevo ridere. Adesso per fortuna riesco ad essere ascoltato anche quando dico cose serie.

Di donne quante ne hai fatte ridere?

Parecchie, io le colpisco soprattutto per la mia simpatia. Poi sì, per fortuna qualcuna si è innamorata, ma risulto soprattutto simpatico.

Sulla home page del tuo sito c’è scritto “non si può amare per essere felici, ma bisogna essere felici per poter amare”.

La nostra è una società che non ti insegna ad amare, siamo tutti spaventati, rinchiusi in noi stessi, nel nostro egoismo. Noi amiamo per bisogno. Ma il bisogno non è amore, è dipendenza. Noi più che darne chiediamo amore per essere felici. Ma non si può amare per essere felici. Bisogna prima essere felici, e poi amare.

La politica italiana fa ridere?

Purtroppo chi non ha un lavoro, chi deve portare avanti una famiglia, chi vorrebbe il rispetto della giustizia, della sicurezza per strada, chi soffre, no, non può ridere della politica, ma arrabbiarsi. La politica è bella, nobile. Solo chi è più intelligente di me e di te può governarci, non chi lo è meno. La politica deve essere fatta da uomini intelligenti che si vogliono bene. Poi si, si può ridere e scherzare sulla politica, ma non adesso. Ora le cose continuano ad andare male. Ognuno di noi deve rimboccarsi le mani, fare i conti con la propria coscienza e dare il buon esempio, perché solo se ci sarà un buon popolo ci saranno anche dei buoni politici.

 

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Quando Agnelli mi trovò nel letto con due uomini

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Marina Ripa di Meana, decenni turbolenti e adesso una confessione: “sono contraria ma ho abortito” ha detto la profetessa lo scandalo dagli anni 80 con il suo “I miei primi 40 anni”. La notizia, semmai, è che la maestra di trasgressione e salotti sia contraria. Proponiamo qui l’intervista Cult alla Ripa di Meana

Marina, ci racconta un episodio OFF?

La fuga da La Fattoria. Per me i reality sono da sempre un orrido fumo negli occhi, ma ero in un momento in cui mi faceva molto comodo accettare la cifra che mi avevano offerto. Pensavo di andare lì marina ripa di meanaad affrontare questioni ambientali e invece, giunta in Brasile, mi sono resa conto di essere circondata da una sgangherata mandria di buzzurri. L’unica simpatica era Barbara Guerra, che mi deliziava con gran massaggi. Ho organizzato a freddo la litigata con Fabrizio Corona – lasciandomi andare anche a dichiarazioni estremamente pesanti – fingendo un malore. Ho messo in atto una sceneggiata per fuggire via.

Credevo che avresti citato il bicchiere pieno di pipì su Vittorio Sgarbi...

Rivendico la grandezza di quel gesto perché era ispirato a Piero Manzoni: dopo la Merda d’artista, ecco il Piscio d’artista. A qualcuno, che malignamente ha messo in discussione le mie doti artistiche, ho risposto che l’arte è anche inventare una cosa simile.

Sei creativa come una piccola azienda familiare.

Non è stato difficile auto-crearsi, è stato naturale come il cacio sui maccheroni. Non avrei saputo fare altro. Tutto quel che è nato da un istinto naturale, è proseguito con una ferrea e seria disciplina. Sono da una vita concentrata sul mio circuito.

Sei alla ricerca del denaro a ogni costo?

Considero il denaro un elemento importantissimo, ma non perché ne sia assetata o schiava. I soldi sono importanti perché rappresentano il superfluo.

E infatti chiedi sempre lo sconto in ogni negozio in cui fai acquisti…

Certo che lo chiedo sempre. Pensa che l’altro giorno mi hanno telefonato da Venezia, dicendo che dei signori avevano chiesto lo sconto su un paio di Hogan spacciandosi per miei parenti.

Hai una collezione d’arte composta solo da opere avute in dono dagli artisti: pare che tu non ne abbia acquistato nemmeno una…

No, dài: qualcosina l’ho anche acquistata. In effetti, quello che ho avuto l’ho ricevuto dagli amici artisti e molto di più – purtroppo – l’ho anche venduto. Per esempio: in un momento in cui avevo bisogno di denaro, ho venduto un Fontana a 13 tagli; un pezzo bello e unico che – durante la permanenza a casa mia – destò la curiosità e l’interesse di molta gente. Oggi varrebbe oltre un milione di euro. Non sono mai stata ricca, povera semmai.

Sei mai stata con un uomo per soldi?

