Quantcast
Channel: Interviste Archivi - Il Giornale OFF
Viewing all 1106 articles
Browse latest View live

Giovanni Gastel: “Mio zio Luchino Visconti mi ha insegnato a vivere e creare”

$
0
0

INTERVISTA GIOVANNI GASTEL di Adriana SoaresLo stile colto e raffinato, elegantemente ironico di Giovanni Gastel, caratterizza la sua imponente opera fotografica, ripercorrendo 40 anni di evoluzione della storia della moda e del costume.

L’ispirazione di matrice rinascimentale e l’influenza materna sono fondamentali per la sua arte alla continua ricerca di un equilibrio nella composizione. È anche un poeta e per molti un mentore, laddove il comune denominatore della sua sensibilità artistica, gli consente di cogliere le molteplici sfaccettature della grazia, della bellezza e dell’eleganza in ogni cosa.

Eppure, ciò che colpisce di Giovanni Gastel, che ha fissato su pellicola le maggiori icone del suo tempo, è la sua vitalità, capace di cogliere l’anima del soggetto rappresentato, donandogli una luce poetica unica ed inconfondibile: la sua cifra artistica.

Di nobili natali, nipote di Luchino Visconti, giovanissimo, manifesta subito un temperamento artistico, pubblicando a 16 anni la sua prima raccolta di poesie. Negli anni Settanta si affaccia al mondo della fotografia svolgendo un intenso apprendistato.

Nei primi Ottanta inizia a lavorare nel mondo della moda, collaborando con le riviste più importanti, realizzando servizi di moda e campagne pubblicitarie per le aziende più prestigiose, pubblicazioni e mostre a lui dedicate. Il suo stile, unico e inconfondibile accarezza versi e corpi, si esprime attraverso la continua sperimentazione di tecniche “old mix” e rielaborazioni pittoriche.

La fotografia è un linguaggio espressivo, che serve a comunicare il proprio ideale di bellezza e eleganza nell’immagine, la poesia, invece, costituisce un rapporto intimo, un occasione per rapportarsi all’amore, alla vita e alla morte.

INTERVISTA GIOVANNI GASTEL di Adriana SoaresL’eleganza è un tratto comune alle tue creazioni fotografiche. Deve essere intesa soltanto come valore estetico o, in una più ampia accezione, anche come valore morale?

“Eleganza”, parola che ho eletto a fondamento della mia estetica e anche della mia vita. L’ho sempre intesa come valore morale più che estetico. Il gentiluomo è portato a vivere secondo un codice che è eticamente estetico e questo influenza positivamente il suo rapporto col mondo e con le persone.

Il mondo della moda è soprattutto apparenza. Tu gli doni contenuto e anima. Come ci riesci?

Ho sempre pensato che l’arte non debba occuparsi del reale, ma alludere ad esso per costruire un mondo parallelo di pura immaginazione e interpretazione in chiave simbolica e alternativa. In questo mio mondo, che è una piccola ricreazione del reale in chiave poetica, la moda ha trovato un linguaggio utile alla sua comunicazione ed è stata per me un eccezionale mecenate.

Il tuo lavoro è una continua ricerca che genera sempre più conoscenza. La tua esperienza e il tuo sapere che ne derivano, in che modo condizionano la scelta dello scatto e come influenzano il tuo gusto estetico?

Il momento dello scatto è, in realtà, un attimo quasi nervoso in cui sentì istintivamente che tutto è armonico: luce , composizione, intensità, seduzione… ma la conoscenza e lo studio continuo allontanano il momento in cui la tua fotografia ti piace e questo ti costringe ad aumentare il tasso di creatività e di impegno, quasi giornalmente. Questo accumulo costante di informazioni è il sale della ricerca e del miglioramento costante.

È vero che una tua regola sia “Back to the future”?

Ho sempre pensato che bellezza, armonia, equilibrio compositivo, siamo costanti e che travalichino il tempo. Nei secoli hanno formato il senso estetico occidentale senza interruzione di continuità. A questa scuola di derivazione greco-romana ho sempre ispirato la mia creatività interpretandola però in senso contemporaneo.

La differenza tra fotografo e autore?

La differenza tra un fotografo e un autore che usa la fotografia sta, soprattutto, nell’abbattimento della barriera tra quello che si è e quello che si fa. L’autore racconta senza limiti la propria visione del mondo leggermente distonica (siamo tutti pezzi unici; lo dimostrano le impronte digitali e il dna) e cerca in se quello che lo distingue da tutti gli altri e, attraverso questa diversità, racconta la sua ri-creazione del mondo. Ma pochi hanno voglia di lavorare sulla propria unicità, perché è una scelta di solitudine. Un creativo vero non ha alternativa.

Esiste un artista che abbia assunto un ruolo particolare nella tua formazione?

La prima volta che ho visto i valori della bellezza greca riproposti in senso contemporaneo è stato da ragazzino, nelle opere del fotografo americano Irvin Penn, pubblicate su Vogue America. Rivista che mia madre riceveva. Una vera folgorazione.

INTERVISTA GIOVANNI GASTEL di Adriana SoaresCon Giovanni Gastel il ritratto diventa poesia. Che ruolo ha la poesia nella tua vita?

La poesia è una lente attraverso la quale guardare e reinventare il mondo. Come spesso dico, io sono un filtro, non uno specchio. Per me il ritratto sei tu che entri dentro di me e filtrata attraverso la mia vita, la mia cultura, la mia non cultura, il mio dolore, la mia gioia ecc, esci da me in forma di interpretazione. Sei tu attraverso me.

La poesia potrebbe essere considerata un valore?

La visione poetica credo sia un dono naturale, che va però costantemente nutrito e rafforzato.

Come abbini la bellezza alla funzionalità dello scatto?

Ho sempre pensato che le mie fotografie debbano tendere ad avere due piani di lettura, uno contingente e legato allo scopo per cui sono state scattate,  ma poi, se possibile, una seconda vita come opera in sé, che travalichi il tempo e il motivo commerciale per cui è stata fatta.

Ruolo della bellezza nella tua vita?

La bellezza e la sua ricerca in ogni cosa, sono state l’unico vero faro che ha condotto il mio cammino.

Quando acquisisci lo scatto giusto, la tua creazione, cosa provi?

Quando sento di avere lo scatto giusto provo una sorta di rilassamento della mente e del cuore che, per pochi decimi di secondo somiglia, credo, a quello che un mistico chiamerebbe estasi. Sensazione magica e per fortuna ripetibile che giustifica e motiva la continua ricerca.

La tua estetica è sempre stata la stessa o si è evoluta?

Il punto di vista di un autore è in qualche modo “fisso”, ma la vita a cui si ispira cambia continuamente modificando i soggetti ma non il piano di lettura.

INTERVISTA GIOVANNI GASTEL di Adriana Soares

Differenza tra una buona fotografia e una grande fotografia?

Una buona fotografia non necessita del racconto dell’anima dell’autore. Per una grande fotografia invece il racconto di sé è l’unico punto fondamentale.

Committenza e arte sono in contrasto? Usi linguaggi diversi a seconda del caso?

La committenza non ha mai rappresentato per me un limite (la storia dell’arte è, fino all’Ottocento, periodo che non amo particolarmente, una infinita continuità di committenze). La definizione del cosa fotografare non limita in alcun modo la ricerca del come farlo e per me quella è la parte più interessante e importante del mio creare.

Dici di aver vissuto due fotografie: analogica e digitale. Sono così diverse?

Sì lo sono. Io penso che i mezzi tecnici contengano un’estetica interna e il nostro compito è trovarne i limiti e i linguaggi. L’unico grande errore è cercare nel sistema nuovo i risultati del vecchio. Questo è portatore di infinite frustrazioni. Bisogna, come io ho fatto, abbandonare i vecchi risultati e immergersi completamente nella ricerca di se nel mezzo nuovo.

INTERVISTA GIOVANNI GASTEL di Adriana SoaresAffermi che l’analogico sia archeologia fotografica e che, oggi, la fotografia digitale rappresenti la vera fotografia.

Sì, dico che la fotografia analogica di cui sono figlio e che ho immensamente amato è già archeologia fotografica. Il presente e il futuro della fotografia sono e saranno solo digitali. Ma nulla osta che si possa passare la vita occupandosi di archeologia. Basta solo esserne consci.

Differenziarsi, costituisce il cammino dell’artista verso la solitudine e la sofferenza?

Certo! L’artista, come ho detto, è tenuto a raccontare la propria piccola unicità ed è quindi obbligato ad allontanarsi dalla visione comune e quindi dal gruppo. Lavorare sul distacco e sul contrasto continuo del luogo comune comporta un certo grado di sofferenza e solitudine.

Gastel e la tua famiglia o rifugio: quanto è stata importante nella tua carriera?

Il bizzarro incrocio tra la visione borghese del mondo della famiglia di mio padre e quello totalmente diverso della famiglia dell’altissima aristocrazia di mia madre, ha influenzato questo senso profondo di non appartenenza ad alcun “mondo” che è ed è stata la mia salvezza. In senso liberatorio io non appartengo a nessuna classe e dunque vivo ogni livello della vita con adesione profonda.

Luchino Visconti?

Lo zio è un gigante la cui ombra ancora copre ognuno di noi. Ma il suo metodo per vivere e creare è stato fondamentale per la mia vita personale e artistica. Rigore, studio, adesione totale all’opera che deve diventare il centro dell’universo e anche il contenitore di ogni messaggio di sè al mondo. Lezione straordinaria e perfetta.

La fortuna della nascita del Made in Italy nel tuo lavoro, come ha influenzato lo sviluppo della tua carriera?

Enormemente. Il mio mondo parallelo poetico e alternativo al reale è stato da subito apprezzato, dal nascente sistema della moda italiana che l’ha accolto, finanziato e divulgato, pubblicando da subito migliaia di mie fotografie e quindi imponendo la mia visione della moda e il racconto di me a tutti. Quasi come i signori del Rinascimento hanno fatto con gli artisti di quel tempo. Sono infinitamente grato al sistema moda per questo.

L’incontro con Gianni Versace e con Roberto Capucci! Raccontami.

Due fenomeni della moda con cui ho avuto il privilegio di lavorare. Roberto, l’ultimo maestro indiscusso dell’alta moda che sfiora la scultura. Gianni l’artista del mondo nuovo, del prêt a porter inteso come moda capolavoro prodotta in serie e economicamente più accessibile per una società nuova.

La fotografia è sperimentazione? Nel tuo progetto “Maschere e spettri”, auto commissionarsi è un’operazione più semplice?

L’auto-commissione è stata per me una esperienza difficile e impegnativa. Ho cercato per cinque anni un tema che fosse trasversale e universale. Infine, dopo infiniti sforzi, ho trovato il dolore come filo conduttore di questa ricerca. Ho notato che il dolore è trattato dalla fotografia contemporanea quasi sempre in senso trash, benché sia una condizione altissima che ci pervade e in qualche modo persino ci santifica. La storia dell’arte lo ha sempre trattato con un linguaggio alto. Ho provato a farlo anch’io con la fotografia. Devo dire ancora una volta grazie a Germano Celant per essermi stato vicino in questa, per me, difficile e lunga ricerca.

La visione periferica della vita è più importante della visione centrale”, ecco ciò che affermi sull’importanza dei social.

Ha spesso detto che sono più attento a quello che è periferico nella visione piuttosto che a ciò che sembra apparentemente centrale. Spesso ai lati dell’azione centrale avvengono fatti che sono dal punto di vista formale e psicologico più interessanti. In questo l’utilizzo, tecnicamente facilitato dalle nuove tecnologie, rende la ricerca più semplice. Amo i linguaggi degli Smart Phone. Cioè l’uso anche solo linguistico della fotografia. Tre miliardi e mezzo di foto postate al giorno segnano di fatto la nascita di una lingua che usa la fotografia per comunicare, anche senza velleità artistiche. E questo è stimolante anche per i professionisti.

INTERVISTA GIOVANNI GASTEL di Adriana SoaresIl tuo rapporto con Dio?

Profondissimo e altalenante. Una eccitante continua ricerca. Un nascondino meraviglioso e stimolante. La ricerca di Dio è forse uno dei momenti più alti del vivere. Comunque vada.

La ricerca dell’Assoluto per Giovanni Gastel, può corrispondere alla ricerca dello scatto perfetto?

Assolutamente si. Il mio sogno, come spesso dico, sarebbe raggiungere la foto perfetta. Quella che mi potrebbe dare la pace finale e che ogni giorno cerco senza, per fortuna, mai trovarla. La ricerca continua con mia immensa gioia.

La cifra di Giovanni Gastel nel tempo, è diversamente se stessa?

Si, è sempre la stessa come una barca resta sempre se stessa anche se viene trascinata da quel fiume in piena che è la vita. Ma cambiano le onde e le coste del fiume continuamente.

LEGGI ANCHE: Gastel, ovvero la connessione tra arte e poesia

L'articolo Giovanni Gastel: “Mio zio Luchino Visconti mi ha insegnato a vivere e creare” sembra essere il primo su Il Giornale OFF.


Costantino: “Con me nei luoghi più nascosti del mondo”

$
0
0

costantino della gherardesca The Voice Safar Radio 2 Pechino Express Marco LomonacoCostantino della Gherardesca, discendente dal Conte Ugolino della Gherardesca, sì quello della Commedia di Dante, si concede all’intervista OFF appena ritornato dal Cairo. Conduttore televisivo e radiofonico, ma anche giornalista. Laureato in Filosofia al King’s College, entra nel mondo dello spettacolo nei primi Duemila e viene consacrato da Chiambretti come opinionista. Nel 2012 partecipa a Pechino Express come concorrente per poi assumerne le vesti di conduttore. Oggi conduce The Voice e Safar per la Rai e ha una rubrica sul Foglio. È molto impegnato, tanto da doverci sentire per due settimane prima di riuscire a scambiare due parole con calma. Simpatico, solare e disponibile, apparentemente molto raffreddato…

Costantino, nel tuo nuovo programma Safar su Radio 2 ti occupi di viaggi. Qual è stato il viaggio più importante della tua vita?

Quand’ero ancora minorenne sono andato zaino in spalla in Nepal, dove sono stato in un monastero buddista. Sono arrivato lì alla ricerca di spiritualità e sono tornato meno spirituale che mai; nonostante questo ho imparato l’importanza del viaggio e di vedere il mondo verificando con la propria esperienza e non attraverso la narrativa dei media.

Circa due mesi fa Paolo Giordano in Radiogiornale aveva scritto di Safar, non benissimo in realtà. Come risponderesti?

Io ero abbastanza contento in realtà perché aveva riservato diversi complimenti alle musiche. Utilizziamo musica che non è il solito pop commerciale e questo è il nostro valore aggiunto. Per quanto riguarda il resto, l’avere un valore funzionale come il parlare di viaggi, non è una cosa negativa, anzi. Quello che noi cerchiamo di fare a Safar è di dare i consigli e le dritte che non si trovano sui vari Wikipedia e Lonely Planet. Do una piccola anticipazione, tra un paio di settimane ci sarà una puntata su Katmandu, dove sarà ospite una giovane cantante che vive lì e ci racconterà i luoghi nascosti della città, che ovviamente non sono in nessuna guida. Diamo indicazioni uniche sui luoghi del mondo attraverso gli occhi di chi ci è stato, invogliando la gente ad andarci.

Ma è vero che sei dimagrito bevendo the verde? Dammi un consiglio a questo punto.

Sono dimagrito bevendo the verde e soprattutto sacrificando il mio amato gelato, di cui prima abusavo. Tra l’altro viaggiando molto mantenere la dieta senza sgarrare è stato molto difficile.

Passiamo a The Voice, ti trovi totalmente a tuo agio in questo ruolo di conduttore? O come giudice…

Sinceramente sì, essendo abituato con Pechino Express. Come giudice la vedo dura, non credo sarei stato mai adatto essendo i miei gusti musicali molto diversi da quelli proposti da The Voice.

Ma con tutto quello che fai, ti senti un po’ una De Filippi della Rai?

Ma figurati, no! Mai e poi mai, non ho un milionesimo dei soldi della De Filippi. Mi sento più un Pio e Amedeo represso.

costantino della gherardesca The Voice Safar Radio 2 Pechino Express Marco Lomonaco

Ci racconti un episodio OFF della tua carriera?

Tra i tanti. Avevo preso un bel sonnifero per affrontare un lungo viaggio in pullman, eravamo sul fiume Mekong, ero un po’ frastornato e sono scivolato rovinando con la faccia per terra. Mi sono sfracellato sul terreno e ho dovuto condurre Pechino con il volto sfregiato pieno di croste. Non era molto bello da vedere, la gente si sarà chiesta perché immagino.

E la cosa più imbarazzante che ti è successa davanti alla telecamera?

Durante le Spose di Costantino, in onda a gennaio, facevo la doccia in un box di legno sospeso sopra una fogna in un ghetto del Ghana e mi è caduto il sapone. Sono dovuto uscire dalla doccetta e mi hanno ripreso nudo. Non ho un fisico da attore di Hollywood e quindi è stato abbastanza imbarazzante.

A bruciapelo, chi sceglieresti tra un miliardario americano e un facoltoso emiro?

Per il mio gusto personale non avrei alcun dubbio. Mi piacciono gli uomini arabi e non tentennerei nella scelta dell’emiro. D’altro canto però negli Emirati non posso certo sposarmi con un uomo e portagli via metà del suo patrimonio, quindi facendomi furbo e sotto indicazione del mio adorato commercialista virerei verso il miliardario americano.

costantino della gherardesca The Voice Safar Radio 2 Pechino Express Marco Lomonaco costantino della gherardesca The Voice Safar Radio 2 Pechino Express Marco Lomonaco costantino della gherardesca The Voice Safar Radio 2 Pechino Express Marco Lomonaco costantino della gherardesca The Voice Safar Radio 2 Pechino Express Marco Lomonaco costantino della gherardesca The Voice Safar Radio 2 Pechino Express Marco Lomonaco costantino della gherardesca The Voice Safar Radio 2 Pechino Express Marco Lomonaco costantino della gherardesca The Voice Safar Radio 2 Pechino Express Marco Lomonaco costantino della gherardesca The Voice Safar Radio 2 Pechino Express Marco Lomonaco costantino della gherardesca The Voice Safar Radio 2 Pechino Express Marco Lomonaco

L'articolo Costantino: “Con me nei luoghi più nascosti del mondo” sembra essere il primo su Il Giornale OFF.

Amadeus: “Bisogna imparare a ringraziare non solo a chiedere”

$
0
0

In questi giorni non c’è artista o persona comune che non ricordi Fabrizio Frizzi. Impossibile non chiedere ad Amadeus (pseudonimo di Amedeo Sebastiani), conduttore de I soliti Ignoti – il ritorno su RaiUno, un pensiero sul grande amico e presentatore.

«Spesso il silenzio vale più di mille parole. Dire che fosse bravo, buono, solare, di cuore, sarebbe riduttivo. Tra noi c’è sempre stata solidarietà, complicità, rispetto, considerazione e aiuto. Anche come ospite era perfetto: con la battuta sempre pronta sapeva sempre farti sentire a tuo agio. Emanava positività da tutti i pori».

Il tuo nome d’arte Amadeus, di origine latina Amat Deum, significa colui che ama Dio. Su WhatsApp hai messo una foto di Madre Teresa di Calcutta: che rapporto hai con la religione? 

Ho avuto un’educazione molto religiosa,  credo molto e sono devoto a Santa Rita da Cascia. Mi piace pregare a modo mio, magari anche in una chiesa vuota o per strada, qualsiasi luogo può andare bene per dire una preghiera. La religione insegna non solo a chiedere, ma anche a ringraziare.

Le tue priorità nella vita?

Non ho dubbi, la mia priorità è la famiglia che amo e che mi sostiene nei momenti belli e in quelli più bui. Conosco mia moglie Giovanna (Civitillo, n.d.r.) da 15 anni, è la mia parte razionale. Io sono più intuitivo, impulsivo. Ho due figli splendidi; un bambino di 9 anni che assorbe la maggior parte del mio tempo libero e una figlia di 20 anni avuta da una precedente relazione. Studia a Milano ma la sento mediamente 5-6 volte al giorno. Sono molto apprensivo con entrambi, spesso sono loro a tranquillizzarmi.

Sei nato professionalmente in radio, ma come è cambiata nel tempo?

Ieri e oggi sono due mondi diversi. Ieri era pionieristica, avventurosa, non c’era una programmazione predestinata; oggi invece le radio sono vere e proprie aziende. Ogni tanto, ridendo, dico che avevamo il packaging delle uova sulle pareti per insonorizzarle. La figura del disc jockey, colui che sceglieva la musica da mandare in onda, prima coi dischi in vinile e poi coi cd, era molto importante. Senza togliere nulla alla tecnologia, credo che certi sapori del passato non vadano dimenticati. La possibilità, ogni tanto, di tornare indietro sarebbe il valore aggiunto di questo meraviglioso mezzo di comunicazione.

Quale tipo di musica ascolti più volentieri?

Ascolto tutto, sia la musica italiana che quella straniera. Mi piace spaziare ed esplorare, passare dalle canzoni pop alla musica classica. E poi amo molto hip hop e rap. Oggi le migliori novità arrivano proprio da questi generi. Un motivo per cui ascolto volentieri la radio è il fatto che diversifica molto tra i vari generi.

Il lavoro in ambito artistico è legato a diversi fattori tra cui imprevedibilità, incertezza.

I miei amici d’infanzia mi chiedono spesso come possa stare tranquillo, pur non sapendo cosa farò…l’anno prossimo! Ecco, l’imprevedibilità è l’elemento che può mettere ansia, ma per me è l’adrenalina che mi dà modo di fare meglio tutto! 

Nel 2006 hai vissuto un momento di difficoltà, una flessione in ambito professionale: lo consideri un episodio off?

No, mi sono sempre sentito un privilegiato e mi sembrava quasi un peccato lamentarmi, l’unica cosa che pensavo era quella di rimboccarmi le maniche e sperare in un pizzico di fortuna per ricominciare. Ho sempre pensato, anche nei momenti più bui, che se fosse arrivata l’occasione giusta me la sarei dovuta giocare alla grande, quasi come la disputa di una finale di Champions League.

Il calcio è una tua grande passione…

Lo seguo molto, l’amore per la mia squadra del cuore (l’Inter, n.d.r.) mi ha addirittura spinto a chiamare mio figlio José, come il grande allenatore Mourinho.

E’ difficile oggi essere creativi fuori dal coro e non frequentare i salotti che contano?

Sono sempre stato fuori dal coro, il mio passaporto è ciò che faccio. Non conosco altre cose se non la meritocrazia. Ciò che garantisco sempre è massimo impegno e lavorare con serietà per portare a casa buoni risultati.  Mi sento un po’ come un giocatore che se gioca bene viene messo in campo, se gioca male rischia di non giocare.

Che rapporto hai coi social?

Non ho praticamente rapporti, non sono per niente social. Sono su Instagram in condivisione con mia moglie Giovanna. In poche parole è lei che lo gestisce, io non so nemmeno postare le foto. Diciamo che mi limito a leggere i messaggi che lasciano i followers. Ma non sono né su Twitter, né su Facebook. Per essere social ci vuole tempo, bisogna seguirli. Occupo il mio tempo libero diversamente. E poi sono ancora all’antica, preferisco incontrare le persone per strada, scattare una foto, ascoltare pareri, consigli, ma anche critiche o quant’altro. La gente con me ha un rapporto molto bello, diretto, mi considera il vicino della porta accanto. Ho una vita molto normale, mi piace andare al supermercato, seguire i tornei di calcio, di tennis , stare in mezzo alla persone!

Logica, intuito e capacità di osservazione sono le doti che i concorrenti del game show I Soliti Ignoti dovrebbero mettere in pratica per indovinare le identità. Quali, di queste doti o caratteristiche, ti contraddistinguono?

Nel mio lavoro seguo molto l’intuito, mi piace provare, rischiare e non essere ripetitivo. Non do mai nulla per scontato e penso di essere sempre sotto esame. Mi affido molto anche alle persone che lavorano con me; il mio è un lavoro di squadra ed anche i risultati sono il frutto di un team. Non si può pensare che io da solo possa rendere un programma più o meno bello o decretarne il successo. Usando una metafora mi sento come un pilota di Formula 1 che guida con tecnica e magari ha l’intuizione per un sorpasso…ma l’auto deve funzionare bene!

L'articolo Amadeus: “Bisogna imparare a ringraziare non solo a chiedere” sembra essere il primo su Il Giornale OFF.

Mughini: “Il ’68? Un colto fancazzismo!”