Una volta, per cinque milioni di lire. Mi sono dovuta prostituire per procurare la droga a Franco Angeli, il mio compagno dell’epoca.

Hai vissuto libera e senza pudore, eh?

Ho vissuto bene perché sono sempre andata incontro alle mie necessità, alle mie debolezze e ai miei desideri.

Nei tuoi primissimi libri a sfondo autobiografico, lasci abbondantemente intendere senza far nomi. Giovanni Agnelli, per esempio.

marina ripa di meanaArrivò a casa mia sull’Appia Antica, si affacciò alla porta della mia camera da letto e trovandomi a letto con Eliseo Mattiacci e Gino De Dominicis disse: «Siamo già in troppi», e se ne andò via.

Ti parlò mai di sua moglie Marella?

Una volta, in un ristorante a Parigi, mi venne incontro dicendo di aver visto in televisione La più bella del Reame. Mi disse che Marella, molto infastidita, lo invitò a non guardare più quelle stupidaggini. Effettivamente, va detto, non era un film d’autore.

Oltre alla moda, per cui hai lavorato per trentacinque anni, hai partecipato anche alle proteste animaliste: dal balcone di Palazzo Farnese contro Jaques Chirac, ai manifesti di nudo integrale.

Tutto è nato dalla fantasia e dalla creatività di una persona che non si è mai tirata indietro. Quella del nudo fu studiata da una grande agenzia che mi propose una serie di possibilità. Scelsi, tranquilla e impavida, la più vincente. Mio padre diceva sempre: «Marina non è coraggiosa, ma incosciente». Sposo la causa, senza chiedermi gli effetti. L’istinto non tradisce mai.

Lo rifaresti?

In parte l’ho fatto: qualche anno fa, in una trasmissione di Chiambretti, attraverso un fotoritocco che ha imbiancato tutto il contesto.

Non hai mai temuto i benpensanti dell’alta società.

Mai. Mi hanno sempre giudicato come qualcosa di orripilante. O forse peggio: come qualcosa che non si giudica perché non esiste. I benpensanti ti scaraventano nel cono d’ombra, ma tra me e loro non c’è mai stato feeling: «Non ti curar di loro, ma guarda e passa».

Marta Mazotto e Renato Guttuso. Marina Lante della Rovere e Franco Angeli.

Siamo stati molto amici e ci siamo molto frequentati. Guttuso ogni mattina andava a casa di amici per poter amoreggiare telefonicamente con Marta senza essere spiato da sua moglie Mimise. Un giorno, giungendo nello studio di Franco, lo trovò intossicato dall’eroina. Lo portò in ospedale e gli salvò la vita. Quella era una Roma irripetibile, piena di menti illuminate come quelle di Pierpaolo Pasolini, Tano Festa, Mario Schifano, Alberto Moravia.  Una Roma diversa da quella che passa oggi il convento.

Tipo quella di Ignazio Marino?

Non parliamone. Marino è un disastro. È stato un succedersi di gestioni amministrative non brillanti ma quest’ultima ci ha scaraventato proprio alla frutta. Non so dove andremo a finire. Peggio di così…

E il Maxxi di Giovanna Melandri?

Lei ce la mette tutta, poveretta. Ma non si vedono grandi risultati. Non mi è piaciuta quella pantomima sullo stipendio: «Non lo prendo», e poi ha cambiato idea. L’immagine è totalmente diversa da quella della raffinata e coraggiosa Palma Bucarelli. A Roma ormai viviamo in un’intollerabile mediocrità mista a zozzeria.

A proposito di Roma. Sei reduce da giorni di sit-in a piazza San Pietro a sostegno dei Marò.

Ecco, l’unico segnale positivo di questa Era è Papa Bergoglio, che sta contribuendo instancabilmente a farci uscire dalla mediocrità. Ci stiamo appellando a lui affinché ci dia una mano a far tornare a casa quei due ragazzi. Grandi chiacchiere sia da Emma Bonino che da Roberta Pinotti, ma senza alcuna forza e autorità per imporsi. E il Paese fa la figura del peracottaro.

Emma Bonino, dopo essere stata defenestrata dagli esteri, è sparita. 

E certo, spera nella presidenza della Repubblica. S’è defilata per pensare al suo intento. Non sarebbe male. Potrebbe essere una svolta.

Prima o Seconda Repubblica?

Non mi piace entrare nella categoria di quelli che rimpiangono il passato dicendo che era migliore. Ma effettivamente è così. Speriamo bene, anche se c’è poco da sperare.

C’erano meno bigottismi. Vogliamo parlare delle “senonoraquandiste”?