$
0
0

Pubblichiamo stralci dell’intervista di Davide Brullo a Giampiero Mughini pubblicata su Pangea in occasione della recentissima uscita dell’ultimo libro del celebre giornalista e scrittore (Redazione)

Dettaglio oracolare. Numero 20 di Giovane critica. “Primavera 69”. Copertina. Faccione oleografico di Stalin, a mo’ di ‘santino’. Dai capelli perfettamente lucidi – degna parrucca di Elvis – s’eleva un fumetto: “Sarei splendido con le basette!!”. Il dettaglio ci dice l’incanto del ‘contesto’. Ragazzi sagaci, che leggono e che sanno (dalla copertina medesima s’innalza, verticale, sulla costa, la promessa dell’approfondimento: “due diverse concezioni della costruzione dell’organizzazione rivoluzionaria”), devoti al ribaltamento dei valori, che spiantano i ‘potenti’ e i potentati – dai politici ai padri, dai parlamenti all’istituto familiare – con un guizzo, direi, ‘dada’, da lingua fuori. Il Sessantotto. Ora. Gli anniversari vanno usati come una cassa di vodka, strabiliandosi di malinconia. Oppure come barattoli di latta sulla testa del vicino di casa: vince chi li disintegra – barattolo&vicino – con una fucilata. Eppure. Ha ragione Giampiero Mughini, che nel suo personale mémoire e reportage a posteriori e anamnesi storica, Era di maggio (Marsilio 2018, pp.128, euro 16,00; indicativo il sottotitolo: “Cronache di uno psicodramma”) esordisce così, “Già trascorsi cinquant’anni, porco mondo. Cinquant’anni che non la smettiamo di ruminarci sopra. Su quelle tre inaudite settimane di un dolce e furibondo maggio parigino”. Nel cuore di quell’inaudito, a Parigi, 50 anni fa, Giampiero Mughini, 27 anni – allora – da Catania – guai a dirgli “catanese” – direttore e fondatore di Giovane critica, “una delle riviste che hanno covato e modellato il Sessantotto” (parole sue), come si dice, c’era. Così, con lungimiranza ironica (esempio: nel capitolo Quando mi arrivò la lettera della Br, per ‘Br’ s’intende “Bionda Ragazza”), senza la marcetta dell’accademico o il valzer del nostalgico, Mughini ci penetra in quei giorni, ne allestisce per noi, con nomi e tensioni e cagnara (tra situazionisti, maoisti, anarchici, “le sfumature di rosso non erano cinquanta ma duecento”), la scenografia. Proprio questa è la parola. ‘Scenografia’. Il Sessantotto francese, in fondo, fu un memorabile coup de théâtre. Mughini insiste ferinamente sulla dimensione ‘teatrale’ dei maggio francese, sulla sua natura di happening – che andava tanto di moda, allora – di mobilitazione free jazz, di colto fancazzismo (un paio di capitoli, Marxisti? Sì, ma alla maniera di Groucho Marx e Non avevamo nulla da dire, volevamo dirlo a tutti i costi, sono piuttosto indicativi). Una fotografia blocca un ragazzo, riccamente vestito, che impugna un sampietrino. La dida di Mughini è esplicita: “Un ragazzo che potrebbe essere un ballerino da quanto è elegante sta lanciando un pavé”. Dalla messa in scena, poi, s’è passati al fenomeno di massa; dalla boutade al tradimento; dal ribaltamento dei valori alla riabilitazione delle poltrone; dalla lotta d’amore alla lotta armata. Anche dentro queste ferite – e sulla distanza tra cosa è diventato il Sessantotto francese e cosa è stato quello ‘all’italiana’ – Mughini penetra, con tenace libertà.

Jean-Pierre Rey, La Marianne de Mai 68, Francia, 1968

Arriviamo al Sessantotto. In diversi passaggi del libro metti in rilievo la dimensione ‘teatrale’ del maggio francese. Ne cito alcuni. “Che ci fossero delle bellissime ragazze lì nel bel mezzo dei cortei era un formidabile strumento di comunicazione e attrattiva massmediatica”; “Nelle prime settimane di maggio gli scontri e le violenze di strada ebbero a Parigi l’andamento di una pièce teatrale”; “eravamo tutti degli splendidi attori”; “Uno che fra cento anni guardasse quella foto, penserà che si tratti dell’embrione di una rivoluzione socialista o non penserà piuttosto a una perfetta rappresentazione teatrale?”. Allora, cosa è stato il ’68 francese? Una meravigliosa ‘messa in scena’?

È stato innanzitutto uno show, sì, uno spettacolo teatrale sublime e irriproducibile. Lungo quei viali infiniti di una delle città più belle del mondo, scorrazzavamo i 130mila studenti universitari provenienti da tutta Europa. Nei cortei c’erano neri americani alti così, sudvietnamiti piccoli così, tedeschi come Dany Cohn Bendit, italiani che venivano da Torino o da Bologna o da Catania (il sottoscritto), ragazzi e splendide ragazze del nord Europa.

Parole tue. “Di quel pandemonio che vi sto raccontando non rinnego nulla di nulla, né un gesto né una parola”. Ora, però, ti dici “Un liberale che di risposte compatte ai problemi dell’oggi non ne ha nessuna, uno che preferisce tirarsi indietro e sorridere dell’imbecillità talmente diffusa”. Insomma, abiti la contraddizione coabitando con un egotismo antagonista?

Non rinnego nulla delle parole o dei gesti che ho fatto in quelle tre settimane del “joli mai”. Detto questo non sono più uno studente acerbo alla ricerca di un destino e di un’identità e bensì un cittadino repubblicano dell’Italia del terzo millennio che trema d’angoscia per il futuro del suo Paese. Un futuro le cui topografie possibili nulla hanno a che vedere con quelle degli anni Sessanta.

Chi ha fatto il ’68, alla fine? I giovani, i figli di papà, gli operai, i partiti? Tu scrivi: “Le sfumature di rosso non erano cinquanta ma duecento”. Che cosa significa? Chi è il personaggio emblematico del Sessantotto?

Non c’è un personaggio emblematico del Sessantotto francese. Ce ne sono molti. Ci sono i militanti dei “groupuscules” trockisti e maoisti, c’è un Cohn-Bendit per tre quarti anarchico e per un quarto marxista alla maniera della scuola di Francoforte (Adorno, Marcuse), ci sono quelli irrorati dalla cultura e dagli atteggiamenti situazionisti (i cui libri sono i più venduti del tempo), ci sono i tantissimi comprimari quale il sottoscritto, uno cui le giornate del “joli mai” divennero improvvisamente più luminose. Ci sono i figli dei ministri gollisti e ci sono studenti che s’erano guadagnati una borsa di studio e che mangiavano al prezzo di pochi franchi alla Cité Universitaire. E poi ci sono gli operai che lavoravano alla catena di montaggio della Renault, e quello è tutto un altro discorso.

(Intervista integrale su Pangea)

LEGGI ANCHE: Giampiero Mughini: “Condannare Di Canio per il Dux? Roba da matti!”

L'articolo Mughini: “Il ’68? Un colto fancazzismo!” sembra essere il primo su Il Giornale OFF.

“Con Belmondo ne ho fatte di tutti i colori”

$
0
0
emanuele beluffi, ilgiornaleoff

Claudia Cardinale al Festival di Cannes, Ph. Georges Biard

Domenica 15 aprile al teatro San Carlo di Napoli verranno celebrati gli 80 anni di un mito: Claudia Cardinale, musa ispiratrice dei più grandi registi, da Visconti a Fellini, da Germi a Leone. Sempre “in prima linea”, al teatro Augusteo di Napoli è attualmente impegnata con Ottavia Fusco in ‘La strana coppia’, la commedia di Neil Simon riadattata secondo un’idea di Pasquale Squitieri. Vi proponiamo una sua intervista cult (Redazione)

Che lavoro avrebbe voluto fare se non avesse fatto l’attrice?

Io volevo fare l’esploratrice. Poi ci fu una serata, si eleggeva la più bella italiana di Tunisi. Io stavo guardando la manifestazione con mamma, i miei fratelli e sorelle. Tutte le ragazze erano sul palco, quando improvvisamente è arrivato uno e mi ha messo la fascia “la più bella italiana di Tunisi”. Ma io non ero nemmeno in gara. Poi mi hanno dato per premio un viaggio durante il festival di Venezia. Mi presentai in bikini. Ma il bikini non era ancora arrivato a Venezia e perciò tutti mi fotografarono. Ero con mamma, avevo sedici anni e un sacco di produttori mi chiedevano di fare cinema. Ma la mia risposta era sempre no. E ricordo che quando stavamo salendo sull’aereo per tornare a Tunisi, sui giornali c’era scritto: la ragazza che rifiuta di fare cinema.

Perché rifiutava?

Io avevo una sorella Blanche, molto bella, bionda…era lei che voleva fare cinema, non io. Perciò io dicevo sempre no. Perché sapevo che era il suo sogno.

A quale film è più legata?

Il momento più importante è stato “Il Gattopardo” e “8 e ½” che ho fatto insieme, nello stesso periodo. Con Visconti era come fare teatro e con Federico non c’era copione, era tutta improvvisazione. Poi il bello era che in “8 ½” interpretavo me stessa, Claudia Cardinale. Ricordo che Fellini veniva sempre a prendermi a casa perché diceva che io ero la sua musa.

A novembre ha debuttato al Sistina (fino ad aprile in tournée in tutta Italia) con “La strana coppia” insieme ad Ottavia Fusco. Come è nata l’idea di questo spettacolo?

Il sogno di Pasquale Squitieri era quello di fare questo film invece che con due uomini, con due donne. Ha scelto noi due perché io son stata trenta anni con lui e poi quando lui è stato male Ottavia (moglie del regista)lo ha molto aiutato.

LEGGI ANCHE: “Squitieri è stato ucciso dal sistema”

In scena interpreta Fiorenza, una maniaca dell’ordine…le somiglia?

Sì, io amo l’ordine. Sto sempre a fare pulizie dappertutto, invece Ottavia butta tutto per terra.

E un suo difetto?

Fumo, fumo (ride)…colpa di Visconti, perché lui mi ha fatto fumare quando avevo 35 anni in “Vaghe stelle dell’Orsa”.

Lei ha avuto tantissimi corteggiatori, di chi conserva un ricordo particolare?

Non ci sono mai cascata ai corteggiatori. Solo con Rock Hudson, ma era finzione. Lui era omosessuale, e all’epoca se eri gay non lavoravi. Così quando mi trovai in America per girare i due film che ci vedevano protagonisti, feci finta di stare con lui.

Da chi ha ricevuto il più bel complimento?

Ho fatto 165 film però il complimento più bello l’ho avuto da David Niven quando ho fatto “La pantera rosa”. Lui mi disse: ‘Claudia, con gli spaghetti sei la più bella invenzione degli italiani’.

Ci racconta un episodio OFF del suo lavoro?

Il collega con cui mi sono divertita di più è stato Belmondo. Organizzavamo delle cose pazzesche. Lui diceva: ‘seduci il direttore dell’albergo’. Nel frattempo lui levava tutti i mobili e li buttava per la strada. Ne abbiamo fatte di tutti i colori. E ci mettevamo d’accordo. Infatti, quando ci vediamo (e capita spesso a Parigi, dove viviamo entrambi) ci diciamo all’orecchio tutte le cose che abbiamo combinato.

Quale è stata la scena più imbarazzante che ha interpretato?

Nei miei film non mi sono mai spogliata, ho sempre rifiutato. Ho detto: non vendo il mio corpo. Però, ricordo che quando facevo il Gattopardo Luchino mi diceva all’orecchio: quando baci Alain voglio vedere la lingua. Ma non l’ho mai fatto.

Invece non ha detto di no alle scene pericolose…

Ho avuto la fortuna di vivere molte vite. E ho fatto personalmente tutti gli effetti speciali, anche i più pericolosi…Non ho mai avuto controfigure. Io amo il pericolo. Ho girato persino una scena in un letto con un ghepardo che mi baciava.

Esiste ancora un forte maschilismo nella società?

Io l’ho sempre affrontato con la mia personalità. Sono un maschiaccio e quando ero ragazza facevo persino a pugni con i maschi. Inoltre sono ambasciatrice dell’Unesco e difendo le donne (oltre che i bambini del Cambogia, gli omosessuali ecc.). Poi non mi sono mai sposata e, dal punto di vista lavorativo, come attrice son stata fortunata perché ho lavorato con i più grandi come Monicelli, Pietro Germi, Bolognini…che erano seri professionisti.

È più difficile per i giovani di oggi fare carriera nel cinema?