Anche le mignotte hanno la loro dignità.

E ti adorano tanto.

Quando abitavo in via Borgognona, c’era sempre un gruppo di donne sotto casa. Spesso capitava che mi fermassi a chiacchierare con loro perché erano simpatiche. A volte ci davamo anche un tacito appuntamento come si fa con le amiche. Avevo trovato più umanità e sincerità in loro che nelle tante signore benpensanti scese in piazza. Nell’ascensore del palazzo scrissero con ammirazione “Marina la regina delle mignotte”.

Cosa possiedi di più caro?

I miei cani.

Sei favorevole alla grazia per Corona? 

Favorevolissima. Sono in contatto diretto con la madre. È ingiusto che abbia sulla testa tutti quegli anni da scontare. Pensiamo ai troppi delinquenti artefici di delitti efferati che sono già fuori.

Non sei stronza come vuoi far intendere in televisione. Lo diciamo? 

Sono stronzissima con gli stronzi, ma anche un essere normale con le persone corrette e sensibili. In televisione si tende a tagliar corto, e siccome mai indoro la pillola mi lascio andare a riflessioni taglienti.

Il momento in cui sei stata più felice?

Non c’è. La vita è fatta di tanti momenti e quando cominci a essere felice c’è sempre l’attimo in cui non lo sei più. La felicità scappa e ce ne rendiamo conto soltanto quando ci ripensiamo.

Marina, una volta hai detto che “invecchierai ma con calma”.  Come?

Riuscendo sempre a essere creativa per curare bene il cervello. Il segreto è questo. Non è facile, ma bisogna mettercela tutta.

1 febbraio 2015

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“L’omicidio di mio padre? Deciso a Roma”

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RitaDallaChiesaIntervista

La commemorazione del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, assassinato dalla mafia il 3 settembre del 1982, ha lasciato uno strascico di polemiche, per l’assenza del governatore siciliano Rosario Crocetta. Sul fatto che il custode dello stato in Sicilia non fosse amato si è espressa la figlia, Rita. E in quest’intervista realizzata qualche mese fa da Ilgiornaleoff.it le dichiarazioni a riguardo erano state ben più tranchant. La Dalla Chiesa individua delle precise responsabilità politiche nell’omicidio del padre…

Mi racconti un aneddoto off degli inizi della tua carriera?

Quando ho cominciato a fare tv, stavo da poco con Frizzi, lui conduceva già “Tandem”. Mi ricordo che si metteva dietro le telecamere e ogni volta che si accendeva la lucetta scappava da una parte all’altra facendomi capire quale mi stesse inquadrando! (ride n.d.r.). È stato lui a insegnarmi come stare davanti alle telecamere. Mi ha detto: “sii sempre te stessa, anche col mal di testa, la coda di cavallo, o senza trucco”.

Tu hai iniziato come giornalista…

Sì, scrivevo per Gioia e Donna moderna. E poi avevo una rubrica su Epoca, “Affari di famiglia”, che fra l’altro ricomincerà a giorni su Visto.

Una notizia in anteprima…

Sì, non lo sa ancora nessuno (ride)

Nel 1983 sei approdata alla tv, appunto, con il programma “Vediamoci sul Due”, dove hai conosciuto l’amore della tua vita. Con Fabrizio è stato amore a prima vista?

Per lui sì, io invece ci ho messo un po’ per via della differenza di età. All’epoca non c’erano ancora matrimoni con divari di età così forti, e anche se io sono sempre stata ribelle, ho dovuto fare un percorso prima di accettare che questa storia stesse diventando importante.

Oggi riavresti una storia con un uomo più giovane di te?

Certo, quelli della mia età mi annoiano! (ride) Molto meglio una persona più giovane. Non dico di trent’anni, ma comunque più giovane. Dai giovani c’è molto da imparare, e questo non basta mai, a qualunque età. Molti ragazzi mi scrivono “per me sei come una zia”. È bellissimo!

Fabrizio si è appena risposato, e si è parlato della tua assenza al matrimonio. C’è stato un momento in cui avresti voluto tornare con lui?

Sì, molte volte. Fabrizio è una persona che non si può non amare, la più perbene che io abbia mai conosciuto. Ho avuto nostalgia di lui, delle cose belle che abbiamo vissuto mille volte. Però poi mi sono arresa all’idea che comunque io ho avuto il mio passato, e oggi è giusto che lui viva il suo presente.

E’ una bella dichiarazione anche questa…

E’ amore anche lasciar libere le persone di vivere la propria vita.