Il problema è che In Italia non ci sono finanziamenti, invece in Francia e in America sì. Martin Scorsese e Woody Allen mi hanno sempre detto che loro si sono ispirati al cinema italiano anni ’60 che è stato molto importante nel mondo. Ma in Francia e in America i governi aiutano. In Italia no. È quello che mi dà fastidio.

Dopo la tournée dove la vedremo?

Ho parecchi progetti, tra cui un film in Italia e uno in Egitto con Emma Thompson.

Files Pictures of Italian Actress Claudia Cardinale In Italy In 1950- ITALY - JANUARY 01: Files Pictures of Italian Actress Claudia Cardinale In Italy In 1950-Young Italian actress Claudia Cardinale. (Photo by REPORTERS ASSOCIES/Gamma-Rapho via Getty Images)

 

 

L'articolo “Con Belmondo ne ho fatte di tutti i colori” sembra essere il primo su Il Giornale OFF.

Giampiero e Lorella da Arcore a Grease con grande ironia

$
0
0

Non mi hai più detto ti amo, lorella cuccarini, giampiero ingrassia, marco lomonaco, mondadori store, manzoni cultura, edoardo sylos labini, teatro manzoni,Sono passati 21 anni da quando Lorella Cuccarini e Giampiero Ingrassia giravano l’Italia in coppia portando lo straordinario musical Grease nei teatri più importanti dello stivale. 

I due tornano tornati insieme in scena con uno spettacolo in prosa scritto e diretto da Gabriele Pignotta ” Non mi hai più detto ti amo” si sono raccontati al Mondadori Store di piazza Duomo a Milano nelle ormai consuete interviste OFF di Edoardo Sylos Labini. Con loro anche i giovani attori della Compagnia Raffaela Camarda, Francesco Maria Conti e il veterano Fabrizio Corucci.

 

Voi affrontate nel vostro nuovo spettacolo il delicato tema della famiglia che, con i cambiamenti sociali del nostro tempo, viene messa in discussione. Lorella, la famiglia è ancora un cardine fondamentale della nostra società?

Lorella: Direi di sì. Non per niente la commedia è stata pensata, scritta e messa in scena appunto per portare al centro dell’attenzione la famiglia e per raccontare l’ordinarietà della stessa, che affronta però un momento di crisi, qualcosa di straordinario quindi, che la obbliga a mutare e ad adattarsi a determinate situazioni che finiranno poi per rafforzarla.

Giampiero, com’è cambiato oggi il rapporto tra marito e moglie?

Giampiero: Dipende dai punti di vista. Cambia in base a com’è la famiglia presa come riferimento. Prendendo ad esempio la famiglia tradizionale, per la quale io faccio il tifo, diciamo che la donna, rispetto a tanti anni fa, si è fortemente emancipata e magari lavora dalla mattina alla sera con il marito che la sera rincasa e cucina. Questi cambiamenti ben vengano e siano sintomo di un progresso socioculturale.

Il tema dei figli è un altro dei temi portanti dello spettacolo; in una delle prime scene Lorella passa con il cestino a ritirare i cellulari a tavola ai ragazzi. Che genitori siete voi nella vita reale, specialmente nel rapporto coi social?

Lorella: Non passo col cestino perché proprio non li ammetto a tavola i cellulari. Anche mio marito appena ne vede uno diventa una belva! La cena è uno dei rari momenti in cui si può parlare di cosa si è fatto nella giornata e non va sprecato.

Giampiero: Vuoi sapere del mio rapporto coi social e mia figlia? Pensa, mi ha inserito lei su Instagram! Per quanto riguarda il cellulare a tavola, anche io la vedo come Lorella, ma ho meno polso di lei, diciamo: siccome a volte ricevo io stesso dei messaggi a cui rispondo,  mi sento un po’ in colpa a dire a mia figlia di posare il cellulare quando io per primo lo sto usando.

Domanda solo per te Giampiero, ovviamente. Che padre era il grande Ciccio Ingrassia?

Giampiero: Era un bellissimo padre. Non esistevano i cellulari quindi aveva qualche motivo in meno per rimproverarmi. Era un grandissimo padre che mi ha insegnato molto e mi fa piacere vedere soprattutto in quanti ancora lo seguono e lo ricordano con affetto.

Cosa ne pensava Ciccio del fatto che tu volessi intraprendere la carriera artistica?

Mio padre non voleva che all’inizio io facessi questo mestiere perché sapeva che era difficile. Agli inizi io facevo Legge ma poi decisi di fare in segreto l’esame per il laboratorio di Proietti. Non glielo dissi finché non mi presero perché non volevo che influisse sulla mia scelta di vita. Inoltre, non ha mai telefonato per raccomandarmi perché io non volevo e non voleva nemmeno lui. Ha sempre rispettato la privacy delle mie scelte durante la mia carriera e di questo lo ringrazio moltissimo.

Invece la tua figura famigliare di riferimento, Lorella?

Lorella: Sono cresciuta con mamma, punto di riferimento assoluto, faro sotto tutti i punti di vista. Non mi è mancato mai nulla e quando lei è venuta a mancare mi è franato il terreno sotto i piedi. Lei mi ha sempre supportato; mi diceva che se ami qualcosa devi provaci, però devi anche sostenerti con le tue gambe e infatti io ho imparato ad autodeterminarmi, iniziando ad esempio a lavorare presto per pagarmi la scuola di danza.

Il vostro debutto quando è stato?

Lorella: Ho cominciato come ballerina di fila praticamente a 18 anni, nel 1983 ho iniziato a ballare in due o tre programmi televisivi e poi ho avuto un opportunità bellissima nell’85 con Pippo Baudo in una convention dell’Algida. Pippo era lì come conduttore, io ero lì come ballerina. In quella serata mi fece chiamare dal suo manager e mi fece un provino che mi portò avanti insomma… Grande Pippo!

Giampiero: Il 16 aprile 1983 a Roma. Risposi con un amico ad un annuncio sul giornale e in qualche modo debuttammo; la sera della prima c’era solo la mia ragazza che faceva le foto dello spettacolo. Inoltre nel 1983 la Roma vinse lo scudetto e mio padre e mia madre che erano anche loro sulla strada per venire alla prima del mio spettacolo mi chiamarono per dirmi: “Per strada c’è il delirio, noi non arriveremo mai”. Ecco, il mio primo spettacolo!

Non mi hai più detto ti amo, lorella cuccarini, giampiero ingrassia, marco lomonaco, mondadori store, manzoni cultura, edoardo sylos labini, teatro manzoni,Lorella, a chi diresti grazie per la tua carriera, oltre a Pippo Baudo?

Lorella: A moltissimi, mi viene in mente Antonio Ricci che mi portò a fare Paperissima, aprendomi la strada della conduzione. Ma anche Saverio Marconi che ci diede la grande possibilità con il musical Grease, di cui ancora oggi si parla. Marco Columbro anche è stato una persona speciale.

Ad ogni personaggio che intervistiamo chiediamo di raccontarci un episodio OFF della propria carriera. Qualcosa di imbarazzante, inedito, successo magari all’inizio della vostra carriera…

Lorella: Di imbarazzante mi viene subito in mente quando per errore lanciai una scarpa in testa all’allora direttore della Rai. Ballando, in un balletto accidentalmente mi si è rotto un cinturino facendo un passo e la scarpa volando via con estrema forza è passata radente alla testa del direttore. In quel momento ho visto la carriera finire. Siccome non l’ho preso, non è successo niente e lo spettacolo è andato avanti.

Giampiero: Parecchi anni fa, alla presentazione dei palinsesti Fininvest, Io presenziavo insieme a Rocco Papaleo e tanti altri per presentare Classe di ferro, con cui poi abbiamo vinto il Telegatto. C’era questa festa magnifica ad Arcore, noi 26enni affittammo gli smoking e andammo. Quella villa meravigliosa, cinema, piscina, ci faceva letteralmente impazzire. Berlusconi suonava il pianoforte ed era pieno di calciatori e star dello Spettacolo.  Ad un certo punto vedo una bella donna… con il mio smoking affittato mi avvicino e con un accattivante buonasera le propongo di offrirle da bere. Mi presento, lei non fa una piega. Le chiedo come si chiama, mi risponde solo: “Veronica”. Nel mentre vedevo Bruno Corbucci, regista di Classe di ferro, che mi guardava perplesso, quasi allarmato. Vado a prendere da bere e vengo intercettato da Corbucci che mi apre gli occhi: era Veronica Lario. Mi sono nascosto per tutta la serata.

Ognuno di noi ha avuto nella propria vita qualche episodio doloroso. Come si va in scena quando succedono dei drammi come quelli che avete vissuto voi?

Lorella: Per fortuna non mi è mai capitato di dover lavorare proprio con delle situazioni di estrema difficoltà familiare. È stato però molto doloroso ad esempio andare in scena dopo aver appreso della scomparsa di Fabrizio Frizzi, che era un caro amico e una persona meravigliosa. Tutti speravamo che quella battaglia la vincesse e andare in scena quella sera è stato veramente difficile.

Giampiero: A me purtroppo il dramma è capitato con la perdita di mia moglie, madre di mia figlia che allora aveva 10 anni; non sono potuto andare avanti negli spettacoli perché ho dovuto pensare a lei che aveva appena perso la mamma. Mi trovavo a Napoli per Frankenstein Junior e ho dovuto mollare. Ho avuto un bravo cover che mi ha sostituito per tre mesi e quando mi sono sentito pronto ho rincominciato. Conosco però dei colleghi che pur avendo appreso in giornata della scomparsa di qualcuno vicino, la sera sono andati in scena. Il concetto di The show must go on è totalmente soggettivo comunque. Andare a far ridere ad esempio con uno squarcio dentro di dolore è veramente difficile, oltre che controproducente.

Se Mattarella durante il secondo giro di consultazioni dovesse chiamarvi e chiedervi un suggerimento su chi mettere a fare il Premier, chi indichereste?

Lorella: Oggi potremmo dire Eusebio Di Francesco!

Giampiero: Il nostro Fabrizio Corucci, senza dubbio. Fabrizio Corucci premier.

L'articolo Giampiero e Lorella da Arcore a Grease con grande ironia sembra essere il primo su Il Giornale OFF.

Serena Bortone: “Noi donne non dobbiamo vergognarci di avere potere”

$
0
0

«Le sfide si possono vincere se si perseguono i propri obiettivi con caparbietà e un pizzico di follia». E di sfide Serena Bortone, giornalista, conduttrice e volto fra i più noti del piccolo schermo, ne ha vinte molte durante la sua lunga carriera.  Prima fra tutte – sicuramente una cui tiene in particolar modo – quella di aver dato vita ad un gruppo di lavoro affiatato che con rigore ed entusiasmo offre al telespettatore un prodotto con una chiave interpretativa della realtà sempre nuova e mai banale, con una significativa presenza e impronta femminile. «Se non avessi in squadra delle donne sentirei che manca qualcosa, un diverso e fondamentale punto di vista sulla realtà».

Non solo nel gruppo autorale, ma anche fra gli ospiti nei talk che conduci, Agorà, c’è sempre almeno una donna. Cosa vuol dire essere femminista per te, oggi?

Vuol dire essere consapevoli che il mondo non può essere rappresentato da un unico genere. Soprattutto vuol dire essere libere da condizionamenti esterni, essere sempre se stesse e capaci di realizzarsi integralmente. E questo passa anche dal riconoscimento del merito e delle qualità: penso al gender pay gap, cioè al fatto che le donne guadagnino meno degli uomini. Ma c’è anche il concetto di “potere”, un termine che noi donne abbiamo sempre schivato, quasi ce ne vergognassimo, mentre può avere una grande accezione positiva se interpretato in chiave meritoria: un mezzo per raggiungere degli obiettivi, come quello di premiare chi lo merita, a prescindere dal genere di appartenenza. In questo sta la grande conquista femminista.

Sei cresciuta professionalmente nella Rai Tre di Angelo Gugliemi, una stagione di grande fermento culturale e attenta alle istanze sociali del paese.

La televisione di Guglielmi era la televisione della realtà: una tv che fotografa e rappresenta il reale, che cerca di essere interpretativa e mai dogmatica, pronta ad accogliere tutti i punti di vista. Questa è anche la vera sfida del servizio pubblico e ciò che ad Agorà proviamo a perseguire: confrontare l’attualità politica con ciò che succede nel Paese, mostrare con laicità diverse sfaccettature di una realtà complessa. Oggi in particolare viviamo in una fase di transizione politica molto interessante, sia perché tutto sta cambiando velocemente – la rapidità è un segno distintivo dei nostri tempi -, sia perché dobbiamo raffrontarci con un voto “volatile” e con nuovi protagonisti sulla scena.