Tornando alla tv, conduci proprio con Fabrizio “Pane e marmellata”, un programma per bambini grazie al quale vieni notata dalla moglie di Arrigo Levi e approdi a Fininvest.

Sì, la moglie di Levi guardava sempre “Pane e marmellata”, e mi propose al marito per la prima rubrica di approfondimento Fininvest. Io all’inizio ero convinta, sbagliando, volessero incontrarmi per intervistarmi sulla vicenda mio padre. In quella scelta mi aiutò Maurizio Costanzo. Mi disse “è il momento giusto, fa’ il salto”. Ed lo feci, passando dalla Rai a Fininvest. Arrigo e Maurizio sono stati i miei più grandi maestri.

Tanti programmi di successo, come “Il trucco c’è” con Diego Dalla Palma, ma innegabilmente sei entrata nel cuore di tutti con “Forum”.

Sì, Forum me lo sono cucito addosso, soprattutto nella seconda parte. Infatti abbiamo fatto ascolti tali da andare in onda su Canale 5 e anche con uno sportello pomeridiano su Rete4.

Manchi tanto alla trasmissione! Io ho provato a dargli un occhio: ha un sapore completamente diverso.

E’ un’altra trasmissione, condotta benissimo da Barbara Palombelli. Non ho motivo di esserne gelosa.

E’ spiaciuto non vederti allo speciale per i 30 anni del programma.

Quello è stato un pugno nello stomaco. Avrebbero dovuto evitare di chiamare quella puntata “30 anni di Forum”. Mi hanno detto addirittura che hanno mandato in onda puntate condotte da me, ma coi miei interventi tagliati. Francamente questo non lo capisco.

Una volta hai detto “faccio sempre le scelte sbagliate nel momento più sbagliato”. Qual è la scelta più sbagliata che hai fatto?

(ride) questa!

Anche se in realtà non è dipesa totalmente da te…

Sai, prima di lasciare il programma, ho saputo con dispiacere che Fabrizio e Marco non sarebbero stati confermati. Per me è stato un colpo. Poi ci sono state anche molte voci di corridoio secondo le quali “Forum” sarebbe stato sospeso. Ho sbagliato nel non andare alla fonte, anche perché io sono visceralmente legata a Mediaset. Ma questo è il motivo per cui ho accettato la proposta di Cairo, a cui sono rimasta legata pur non avendoci lavorato. Io e lui avevamo una concezione diversa della messa in onda: lui voleva una trasmissione alla Forum, io non sarei mai andata contro il mio programma di sempre. Andarmene da Canale5 prima, e da La7 dopo sono state due scelte coraggiose, alla mia età non facili.

Altra tua frase: “non ho alcun talento nel frequentare i famosi posti giusti”. Un posto giusto che non frequenti?

I salotti romani stile “Grande bellezza”. Quel film è meraviglioso, perché racconta la solitudine che puoi vivere in una città come Roma, frequentando certi ambienti.

Ti riporto una tua frase che mi ha fatto sorridere. “preferisco chi mangia piccante, vuol dire che mette passione anche nell’intimità”. Che rapporto hai col sesso? 

Meraviglioso! (ride) Credo sia una cosa molto importante, che ti faccia stare bene. Certo, non quello inutile e fine a sé stesso. Devi amare, almeno dal mio punto di vista. Devo amare, perché ci sia il tutto. E quando c’è è bellissimo.

Se poi si mangia piccante ancora meglio…

A me dà fastidio l’uomo a dieta, mi fa paura. Io non mangio carne, ma voglio mangiare la pasta, le pizze rustiche, formaggi saporiti. Mi piace la vita. Un bel piatto di pasta al pomodoro con l’olio piccante sopra, per me, è impagabile!

Una data che è rimasta impressa nella tua vita è il 3 settembre 1982, quella dell’omicidio di tuo padre, Carlo Alberto Dalla Chiesa. Posso chiederti cosa ricordi di quel giorno?

La solitudine nella quale mi sono sentita proiettata nel giro di mezzo secondo. Io ho saputo di questa cosa da un giornalista del Tg2, non dai carabinieri, che sono la mia famiglia, la mia anima, il mio cuore, il mio tutto. Evidentemente al comando generale in quel momento c’era qualcuno che non amava mio padre. Mi sono seduta sotto la doccia e ho passato metà nottata lì, inebetita. La mattina dopo sono arrivata a Fiumicino, mi sono fatta il biglietto per Palermo. All’epoca ero solo giornalista di carta stampata, nessuno mi riconosceva. Mi hanno detto “signora, non c’è un posto perché stanotte hanno ammazzato il Generale Dalla Chiesa”. Ed io ho detto “era mio padre”, e allora il posto è saltato fuori.

Il racconto che Riina ha fatto sulla strage di via Carini è tremendo. Se ne è tornato a parlare anche nei giorni scorsi.

Non riesco a capire se sia vero. È possibile che io debba venire a sapere la verità non dai magistrati, non dai giudici, ma da Totò Riina? Che peraltro parla soltanto adesso! C’è qualcosa di strano, come tutto quello che riguarda la morte di mio padre.

La cassaforte, anche…

Tutto! È tutto molto strano. Hanno fatto film su come si sia arrivati al 3 settembre. Io ne farei uno dal 3 settembre in poi, sui tanti misteri che sono rimasti tali: la borsa di mio padre, i documenti spariti, chi è entrato nella prefettura quella sera invece di buttare un lenzuolo su mio padre? Mio padre è morto in una strada molto affollata, eppure un lenzuolo per coprire mio padre ed Emanuela (Setti Carraro, la seconda moglie del Generale Dalla Chiesa) nessuno l’ha buttato dalla finestra. E chi è entrato a Villa Pajno quella sera? Cos’ha preso? Dov’era la chiave della cassaforte? Nella cassaforte abbiamo trovato una scatola vuota, c’erano i gioielli di Emanuela, ma non i documenti di mio padre. La scrivania di mio padre era sempre piena di carte, scartoffie. Quella sera non c’era un foglio, era perfettamente pulita. Quando mio zio, fratello di mio padre, disse al procuratore “dovete farci capire cosa sia successo” lui gli rispose “non mi gioco di certo le ferie per questo omicidio”…

Allucinante… Da chi vorresti delle risposte?

Dallo Stato. Tutti mi dicono “continui ad andare a Palermo, ad amarla”. Certo, io non dovrei vivere a Roma, dove è stato deciso il tutto! Non a Palermo, dove sono solo state armate le mani.

Sei sempre più convinta che la mafia abbia ucciso tuo padre su commissione…

Certo. Politica……..

Qual è la cosa che più ti manca di tuo padre?

Mi mancano la sicurezza che mi dava, il senso di giustizia che si portava appresso. Il ruvido della sua divisa quando l’abbracciavo, mi manca la sua telefonata serale, mi mancano tante cose. Io ho avuto un padre, non il generale Dalla Chiesa. Mi manca mio padre

2/12/2014

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Putin, il numero uno più odiato dalla sinistra chic

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PUTIN evidenzaSilvio Berlusconi va a trovare Vladimir Putin in Russia, e il leader russo è il protagonista numero uno della politica mondiale. Dagli scenari energetici ai delicati equilibri in medio Oriente. Eppure, a molti non piace. La sinistra non lo ama per via del suo profilo “Dio, Patria e Famiglia”, per i suoi atteggiamenti considerati repressivi. Allo stesso modo la destra più legata agli schemi dello scontro di civiltà lo detesta. Proponiamo qui quattro interviste realizzate da ilgiornaleoff, a personaggi considerati sia di destra che di sinistra, in cui emerge quanto sia necessario parlare con il leader russo.

MASSIMO FINI: RENZI E OBAMA? DUE POVERETTI. LA RUSSIA, INVECE, E’ L’EUROPA

MASSIMO CACCIARI: LA RUSSIA è IL NOSTRO PRIMO ALLEATO

MATTEO SALVINI: PUTIN E’ UN TOSTO. LE SANZIONI CONTRO LA RUSSIA? UN ERRORE MADORNALE

LA RUSSA: CONTRO L’ISIS SERVE UN ACCORDO CON PUTIN!

 

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Sono gentile, ma non fatemi girare i c…

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Angelo Crespi con Vittorio Sgarbi

Angelo Crespi con Vittorio Sgarbi

Sgarbi vs. Sgarbi. “Sono gentile, garbato, accomodante. Diciamo che basta poco per farmi girare i coglioni”. Il più discusso, provocatorio, audace storico dell’arte italiano, uno che, come dice Angelo Crespi, “ha voluto fare della propria vita un’opera d’arte, perciò la sua vita è totalmente pubblica”, tiene lezione a Riccione, nel contesto della rassegna “Riccione Incontra”. Non si scompone. Arriva in orario perfetto. Non si arrabbia – tranne un istante, scagliandosi contro un antiberlusconiano dell’ultima ora. Stimolato dai suggerimenti di Crespi, delinea, a partire dal progetto del “Museo della Follia”, che non per caso è al Palazzo della Ragione di Mantova (fino al 22 novembre), i rapporti tra arte e pazzia, spudoratezza artistica e malattia mentale. Ne vien fuori una specie di corroborante aforismario.