Un episodio OFF della tua carriera che ti è rimasto particolarmente impresso?

Avevo 18 anni ed era il mio primo giorno di lavoro come assistente ai programmi a La ricerca dell’arca di Mino D’Amato. Era nostra ospite La Toya Jackson: siccome aveva raccontato al conduttore di amare i serpenti, lui mi chiese di trovare un pitone. Dopo un iniziale sbigottimento, capii subito che la televisione è un ‘mondo meraviglioso’ dove tutto è possibile: il lavoro può essere divertente proprio perché è una sfida continua e, soprattutto, questa sfida la puoi vincere! 

L'articolo Serena Bortone: “Noi donne non dobbiamo vergognarci di avere potere” sembra essere il primo su Il Giornale OFF.

Tanti Auguri Claudia Cardinale, icona di bellezza e semplicità

$
0
0
emanuele beluffi, ilgiornaleoff

Claudia Cardinale al Festival di Cannes, Ph. Georges Biard

Stasera al teatro San Carlo di Napoli verranno celebrati gli 80 anni di un mito: Claudia Cardinale, musa ispiratrice dei più grandi registi, da Visconti a Fellini, da Germi a Leone. Sempre “in prima linea”, al teatro Augusteo di Napoli è attualmente impegnata con Ottavia Fusco in ‘La strana coppia’, la commedia di Neil Simon riadattata secondo un’idea di Pasquale Squitieri. Vi proponiamo una sua intervista cult (Redazione)

Che lavoro avrebbe voluto fare se non avesse fatto l’attrice?

Io volevo fare l’esploratrice. Poi ci fu una serata, si eleggeva la più bella italiana di Tunisi. Io stavo guardando la manifestazione con mamma, i miei fratelli e sorelle. Tutte le ragazze erano sul palco, quando improvvisamente è arrivato uno e mi ha messo la fascia “la più bella italiana di Tunisi”. Ma io non ero nemmeno in gara. Poi mi hanno dato per premio un viaggio durante il festival di Venezia. Mi presentai in bikini. Ma il bikini non era ancora arrivato a Venezia e perciò tutti mi fotografarono. Ero con mamma, avevo sedici anni e un sacco di produttori mi chiedevano di fare cinema. Ma la mia risposta era sempre no. E ricordo che quando stavamo salendo sull’aereo per tornare a Tunisi, sui giornali c’era scritto: la ragazza che rifiuta di fare cinema.

Perché rifiutava?

Io avevo una sorella Blanche, molto bella, bionda…era lei che voleva fare cinema, non io. Perciò io dicevo sempre no. Perché sapevo che era il suo sogno.

A quale film è più legata?

Il momento più importante è stato “Il Gattopardo” e “8 e ½” che ho fatto insieme, nello stesso periodo. Con Visconti era come fare teatro e con Federico non c’era copione, era tutta improvvisazione. Poi il bello era che in “8 ½” interpretavo me stessa, Claudia Cardinale. Ricordo che Fellini veniva sempre a prendermi a casa perché diceva che io ero la sua musa.

A novembre ha debuttato al Sistina (fino ad aprile in tournée in tutta Italia) con “La strana coppia” insieme ad Ottavia Fusco. Come è nata l’idea di questo spettacolo?

Il sogno di Pasquale Squitieri era quello di fare questo film invece che con due uomini, con due donne. Ha scelto noi due perché io son stata trenta anni con lui e poi quando lui è stato male Ottavia (moglie del regista)lo ha molto aiutato.

LEGGI ANCHE: “Squitieri è stato ucciso dal sistema”

In scena interpreta Fiorenza, una maniaca dell’ordine…le somiglia?

Sì, io amo l’ordine. Sto sempre a fare pulizie dappertutto, invece Ottavia butta tutto per terra.

E un suo difetto?

Fumo, fumo (ride)…colpa di Visconti, perché lui mi ha fatto fumare quando avevo 35 anni in “Vaghe stelle dell’Orsa”.

Lei ha avuto tantissimi corteggiatori, di chi conserva un ricordo particolare?

Non ci sono mai cascata ai corteggiatori. Solo con Rock Hudson, ma era finzione. Lui era omosessuale, e all’epoca se eri gay non lavoravi. Così quando mi trovai in America per girare i due film che ci vedevano protagonisti, feci finta di stare con lui.

Da chi ha ricevuto il più bel complimento?

Ho fatto 165 film però il complimento più bello l’ho avuto da David Niven quando ho fatto “La pantera rosa”. Lui mi disse: ‘Claudia, con gli spaghetti sei la più bella invenzione degli italiani’.

Ci racconta un episodio OFF del suo lavoro?

Il collega con cui mi sono divertita di più è stato Belmondo. Organizzavamo delle cose pazzesche. Lui diceva: ‘seduci il direttore dell’albergo’. Nel frattempo lui levava tutti i mobili e li buttava per la strada. Ne abbiamo fatte di tutti i colori. E ci mettevamo d’accordo. Infatti, quando ci vediamo (e capita spesso a Parigi, dove viviamo entrambi) ci diciamo all’orecchio tutte le cose che abbiamo combinato.

Quale è stata la scena più imbarazzante che ha interpretato?

Nei miei film non mi sono mai spogliata, ho sempre rifiutato. Ho detto: non vendo il mio corpo. Però, ricordo che quando facevo il Gattopardo Luchino mi diceva all’orecchio: quando baci Alain voglio vedere la lingua. Ma non l’ho mai fatto.

Invece non ha detto di no alle scene pericolose…

Ho avuto la fortuna di vivere molte vite. E ho fatto personalmente tutti gli effetti speciali, anche i più pericolosi…Non ho mai avuto controfigure. Io amo il pericolo. Ho girato persino una scena in un letto con un ghepardo che mi baciava.

Esiste ancora un forte maschilismo nella società?

Io l’ho sempre affrontato con la mia personalità. Sono un maschiaccio e quando ero ragazza facevo persino a pugni con i maschi. Inoltre sono ambasciatrice dell’Unesco e difendo le donne (oltre che i bambini del Cambogia, gli omosessuali ecc.). Poi non mi sono mai sposata e, dal punto di vista lavorativo, come attrice son stata fortunata perché ho lavorato con i più grandi come Monicelli, Pietro Germi, Bolognini…che erano seri professionisti.

È più difficile per i giovani di oggi fare carriera nel cinema?

Il problema è che In Italia non ci sono finanziamenti, invece in Francia e in America sì. Martin Scorsese e Woody Allen mi hanno sempre detto che loro si sono ispirati al cinema italiano anni ’60 che è stato molto importante nel mondo. Ma in Francia e in America i governi aiutano. In Italia no. È quello che mi dà fastidio.

Dopo la tournée dove la vedremo?

Ho parecchi progetti, tra cui un film in Italia e uno in Egitto con Emma Thompson.

Files Pictures of Italian Actress Claudia Cardinale In Italy In 1950- ITALY - JANUARY 01: Files Pictures of Italian Actress Claudia Cardinale In Italy In 1950-Young Italian actress Claudia Cardinale. (Photo by REPORTERS ASSOCIES/Gamma-Rapho via Getty Images)

L'articolo Tanti Auguri Claudia Cardinale, icona di bellezza e semplicità sembra essere il primo su Il Giornale OFF.


Justine Mattera: “I miei sexy 47 anni su Playboy”

$
0
0

Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera InstagramJustine Mattera, 47 anni, showgirl, attrice, conduttrice televisiva e anche cantante dalla chioma bionda e dal sorriso provocante. Statunitense di nascita, italiana d’adozione. Laureata a Stanford, si trasferisce giovanissima in Italia per motivi di studio e viene notata da Joe T Vannelli che lancia la sua carriera. Gli anni seguenti sono ricchi di successi: partecipa al programma di Paolo Limiti che nel 2000 sposerà, per poi separarsi dopo due anni. Conduce programmi e gira film per la televisione, co-conduce un programma alla radio sempre con Vannelli e debutta a teatro con un musical. Partecipa a reality show e varietà e approda anche al cinema e su Playboy. Justine vive una carriera eclettica a dir poco che l’ha portata a continuare a cercare nuove esperienze. Ultimamente non fa mai mancare foto provocanti ai suoi fan su Instagram e ha iniziato ad appassionarsi al triathlon, disciplina di cui posta spesso foto di allenamenti e gare…

Com’è nata in te questa passione per il triathlon?

La passione è nata l’anno scorso quando mi hanno proposto di partecipare ad una gara. Io già avevo avuto esperienze di mezze maratone e da piccola nuotavo, quindi aggiungendo la bici ho iniziato a gareggiare nel triathlon. Ne ho fatto uno ad esempio facendo pochissimo allenamento prima e durante la gara mi è successo di tutto, poiché è una disciplina dura e il tuo corpo ha bisogno di essere ben allenato e preparato per affrontarlo.

Se dovessi dare un consiglio ai nostri lettori su come approcciarsi a questa disciplina, quale sarebbe?

Approcciarsi a questa disciplina è sicuramente complicato, serve tanta costanza e per una persona che lavora, anche con ritmi normali e magari ha figli, è difficile conciliare tutto con gli allenamenti. Bisogna mantenersi allenati in tutte e tre le discipline e l’ideale per competere ad un buon livello sarebbe allenarsi due volte al giorno alternando due sport. Ma io ad esempio non ci riesco mai, è praticamente impossibile! Quello che è fattibile con un po’ di costanza è uno sprint, trattandosi di 750 m di nuoto, 20 km di bici e 5 km di corsa.

La Presidente del Senato Casellati ha ricevuto il mandato esplorativo dal Presidente della Repubblica. Sei contenta che finalmente ci sia una donna a ricoprire ruoli di questa importanza?

Certo, questo ci insegna che la persona giusta nel ruolo giusto lo è indipendentemente dal sesso. Se una donna è competente nel suo campo è giusto che ricopra un ruolo di rilievo tanto quanto un uomo!

Tu chi proporresti al Presidente Mattarella come Premier?

 Mah guarda, la politica italiana è una cosa che faccio fatica a comprendere fino in fondo, la trovo davvero molto complicata. E poi noi in America abbiamo già i nostri problemi con Trump…

Ma quindi che giudizio daresti su Trump per questo suo primo periodo di presidenza?

Io non l’ho votato perché pensavo sarebbe stato uno che avrebbe preso il lavoro come un programma televisivo; così ho votato la Clinton perché mi sembrava leggermente meglio. Tanti dicono che l’economia va meglio con Trump però c’è questo clima di tensione continuo che fa pensare ogni due per tre ad una nuova guerra. Non mi piace per niente e spero che questo cambi presto.

Ci racconti un episodio OFF della tua carriera?

Per me è un po’ difficile trovare qualcosa che non ho già detto o raccontato, anche perché per me molte cose OFF potrebbero essere normali. Nella mia vita ho seguito l’istinto, sono venuta in Italia, ho fatto anche la cantante per un periodo… e così ho iniziato. Stavo ballando in discoteca e ad un certo punto il DJ, che era Joe T Vannelli, mi ha chiesto se sapevo anche cantare. Ho provato, poi ho iniziato a registrare con lui e ho prodotto dei singoli e un disco di grande successo.

Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera InstagramSei stata su Playboy a 46 anni e c’è chi ha scritto di te che dai la paga alle ventenni di oggi. Ti senti come quando avevi 20 anni?

Mi sento molto meglio di quando avevo 20 anni, mi ritengo più affascinante e il mio corpo è stato modellato da tutti gli sport che faccio. Io non pensavo certo di dare la paga alle ventenni andando su Playboy ma bensì di dimostrare che una donna a 46 può essere ancora bella, in forma e super attraente e che quindi può anche stare su Playboy. Io vivo per la mia età e sono felice, non vorrei essere più giovane. Ho 47 anni adesso e li vivo benissimo, ho una vita sportiva, mangio bene, seguo il cuore.

Attualmente sei sul set…

 Sì, andrà in onda da novembre prossimo su Rai 1 I Bastardi di Pizzofalcone 2 che stiamo girando proprio in questo periodo. Non potete perdervelo!

Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram Marco Lomonaco, Justine Mattera, Justine Mattera Playboy, Justine Mattera photo, Justine Mattera Instagram

L'articolo Justine Mattera: “I miei sexy 47 anni su Playboy” sembra essere il primo su Il Giornale OFF.