Arte&follia: definizione. “L’arte è una fuga dalla follia – ma è la follia a indirizzare quella fuga”.

Il segreto di Marcel Duchamp, il rivoluzionario dell’arte. “Nel 1917 Marcel Duchamp prese un oggetto d’uso, un orinatoio, lo firmò ‘R. Mutt’, lo inviò a un museo. Prese un oggetto non suo, non fabbricato da lui, spostandolo dal luogo della funzione a quello della contemplazione. Ponendoci la domanda: basta  che un’opera sia in un museo per essere arte?”.

“Fontana”: etichetta. “La Fontana di Duchamp è come la Pietà di Michelangelo in un mondo senza Dio”.

Movimenti o individualità? “La critica del Novecento ragiona per schemi, escludendo i solitari. Se non fai parte di un gruppo – futurismo, surrealismo, cubismo… – sei dimenticato. Un esempio è quello di Pietro Annigoni, straordinario pittore figurativo, che non si trova quasi mai nelle storie dell’arte del Novecento. Purtroppo per Annigoni, non basta essere un pittore tecnicamente eccelso perché la critica, che vuole vedere solo ciò che vuole vedere, si accorga di te”.

I geni anonimi (e l’architetto cretino). “La ruota, gli occhiali, il martello, lo spillo: chi ha inventato queste forme pure? Dei geni anonimi. Poi viene un architetto cretino, che deve essere per forza originale, e costruisce un water quadrato, dove è impossibile sedersi”.

1949: la svolta dell’arte. “Nel 1949 intorno a Pietro Annigoni e ad altri realisti si costruisce una grande mostra. Che non funziona. E la pittura figurativa finisce per sempre. Nello stesso anno, Lucio Fontana esegue il primo dei suoi tagli, denunciando che non esiste più una forma artistica”.

La vita straordinaria. “Modigliani, Van Gogh, Ligabue non appartenevano a gruppi. Il loro valore estetico certo è sostenuto da una biografia avventurosa, da una vita da film. Questo ha permesso loro di emergere come feroci individualità”.

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Un celebre autoritratto di Antonio Ligabue

Ligabue, un pazzo vero. “A differenza di Annigoni, intorno a Ligabue è nata una leggenda e questo gli ha permesso di emergere, pur restando un pittore isolato. Fu Marino Mazzacurati a raccontare, a Roma, di un pittore che viveva lungo le sponde del fiume, come una bestia. Il suo racconto stimolò la curiosità di Cesare Zavattini, che diede avvio al mito di Ligabue. Dietro a lui, Mario De Michelis e Davide Lajolo, che vedevano nel pittore pazzo, che gridava e dipingeva cose pazzesche, una specie di ‘buon selvaggio’”.

La tigre e la Gilera. “Ligabue dipinge tigri e leoni mai visti, che sono i suoi autoritratti rabbiosi, e poi animali domestici. E decine di autoritratti veri che sono il diario del rapporto con se stessi, con il proprio volto. Nei suoi quadri senti il bramito delle tigri, che hanno il correlativo industriale nella moto Gilera che Ligabue si compra per fare il duro. Ma quella motocicletta resta un animale, un cavallo da domare”.

Una lotta di liberazione. “Uso spesso Ligabue nella mia lotta di liberazione contro i cliché di una critica asservita alle sue paturnie”.

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Van Gogh, il più grande pittore di tutti i tempi. “Van Gogh non è più bravo di Caravaggio o di Raffaello, ma rispetto alla reazione che suscita è il più grande pittore di tutti i tempi. Riesce a depositare sulla tela un tale grado di dolore che la sua opera è il diario di una vita tormentata”.

Frida non si dipinge, si sogna. “Frida Kahlo ha una immediatezza che prende alla pancia, molte donne la percepiscono come una specie di alter ego. Donna romantica, comunista, libera, con un rapporto estremo con il pittore Diego Ribera, non si dipinge, si sogna”.

Pietro Ghizzardi: una scoperta. “Come Modigliani, Ghizzardi è ossessionato dalla stessa forma. Ghizzardi raffigura il trasporto erotico inesprimibile e inappagato, fa sentire il desiderio e il tormento, vagheggia la bellezza femminile dentro una ragnatela di forme”.

Bacon e Freud, gli ultimi umanisti. “In un’epoca di avanguardia e di informale, Francis Bacon e Lucian Freud sono gli ultimi pittori umanisti, che mettono l’uomo al centro del mondo pittorico. Hanno sconvolto lo schema dell’arte fatto di tendenze con la loro potente individualità”.