“Quel giorno che la mia vita cambiò”

$
0
0

Italian model Martina Colombari attends the amfAR Milano, the Foundations fifth annual benefit held in conjunction with Milan Fashion Week, at La Permanente in Milan, 21 september 2013. ANSA / MATTEO BAZZIMartina Colombari è sicuramente una donna che sa cogliere quelle esigenze che ti fanno guardale vita da un nuovo punto di vista. Per questo la nostra conversazione si sofferma sul suo ormai decennale impegno sociale con la Fondazione Rava.

Com’è iniziato il tuo impegno nel sociale?

Dopo anni di vita meravigliosa e soddisfazioni professionali e un rapporto d’amore con un uomo bello come il sole ti rendi conto che, perché tutto abbia ancora più senso, serve qualcos’altro, un impegno che ti metta in contatto con la parte più profonda di te stessa. Desidero lasciare un mondo migliore a mio figlio e quindi ho deciso di impegnarmi affinché questo accada.Tutto è nato dieci anni fa con la mia prima visita ad Haiti…

Cos’è accaduto?

La tua scala dei valori si modifica: capisci che rimarrà in eterno “solo” quella parte di noi che abbiamo dedicato agli altri. Haiti mi dà tanto e una persona non può “testimoniare” se non vive da volontario.

Hai un ricordo di quella prima volta ad Haiti?

Fui invitata dieci anni fa alla Scala di Milano per un evento di raccolta fondi della Fondazione Rava e lì conobbi una realtà straordinaria. Immediatamente mi misi a disposizione per fare la prima missione e partii per Haiti un mese dopo.

Quale fu la tua prima impressione?

Haiti è il secondo posto più povero al mondo. In quell’isola meravigliosa sembra ci sia un accanimento del destino: piaghe, corruzione, alluvioni e calamità naturali. Io poi arrivai di giovedì, il giorno in cui svuotano gli obitori e ci si prende cura dei corpi per essere messi in fosse comuni. Quell’esperienza ha segnato per sempre la mia vita.

Ora sei parte di loro…

Sì, a tal punto che hanno chiamato un Ospedale “Clinica Martina”, un gesto che mi ha riempito di gioia.

Martina Colombari, Martina Colombari intervista il giornale, Martina Colombari Fondazione Rava, Martina Colombari Haiti, Martina Colombari anoressia, Martina Colombari bulimia

Martina Colombari © ANSA

Sei stata ambasciatrice di Expo Milano: qual è stata la tua esperienza?

Straordinaria, di cui ringrazio il sindaco Giuseppe Sala. Expo Milano è stata un’iniziativa di grandissimo valore, dove il tema del “nutrire il pianeta ed energia per la vita“ conteneva profondamente i miei ideali anche legati alla alimentazione.

Già, l’alimentazione: un altro tuo impegno.

Ho il dovere di fare tutto ciò che è possibile per stare bene, anche per un senso di responsabilità nei confronti di chi amo, mio marito e mio figlio. Poco tempo fa sono stata a Villa Miralago a Varese, una struttura dove vengono curate l’anoressia e la bulimia. Ho parlato con tante ragazze malate di anoressia, che mi hanno regalato senza alcun filtro la loro esperienza.

Martina, un episodio Off della tua vita?

Non esiste un episodio in particolare, ma un comune denominatore che mi porta sempre a “coincidenze” fondamentali per i cambiamenti.

Il tuo sogno per il futuro?

Creare una start up legata al sociale costruendo una vera e propria community per sensibilizzare la cultura dell’impegno per il prossimo.

Martina Colombari, Martina Colombari intervista il giornale, Martina Colombari Fondazione Rava, Martina Colombari Haiti, Martina Colombari anoressia, Martina Colombari bulimia Martina Colombari, Martina Colombari intervista il giornale, Martina Colombari Fondazione Rava, Martina Colombari Haiti, Martina Colombari anoressia, Martina Colombari bulimia Martina Colombari, Martina Colombari intervista il giornale, Martina Colombari Fondazione Rava, Martina Colombari Haiti, Martina Colombari anoressia, Martina Colombari bulimia Martina Colombari, Martina Colombari intervista il giornale, Martina Colombari Fondazione Rava, Martina Colombari Haiti, Martina Colombari anoressia, Martina Colombari bulimia Martina Colombari, Martina Colombari intervista il giornale, Martina Colombari Fondazione Rava, Martina Colombari Haiti, Martina Colombari anoressia, Martina Colombari bulimia Martina Colombari, Martina Colombari intervista il giornale, Martina Colombari Fondazione Rava, Martina Colombari Haiti, Martina Colombari anoressia, Martina Colombari bulimia Martina Colombari, Martina Colombari intervista il giornale, Martina Colombari Fondazione Rava, Martina Colombari Haiti, Martina Colombari anoressia, Martina Colombari bulimia Martina Colombari, Martina Colombari intervista il giornale, Martina Colombari Fondazione Rava, Martina Colombari Haiti, Martina Colombari anoressia, Martina Colombari bulimia Italian model Martina Colombari attends the amfAR Milano, the Foundations fifth annual benefit held in conjunction with Milan Fashion Week, at La Permanente in Milan, 21 september 2013. ANSA / MATTEO BAZZI

L'articolo “Quel giorno che la mia vita cambiò” sembra essere il primo su Il Giornale OFF.

Marcello Veneziani: “Se mi fanno ministro mi dimetto”

$
0
0

Intervista di Davide Brullo pubblicata su Pangea

Dotato di una energia creativa inesauribile – nel 2017 sono usciti tre libri di diverso impianto stilistico: Alla luce del mito e Imperdonabili. Cento ritratti di maestri sconvenienti, per Marsilio, Tramonti. Un mondo finisce e un altro non inizia, per Giubilei e Regnani – Marcello Veneziani è forse il più lucido cartografo del tempo recente – uno speleologo negli abissi di lordura e di gloria dell’uomo.

Aiutaci a capire il caos governativo. Su Il Tempo hai scritto, da una parte, che i grillini sono il peggiore dei mali e che il Governo dovrebbe farlo Pirandello. Come la vedi? Soprattutto, che fine fa il centrodestra?

Nella partita triangolare che stiamo vivendo finire fuori gioco o al centro del gioco è cosa di un attimo. I perdenti di ieri diventano con facilità i vincenti di oggi per essere poi gli esclusi di domani. Siamo in una fase pirandelliana, finora dettata da un solo punto fermo: si tratta di tre poli scapoli, che non possono ammogliarsi tra loro, o se pensano di farlo risultano perdenti e non sanno dove andare a vivere insieme (prendi Renzi-Berlusconi). La follia è che tutto questo si sapeva già dai tempi della legge elettorale. E il rimedio è solo là, un dispositivo che premi chi ha preso più voti, o che consenta con un doppio turno di andare al ballottaggio tra i primi due. Ma non si farà, si aspetta solo che muoia politicamente uno dei tre. Sulla carta, il centrodestra resta il più forte, ma è un cartello elettorale non un’intesa politica, ha leader declinanti o inadeguati, e un popolo senza una sintesi al vertice

Oggettivamente… a destra e a manca, a centrocampo e ai lati, non mi pare ci siano personaggi politici, per così dire, illuminati. Dove sta il virus, il veleno: l’assenza patente di cultura politica, di cultura tout court?

L’assenza a mio parere dipende da due ingredienti carenti: manca la selezione e manca la motivazione. Ovvero mancano i criteri con cui si forma, si fonda, si seleziona una classe dirigente con i suoi leader (fondazioni, scuole, partiti e movimenti vivi, luoghi in cui si distinguono e si valorizzano le capacità). E manca la motivazione grande, ideale, culturale, politica, la ragione per cui ciascuno contribuisce alla battaglia senza considerarsi il terminale, l’utilizzatore finale, ma solo un leader al servizio di una causa che lo trascende, lo precede e gli sopravvive. Il virus è tutto in quel combinato disposto letale che uccide passato e futuro, passione e qualità.

Ti fanno Ministro della cultura, cosa fai?

Mi dimetto. La politica non ti farebbe fare nulla, ti ridurrebbe a un ruolo nella migliore delle ipotesi ornamentale. L’economia ti priverebbe di fondi perché c’è sempre un’altra priorità rispetto alla cultura, dovresti gestire solo i tagli. E i media, l’episcopato degli intellettuali organici, le associazioni mafiose che dominano nella cultura, mi massacrerebbero perché di destra. Tempo perso, vita sprecata.

Negli Imperdonabili stili i ritratti di alcuni maestri “sconvenienti”(non usi l’abusato ‘cattivi’). Qual è il ritratto che hai ideato con più divertimento? Qual è stato il tuo personale maestro “sconveniente”? Ormai, di fatto, anche tu sei un maestro ‘sconveniente’, nonostante te…

Molti ritratti ho scritto con piacere e partecipazione, e credo che si veda. Non riesco, come Filomena Maturano, a dire quale dei cento autori mi stia più a cuore, perché sono tutti (o meglio molti di loro, alcuni sono fratellastri, figliastri, patrigni) piezz e’ core… Certo, i più “divertenti” sono quelli dedicati agli autori brillanti, per una ragione “omeopatica”: Kraus e Longanesi, Flaiano e Montanelli, e così via […]

Intervista completa su Pangea

L'articolo Marcello Veneziani: “Se mi fanno ministro mi dimetto” sembra essere il primo su Il Giornale OFF.

Diego Fusaro: “Viviamo in un totalitarismo glamour”

$
0
0

Diego Fusaro, Ales, il GiornaleOFFsandro Sansoni, intervistaDiego Fusaro, 35 anni, docente all’Istituto Alti Studi Strategici e Politici (IASSP), è un filosofo che ha fatto del pensare altrimenti e ostinatamente contro il fondamento della sua riflessione, riuscendo però a scardinare il muro di gomma del pensiero unico imperante e del politicamente corretto.

La ragione c’è, ci spiega. Il sistema mediatico si configura come totalitarismo glamour, tratto tipico della società dei consumi, e deve dunque presentarsi ospitale per essere più convincente e, di conseguenza, tende ad accogliere tutti. Ha sempre funzionato così.

All’inizio della sua carriera, o anche di recente, lei ha vissuto dei momenti Off?

Le idee non dominanti, quelle per intenderci della classe non dominante sono da sempre non dico ostracizzate, ma quanto meno diffamate o considerate false in quanto tali. Quindi vivo e ho vissuto continuamente momenti Off.

Canone, forma e “mestiere” sono spesso osteggiati in ogni ambito artistico. Oggi tutto è performance, provocazione solipsistica, destrutturazione nella cultura del jet-set. Gli antichi modelli estetici dei popoli, ispirati al sacro e in grado di innescare empatia con il pubblico sono considerati con snobismo. Secondo lei sarebbe opportuno e, in ogni caso, possibile recuperare una dimensione estetica votata al Bello?

Assolutamente sì. Oggi la cultura dominante, se di cultura si può parlare, si basa essenzialmente sulla distruzione di ogni canone estetico basato sul limite, sulla misura, sulla proporzione. L’arte di un Fidia, per esempio, oggi non sarebbe considerata arte. Oggi è vincente la cosiddetta “merda d’artista”, tutto ciò che profana e viola ogni inviolabile, cioè tutto ciò che asseconda l’illimitatezza e la disarmonia della nostra epoca.

Diego Fusaro, Ales, il GiornaleOFFsandro Sansoni, intervistaIn che misura la decomposizione dei valori tradizionali e la retorica dei diritti civili è funzionale alle logiche del turbo-capitalismo?

Il turbo-capitalismo contemporaneo si basa sull’abbattimento dei diritti sociali, che sono diritti dell’uomo comunitario libero e uguale, figlio di una comunità e portatore di uguali diritti e uguali doveri (“inserito in un popolo”, direbbe Hegel) e promuove per converso in maniera vuoi risarcitoria, vuoi distruttiva, i diritti civili che scalfiscono minimamente le logiche del fanatismo economico, e costituiscono, al contrario, i diritti dell’individuo globalizzato e consumatore, post-comunitario, che considera i diritti individuali proprietà di cui dispone. Essi sono i diritti dell’homo consumens globalizzato.

Dalla globalizzazione e dalla standardizzazione dei costumi si esce recuperando le diversità e l’identità dei popoli?

Ci si de-globalizza in vari modi che vanno  messi insieme: sul piano culturale sicuramente valorizzando il caleidoscopio delle culture plurali e innanzitutto valorizzando la propria, naturalmente. E poi lottando contro il sistema del globalismo economico che propone come unico modello il libero mercato deregolamentato, cioè il libero cannibalismo a beneficio delle élite finanziarie, basato sulla competitività senza frontiere, fondato sulla dinamica della crescita illimitata. Bisogna uscire da questo modello e ripartire dall’etica greca del giusto limite, della vita comunitaria, di quella che Aristotele chiama la koinonìa, la comunità come spazio in comune tra gli uomini.

Heidegger, Nietzsche o Del Noce?

Direi nessuno dei tre, o direi tutti e tre messi insieme, nel senso che nessuno di loro è  mio modello privilegiato. Direi che da Heidegger apprendiamo l’idea che l’Essere si sia obliato e dimenticato nell’epoca della Volontà di Potenza illimitata, in cui non vi è più l’Essere, ma l’Ente disponibile per la crescita illimitata. Da Nietzsche riceviamo innanzitutto l’idea che Dio è morto in questa epoca in cui ha valore solo il mercato planetarizzato e gli uomini hanno smesso di credere ad alcunché e ogni valore è precipitato. E infine da Del Noce apprendiamo il fatto tristemente noto che i partiti comunisti si sono trasformati in partiti radicali di massa volti alla difesa dei diritti civili dell’uomo consumatore individualizzato.

 

L'articolo Diego Fusaro: “Viviamo in un totalitarismo glamour” sembra essere il primo su Il Giornale OFF.

Povia:”Il politico più intelligente è stato Craxi”

$
0
0

E’ uno dei cantautori più discussi e nello stesso tempo interessanti dell’intero panorama musicale italiano e come ogni artista che decide di essere se stesso, senza filtri, viaggia contromano e controvento senza preoccuparsi delle critiche, il più delle volte eccessive, sulla sua libertà, termine e valore che ama tantissimo. Giuseppe Povia nasce a Milano, la sua è la storia di un uomo che è riuscito a raggiungere l’apice (vincitore della 56  Edizione del Festival di Sanremo con la canzone Vorrei avere il becco) ma ha deciso di non omologarsi al sistema e di andare avanti verso il suo unico obiettivo: cantare in libertà i propri pensieri. Si autoproduce e non ha vincoli con nessuno. Lo abbiamo intervistato per conoscerlo meglio.

Com’è scattata la molla della svolta? Quando ha deciso di voler cantare in libertà e autoprodursi?

Sono sempre stato libero per questo ho problemi. Mi appassionano la politica economica e il sociale. Traduco tutto in musica e questo probabilmente piace poco o forse arrivo furbetto. Ma i furbi non sono quelli che non prendono posizione o si schierano con i più forti?.

Dopo la vittoria del festival di Sanremo e tutti gli altri riconoscimenti ricevuti, la sua carriera avrebbe potuto prendere una svolta diversa; perché Povia è considerato scomodo?

Forse perché alcune mie canzoni possono accendere grossi dibattiti su temi non troppo chiari alla gente tipo il deficit? Ricevo ancora riconoscimenti da chi acquista il mio disco autoprodotto.

Conoscenza, cultura, curiosità, emozioni, quanto sono importanti questi quattro termini per fare musica e scrivere canzoni?

Sono alla base di tutto. Studio ciò che mi appassiona e lo metto in musica. Chi non è curioso è morto.

Immigrazione, razzismo, economia, lobby farmaceutiche, teoria gender, utero in affitto, finanza e poteri forti sono i temi più scottanti che lei affronta attraverso la scrittura… politicamente è accostato alla destra; realmente, però, in quale partito politico si riconosce? E di conseguenza come vede la realtà politica italiana e quello che sta succedendo dopo il 4 marzo?

Documento tutto ciò che canto, altrimenti non affronterei i temi. Il paradosso è che difendo ciò che un tempo difendevano le sinistre, specie quelle estreme. La libertà, le regole, i principi, i valori, la famiglia naturale, i bambini. Per me il politico più intelligente degli ultimi 60 anni è stato Craxi e oggi il vero assassino delle elezioni è la legge elettorale. So che non si può più dire ma uno Stato senza la sua moneta è come un uomo senza pisello quindi se non si esce dall’euro, e il modo c’è, ogni tema affrontato dai partiti è solo togliere da una parte per mettere dall’altra. Resta sempre un buco.

Lei parla di libertà e democrazia, sono due termini importanti, perché allora ad attaccarla sono proprio quelle associazioni che inneggiano alla libertà e alla democrazia?

Perché, come diceva anche Pasolini, questo antifascismo rabbioso a fascismo finito è solo un modo per vincolare il dissenso spingendo le masse a litigare, mentre il liberismo spietato logora la società già moribonda.

Cosa pensa dei talent in cui i ragazzi ripongono tutte le loro speranze e i lori sogni? Che consiglio vorrebbe dare a un ragazzo che ama far musica e sogna di fare il cantante?

I talent sono un modo come un altro per riuscire a entrare da qualche parte. Ai ragazzi dico innanzitutto di non pesare sulle spalle dei genitori e poi di fare gli artisti di strada per capire e cercare di trasformare l’indifferenza della gente in curiosità. Io per esempio vendo il mio disco via mail a ufficiostampa@povia.net.

Ultimamente è stato nel Salento, si è esibito a Maruggio e poi a Lecce, ha parlato anche di questione meridionale, di Tap e di Movimento regione Salento; secondo lei qual è la soluzione alla questione meridionale?

La prima risposta sarebbe la divisione tra regioni ognuna con la sua autonomia e, quando non bastano le risorse, interviene lo Stato centrale per esempio per ricostruire i paesi terremotati. Insomma un po’ come gli USA. Non lontano da questo punto di vista, c’è un progetto molto valido di Paolo Pagliaro, che si ispira al modello elvetico, al Federalismo di Carlo Cattaneo, e ha commissionato uno studio alla Società Geografica Italiana per il riordino territoriale, progetto molto interessante che prevede la cancellazione di tutti gli enti inutili e delle vecchie regioni, e la ricollocazione in 31 nuove regioni. Certo che se non recuperiamo la moneta, tutto diventa difficile da realizzare ma l’idea è innovativa. Questa Unione Europea che da una parte ti da’ e dall’altra ti toglie, non ci inganna più. Sulla TAP non sono molto preparato ma si può discutere di certo sul dove farlo. L’Unione Europea non vuole dipendere dalla Russia. Io non vorrei più l’UE, non è l’Europa dei popoli che ho sempre sognato.

C’è un lato poco conosciuto di lei, ed è quello di padre e marito: Teresa, Amelia ed Emma, come hanno cambiato la sua vita?

Se non avessi avuto loro non so come sarei ora. Comunque sempre un po’ sbandato lo sono ancora dai (sorride n.d.r.).

Facciamo un esercizio semplice, Povia come racconta chi è Povia?

Povia è un osservautore musicale che difende e mantiene alta la tradizione e la tradizione è sempre femmina.

Quali libri ama leggere? E quanto studia sugli argomenti che poi decide d trattare?

Mi piace Houxley, Chesterton, Terzani, Fallaci, Arendt ma anche Coelho, Topolino, La Bibbia, le storie d’amore e i gialli.

L’Italia (ex) patria di santi, poeti e navigatori e ora come la vede? Cosa fare per difendere l’identità di una nazione che rischia di essere risucchiata dal vortice della globalizzazione?

I santi vengono coperti per non discriminare i musulmani. I poeti sono gli italiani che amano questa terra e i navigatori sono quelli costretti ad abbassare gli stipendi dei loro dipendenti per competere con l’estero. Questo è il quadro di una nazione che si sta avviando verso il deserto industriale. Lo so che sono ripetitivo ma ormai anche la letteratura scientifica lo dice: il problema è l’euro e la soluzione è uscirne prima di essere saccheggiati del tutto.

Concludiamo quest’intervista con una nostra domanda classica: qual è l’episodio OFF del percorso di vita professionale e/o umana?

Bonolis, prima che cantassi I bambini fanno oh nel 2005, spostò la scaletta, mi era preso un attacco di ansia e dovevo andare in bagno. Ho rischiato di non fare successo. Ho rischiato un OFF appunto (sorride n.d.r).

L'articolo Povia:”Il politico più intelligente è stato Craxi” sembra essere il primo su Il Giornale OFF.

Brigitta Boccoli:”Gianni Boncompagni come un padre per me”

$
0
0

images (53)

E’ in scena dal 3 al 20 maggio 2018 al teatro Manzoni di Milano con la commedia Quel pomeriggio di un giorno da star, diretta da Ennio Coltorti, insieme a Corrado Tedeschi: la bellissima Brigitta Boccoli si racconta a OFF (Redazione).

Artista eclettica e da nove anni mamma di Manfredi, il figlio avuto con Stefano Orfei Nones, Brigitta Boccoli non ha mai abbandonato il mondo dello spettacolo ed è da sempre alla ricerca di nuovi progetti capaci di stimolarla verso  altrettanto nuove sfide professionali.

Parla a ruota libera Brigitta e si commuove parlando di Gianni Boncompagni che ricorda al presente come se fosse ancora tra di noi.

Cos’è per lei il Circo?

Il Circo rappresenta al meglio ciò che sono io sia dal punto di vista artistico sia da quello umano; negli spettacoli circensi si cambia in continuazione, c’è dinamismo e ogni replica è diversa da quella del giorno precedente. Non amo la ripetitività, mi piace la spontaneità nel gesto artistico.

Ci sono stati artisti con cui ha lavorato che hanno mostrato questa capacità di “cambiare” copione?

Mi viene in mente una persona in particolare, Gianfranco D’Angelo, con cui era impossibile annoiarsi: istrionico e camaleontico spesso modificava lo spettacolo in diretta.

C’è stato un periodo OFF della sua vita che vorrebbe raccontare?

Da ragazzina ero particolarmente “scapestrata”, una testa calda che ha fatto vedere i “sorci verdi ” ai miei genitori. Immaginare così mio figlio Manfredi a 17 anni mi fa tremare i polsi 

C’è una persona del mondo dello spettacolo che ha nel cuore e che consideri il tuo maestro ?

Gianni Boncompagni per me è stato come un padre sia artistico che personale; è stato un grande uomo affettuoso e attento alla mia crescita artistica. Quando dovevo uscire di casa e mia mamma non mi dava il permesso dicevo “devo andare da Gianni” e lui, pur raccomandandomi di fare attenzione, spesso mi1448462905_brigitta-boccoli-intervista copriva le spalle. Poi Lino Banfi, con cui ho esordito in televisione, è sempre molto protettivo nei miei confronti.

LEGGI ANCHE : GIANNI BONCOMPAGNI “FUCILEREI DON MATTEO, CARCERE DURO A MONTALBANO!”

L'articolo Brigitta Boccoli:”Gianni Boncompagni come un padre per me” sembra essere il primo su Il Giornale OFF.

Noemi: “Cantare? Da bambina non me ne poteva fregare di meno!”

$
0
0

Noemi © Copyright ANSA

Ci racconta un episodio OFF degli inizi della sua carriera?

Una volta (io sono un po’ sbadata) mi è capitato di cadere sul palco. Ero inciampata su un monitor e ho dato una sederata. La cosa buffa è che insieme al mio sedere è caduto anche il microfono, quindi ha fatto un botto pazzesco e sembrava pesassi seicento chili.

Ha sempre voluto fare la cantante?

Quando ero piccola ho sempre amato la musica, però non sono mai stata una di quelle bambine che si rinchiudono in bagno e fanno finta di cantare con la spazzola. Non me ne poteva fregare di meno.

Mi piaceva cantare, disegnare. Però quando tutto si è realizzato e sono diventata una cantante ne sono stata contenta, perché secondo me in un pezzettino del mio cuore ci speravo. Tuttavia, anche io ho avuto il periodo in cui volevo fare il veterinario, il direttore d’orchestra…Insomma volevo fare un sacco di cose strane.

Come è stato il suo ingresso nel mondo della musica da professionista? Ha incontrato qualche pregiudizio, magari per il suo passato da concorrente di talent?

No, mai. Ho avuto da subito grande stima da persone che facevano questo mestiere ad un livello molto più alto (parlo di Vasco Rossi, Fiorella Mannoia, Gaetano Curreri…). E poi ho incontrato persone che mi hanno dato la possibilità di cantare le canzoni giuste. Io mi vivo la mia vita, la mia carriera… Poi chi mi ama bene. A chi non piaccio, pazienza…ascolterà altro!