Caravaggio, l’inventore della fotografia. “Caravaggio è l’inventore della fotografia come istantanea, che vede la realtà per quello che è. Il Ragazzo morso da un ramarro è come la fotografia del miliziano colpito a morte di Robert Capa: Caravaggio coglie il momento della faccia che si deforma. Allo stesso modo Giuditta e Oloferne ricorda le esecuzioni compiute dall’Isis ai danni dei giornalisti occidentali, il momento del coltello che spicca la testa”.

La curiosità morbosa, inappagata. “Caravaggio piaceva per il suo mondo al limite della moralità, perché è morboso. Nel Bacchino malato raffigura un ragazzo con la pelle gialla e le labbra viola, sceglie di dipingere l’ombra del male, la realtà malata. D’altronde, quando accade un incidente stradale rallentiamo per vedere l’orrore, siamo curiosi anche del sangue: Caravaggio ha capito questo aspetto dell’uomo prima di tutti”.

Politica e follia: Berlusconi. “Berlusconi che fa le corna durante una riunione dei capi di Stato ha per modello Amici miei, sembra il Conte Mascetti. Ricorda un po’, ma non bisogna dirglielo sennò si incazza, Roberto Benigni, il suo carisma è la beffa, prende in giro le cose serie. Eppure, certa stampa si è ostinata a fare del Conte Mascetti una specie di Diabolik. Che il più grande contribuente italiano sia considerato un evasore, ad esempio, mi pare una cosa pazzesca”. Interruzione momentanea, interviene l’antiberlusconiano. Sgarbi si arrabbia (e il pubblico esulta). “Essere condannato perché uno scopa mi pare una cosa inaccettabile, una azione grottesca. Non voglio pagare con i miei soldi un magistrato che prosegue le sue indagini del c***o, non lo voglio pagare”.

pannella

Marco Pannella. “Non gli perdono il referendum per abolire i Ministeri del Turismo e dell’Agricoltura. Cos’è l’Italia senza turismo? Come le Maldive senza il mare”.

Francesco Cossiga. “Appartiene a una generazione politica in cui eri ancora qualcuno, in cui appartenere a un partito era ragione di identità. Ha vissuto l’integrità della politica”.

Angelino Alfano, Denis Verdini. “Non si possono vedere. Dopo aver preso tutto a Berlusconi adesso sono diventati i leccaculo di Renzi”.

Beppe Grillo. “Piuttosto che votare la merda, gli elettori votano Grillo. Non ha identità, non è politica. Con Grillo vince il principio della scheda bianca e del ‘vaffa’, la sua è un’area di protesta”.

Matteo Renzi. “L’erede naturale di Berlusconi. Ha svuotato il Pd rendendolo un partito democristiano. Ha capito che in politica il potere è ottenere risultati. E ha fatto ciò che Berlusconi ha promesso ma non ha ottenuto. Un professionista capace, ma debole nei contenuti”.

Capra, capra, capra. “Un modo per prendere meno querele. Lo ‘stronzo’ ne prende molte, la ‘capra’ nessuna”.

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Massimiliano Gallo, la prevalenza del cattivo

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Massimiliano Gallo

Massimiliano Gallo

Al cinema ha interpretato il boss Valentino Gionta in Fortapasc di Marco Risi, in tv Antonio Bardellino ne Il clan dei camorristi. Oggi Massimiliano Gallo, figlio di Nunzio, esponente di primo piano sulla scena musicale napoletana a partire dagli anni Cinquanta, torna nelle sale con Per amor vostro di Giuseppe Gaudino. Il film, che alla Mostra del Cinema di Venezia è valso la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile a Valeria Golino, lo vede protagonista nel ruolo di Gigi Scaglione, padre di famiglia violento e usuraio senza scrupoli. Ma come ci si addentra nel male? Come fa un attore ad immedesimarsi con un personaggio senza possibilità di redenzione? Ce lo racconta lui stesso.

Come sei riuscito a rendere credibile un personaggio così negativo come quello di Gigi Scaglione?

Mi sarebbe piaciuto avere modo di lavorare su qualche sfumatura positiva del personaggio ma poi, lavorando con Gaudino, ci siamo accorti che non c’èra possibilità di giustificarlo. Gigi Scaglione doveva essere un personaggio netto in modo da essere funzionale al percorso di riscatto di Anna Ruotolo (interpretata da Valeria Golino, n.d.r.). E’ stato molto faticoso per me girare delle scene di violenza domestica che mi risultavano pesanti da un punto di vista psicologico.

Da dove trai ispirazione per interpretare personaggi così violenti?

Non è poi così difficile trarre ispirazione dalla realtà riguardo agli episodi di violenza visto che siamo un Paese ancora molto indietro rispetto al femminile. Con Gigi Scaglione ho messo in scena un uomo che esiste e che bisognerebbe mettere sotto una lente di ingrandimento per far riflettere. Scaglione è un personaggio pieno di rabbia e del tutto incapace di amare e di comunicare con la propria famiglia.

Come dialoghi con il male anche rispetto ai malavitosi che hai interpretato spesso nella tua carriera?

Rispetto a Gigi Scaglione il percorso è stato diverso. In lui non ci sono tratti di umanità. Nei malavitosi che ho interpretato, anche quando erano dei boss, mandanti di numerosi omicidi riscontravo un grande amore per la propria famiglia. Immaginavo che avessero avuto un percorso di vita difficile ma che fossero comunque capaci di amare. Mi facevano pensare a tutti i latitanti che venivano traditi proprio dalla voglia di telefonare alle proprie compagne o alle madri.

Non interagisci con il tuo lato oscuro tramite le loro storie di vita?

Ogni attore dovrebbe fare un grande lavoro di introspezione. Io insieme ad una psicologa sono da tempo impegnato in dei corsi di teatro terapia che mi hanno aiutato a trovare delle nuove chiavi di lettura per i ruoli che interpreto. L’attore non ha possibilità di nascondersi perché questo è importante sottoporsi a de i percorsi terapeutici che ti danno la forza di aprirti senza paura e di superare quei dolori che possono eventualmente frenarti.

Il bello del film di Gaudino è che tutti i personaggi sono raccontati sul filo dell’ambiguità, la stessa Anna non è esente dal peccato di omertà.

Senz’altro. Leggendo la sceneggiatura abbiamo subito colto un forte elemento di realismo. Anna non è un’eroina ma una donna che commette un peccato di ignavia. Il suo non è il percorso di una santa ma di una donna vera che si confronta con due uomini veramente poco rispettabili.

Ma per queste persone esiste veramente una possibilità di riscatto nella vita o alcuni nascono semplicemente sotto una cattiva stella?

Io credo che il messaggio di Gaudino arrivi forte e chiaro: non abbassiamo la testa, non facciamo finta di non vedere. Noi siamo artefici del nostro destino. Dobbiamo prendere coscienza di chi siamo.

Valeria Golino ha parlato delle difficoltà che avete riscontrato durante le riprese del film. Quanto è difficile oggi girare un film nel napoletano?

Non credo che si tratti solo di un problema regionale ma che riguardi tutta l’Italia. Noi non abbiamo un industria del cinema che garantisca spazio a qualsiasi prodotto. Per ogni film c’è bisogno di gente che creda in quel progetto e unisca le forze per mettersi alla ricerca dei capitali che servono per finanziarlo. Figurarsi poi se si tratta di un film d’autore senza garanzia di incassi come possono essere le commedie di Natale.

Cosa ne pensi della rappresentazione cinematografica di Napoli negli ultimi tempi?

Napoli è una città in fermento che riesce sempre a mettere in gioco grandissimi talenti da Paolo Sorrentino che va a rappresentarci in America a piccole realtà musicali come i nuovi rapper Rocco Hunt e Clementino passando per il passaggio epocale di Pino Daniele. Quello che detesto sono invece i luoghi comuni che sono molto difficili da combattere. Credo che vi sia una volontà politica ben precisa nel far male alla città di Napoli.

Di Gomorra cosa ne pensi? Sei tra i detrattori?

No, non potrei andare contro un prodotto di tale qualità. Poi quanto riguarda la presunta mitizzazione dei criminali io trovo molto più violenti gli interventi dei nostri politici in tv che non gli episodi di Gomorra. Se vivessimo in un Paese con una classe dirigente onesta allora la polemica ci potrebbe anche stare ma non è questo il caso.

E del rapporto tra Napoli e il sangue di cui scriveva Giuseppe Marotta?

Parlare di quella Napoli ha due spiegazioni: da una parte la responsabilità di raccontare fatti di cronaca che continuano ad accadere e dall’altra proporre figure malavitose che hanno da sempre esercitato un grande fascino sullo spettatore. Vedi il successo di Scarface o de Il Padrino.

L'articolo Massimiliano Gallo, la prevalenza del cattivo sembra essere il primo su Il Giornale OFF.

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