C’è qualche artista che ha creduto in lei, e a cui non smetterà mai di ringraziare?

Sicuramente Gaetano (Curreri), Vasco (Rossi) e Fiorella (Mannoia) che sono le tre persone che da subito hanno creduto in me. E poi anche Morgan, che mi ha sempre dato delle belle canzoni da cantare e mi ha fatto capire cosa cantare in italiano.

Ho avuto la possibilità di collaborare da emergente con Fiorella Mannoia che ha voluto duettare con me su L’amore Si Odia, con Vasco Rossi che mi ha scritto Vuoto a Perdere. Sono stati i primi a fidarsi di quelle che potevano essere le mie potenzialità.

In Non smettere mai di cercarmi parla del ricordo…Di cosa ci si scorda di più al giorno d’oggi?

Oggi ci si scorda tutto…Ci scordiamo di vivere il momento, stiamo sempre a programmare. Ma forse quello che non dovremo perdere sono soprattutto le nostre radici culturali e il rispetto per l’altro, per l’uomo, per la donna, per l’essere umano…questo si sta un po’ perdendo. La cosa brutta è che parte da internet e poi arriva anche nei testi della musica di adesso, alcuni sono veramente involutivi sia nel rapporto con gli esseri umani ma anche nel rapporto con le donne. Questo mi dispiace molto.

Oggigiorno c’è questa ossessione alla forma fisica. Lei che rapporto ha con il suo corpo?

Io il mio corpo lo odio e lo amo. Lo odio perché a volte, come succede, una vorrebbe essere più magra, lo amo perché comunque alla fine sopporta tutto lo stress e mi tiene forte. Poi oggi c’è troppa attenzione per la perfezione perché c’è molta insicurezza di fondo secondo me. Bisogna essere perfetti perché se no chissà gli altri cosa penseranno.

Secondo me dovremmo proporre una filosofia che è quella dello “sticazzismo”, nel limite del rispetto dell’altro.

Ci vuole un po’ la volontà di sentirci unici. C’è molta voglia di amalgamarsi, la voglia di non uscire fuori dal gregge, dal gruppo. Un po’ mi spaventa. C’è la dinamica dell’ovile che sta prendendo il sopravvento!

Ph. Gian Mattia D’Alberto /LaPresse, fonte ilgiornale.it

In Porcellana, il nuovo singolo tratto da La Luna il suo album, parla degli attacchi di panico. Perché se ne soffre sempre di più?

Il contatto con la natura è ridotto ai minimi termini. C’è molto egoismo. Poi c’è molta solitudine, la solitudine ci fa sentire fragili, soli…e quindi arrivano anche gli attacchi di panico. È il male del secolo. Io ne ho sofferto, e ne sono uscita. È un momento molto stressante, e anche la musica è diventata molto stressante perché ci sono dei ritmi assurdi. Infatti mi piace molto Adele: lei se ne frega, esce ogni 5 anni. È una grandissima artista anche per quello. Mi è piaciuto molto Porcellana perché è uno spaccato che non cerca nell’altro la compassione, non è patetico, è più una dichiarazione di indipendenza. Poi il fatto di aver collaborato con la versione di Shablo che ha prodotto il remix mi ha fatto piacere perché mi ha permesso di inserire in una delle mie canzoni un sound che mi piace molto, che è quello dell’hip hop.

Lei come ha superato gli attacchi di panico?

Io ho fatto un periodo di analisi e ricerca su me stessa. Gli attacchi di panico ti fanno sentire che c’è qualcosa che non va, e hai paura di avere delle malattie. Quello che è importante è avere un approccio scientifico, rivolgersi ai medici, fare un bel percorso e recuperare quello che uno ha perso (perché se hai gli attacchi di panico vuol dire che ti sei perso qualcosa di importante della tua vita), devi ristabilire degli equilibri e ritornare a star bene. Perché se sei più sereno sei più concentrato e fai le cose in maniera più intelligente.

Quando non lavora cosa la rilassa?

Io sono veramente un’anziana signora (ride): mi piace un sacco l’uncinetto! Mi sto facendo tutti i costumi per questa estate, sto scegliendo tutti dei colori caraibici: per esempio mi son fatta un bikini color turchese/verde Tiffany…pazzesco! L’ho fatto anche a mia sorella, alle mie amiche…ho fatto un sacco di roba! Mi rilassa molto perché è creativo. Però nel mentre mi ascolto anche la musica ovviamente.

Da romana cosa pensa della sua città allo stato attuale?

Il problema di Roma sono i romani. Siamo bravi tantissimo a lamentarci, siamo sornioni, siamo come quei gatti appollaiati, ma siamo talmente appollaiati immobili che mi sa che stiamo entrando in coma. Io spero che ci si riesca a risvegliare.

È una città che è stata la culla della civiltà, sarebbe brutto perdere tutto questo in nome di un immobilismo. La distanza dalle istituzioni purtroppo ci ha un pò addormentato.  Quando vedi che non succede niente… Però se nessuno si arrabbia quando le cose non succedono, allora è inutile lamentarsi, la situazione sarà sempre la stessa, chiunque sia al potere.

Una cosa che mi piacerebbe è che tornasse il concetto di Res Pubblica, la cosa pubblica, e soprattutto la cura delle cose pubbliche.

Il problema del romano infatti è che pensa che, ad esempio, il parco pubblico non sia di nessuno, invece è di tutti. Bisognerebbe cambiare il punto di vista su questo.

Lei è sempre sorridente, solare…ma c’è una cosa che la fa veramente arrabbiare?

In aereo mi capita sempre che la gente che è seduta alla fila ventisette mette il bagaglio nelle prime cappelliere. Queste persone sono delle maleducate che non hanno rispetto di nulla. E non capisco perché io ogni volta devo aspettare che escano tutti per recuperare il mio bagaglio alla fine. Questa è una cosa che mi fa molto arrabbiare. Non c’è più una convivenza civile. I maleducati sono tanti. Sempre di più.

In passato ha anche avuto delle esperienze da regista. Se dovesse tornare a dirigere, che genere di film sceglierebbe ?

Mi piacerebbe girare un corto di genere commedia horror.

E nella musica, con quale artista le piacerebbe lavorare?

Mi piacciono molto Carmen Consoli e Levante. Sono due donne molte fighe!

A livello personale invece cosa le piacerebbe realizzare?

Mi piacerebbe fare uno di quei viaggi in America o Sud America in bicicletta, oppure il cammino di Santiago, quello mi piacerebbe un sacco farlo, lo farei a piedi o in biciletta.

Dove la vedremo a breve?

Sono il 29 maggio a Milano al teatro degli Arcimboldi e il 30 maggio a Roma all’Auditorium Parco della Musica, sala Santa Cecilia.

L'articolo Noemi: “Cantare? Da bambina non me ne poteva fregare di meno!” sembra essere il primo su Il Giornale OFF.


Corrado Tedeschi: “Dovevo fare l’Isola al posto di Nino Formicola”

$
0
0

«Corrado Tedeschi si racconta a 360 gradi nell’ultimo appuntamento di Manzoni Cultura, le interviste OFF di Edoardo Sylos Labini alla libreria Mondadori di piazza Duomo a Milano, spaziando dalla vita privata alla politica. Presenti in sala Ennio Coltorti e di Patricia Vezzuli,rispettivamente regista  co-protagonista della pièce Quel pomeriggio di un giorno da star con cui Tedeschi è in scena al Teatro Manzoni di Milano fino al 20 maggio.

Corrado, si può dire che tu abbia cominciato la tua prima tournée nelle basi militari?

Sì, sono cresciuto in tutti i porti d’Italia a causa del lavoro di mio padre, ufficiale della Marina. Ricordo il maestro delle elementari che diceva: «adesso Tedeschi ci fa il calcio minuto per minuto», perché con tutte le città in cui avevo soggiornato, avevo appreso le varie inflessioni dialettali. Tramite la commedia italiana ho detto che volevo fare ciò che faceva Gassman, il grande attore di quel tipo di commedia, che secondo me era ancora più bravo di quando interpretava ruoli drammatici.

Sei stato anche un calciatore professionista?

Ho cominciato con le giovanili nella Sampdoria, mi allenavo con Marcello Lippi. Ho dovuto nasconderlo perché mio padre era contrario e lo stesso ho dovuto fare con l’audizione al Teatro Stabile di Genova. Telefonarono a casa per comunicarmi che ero stato preso e mia madre scoprì così che volevo percorrere la strada del teatro, ma all’inizio pensò persino che avessero sbagliato numero.

Mio padre voleva che facessi l’ufficiale di Marina. Non ho seguito quella carriera ma quando sento l’inno di Mameli mi metto a piangere. Sarebbe bene essere italiani sempre non solo quando si vedono le partite della Nazionale.

Mentre eri allo Stabile muovevi i primi passi nelle tv e radio private liguri: ti avevano dato come soprannome “Dado”…

E’ stato un periodo fantastico. Realizzavo un programma notturno in cui chiedevo alle radioascoltatrici di descrivere il loro spogliarello prima di andare a letto, e mi dicevano qualunque cosa, sopratutto le donne sposate..

Quando hai deciso di fare l’attore come professione per la vita?

E’ stata la vita a decidere, ciò che andava peggio era la scuola. Ho lavorato anche con mio padre in un’agenzia marittima.

Quando mi sono sposato, a trent’anni, la mamma di mio figlio mi disse: «cercano nuovi talenti in Rai». Io non ero così fiducioso, pensando: tanto prendono sempre gli stessi; lei, invece, mandò lo stesso la candidatura. Mi convocarono prima a Genova per provinarmi e subito dopo andai a Roma, dove intervistai Gianni Boncompagni come esame finale, superando il concorso.

Bruno Voglino, il quale ha lanciato tanti nomi come Verdone e Troisi, pur di non vedermi fermo, mifece firmare un contatto. Era con  la Finivest, che mi diede l’opportunità di cominciare con Doppio slalom.

La tua prima apparizione è stata però come concorrente nel quiz M’ama non m’ama?

Sì e riuscii a vincere persino una macchina. Allora ho capito che forse era meglio proseguire. Col passaggio in Rai ci sono state trasmissioni come Cominciamo bene, in diretta su RaiTre tutte le mattine e tante fiction.

Corrado, è vero che avresti dovuto partecipare a L’isola dei famosi con tua figlia Camilla?

Sì, però l’ho presa in considerazione come ipotesi proprio perché sarebbe stata un’esperienza condivisa con mia figlia. Ho vacillato sulla buona offerta economica, però avevo già preso degli impegni teatrali; ho anche scoperto che se sei all’interno di un abbonamento teatrale e a un tratto rinunci (non per motivi di salute), anche un singolo spettatore può far causa, pertanto avrei trascorso tutto il resto della mia vita a pagare debiti. È andato Nino Formicola al mio posto, il quale ha anche vinto.

Il teatro non si tradisce mai…

Io ho voluto rispettare questo contratto e ho pensato ai colleghi che sarebbero rimasti senza lavoro, per cui ho preferito declinare l’invito.

Com’è cambiata la tv oggi? Quali sono i programmi che toglieresti da un palinsesto e quelli che inseriresti?

C’è una corsa al ribasso. Si cerca il peggio delle persone, stimolando la curiosità morbosa nello spettatore. A me piacerebbe molto realizzare ancora trasmissioni sportive. Sono molto belle le idee che porta avanti Fabio Fazio – anche se non amo lui, è un ligure di altro tipo rispetto a me. Il genere di Che tempo che fa è un po’ il David Letterman Show, senza però la cattiveria di Letterman.

Qual è il/la conduttore/conduttrice migliore in Italia?

Faccio fatica a dirlo, tra i giovani era partito bene Cattelan, ma poi ha preso una piega più da “rapper”. Io son cresciuto con Corrado e Vianello, esempi incredibili di quell’ironia simpatica e bonaria.

Oggi si cerca il risultato a tutti i costi e nella commedia che stiamo portando in tournée c’è proprio la figura di una giornalista, che riconosce lo scoop della sua vita nei due disgraziati che entrano in banca per rapinarla. Non è tanto lontano dalla realtà.

Oggi si può dire che la nostra capitale culturale sia Milano. Ennio (Coltorti, n.d.r.),  tu gestisci un teatro a Roma: cosa ne pensi?

Io per fortuna ho la libertà di fare ciò che mi piace. Roma è lasciata a se stessa, il Nord mediamente è tenuto meglio del Sud. – anche se riconosco che Napoli si è mossa meglio negli ultimi anni. Sicuramente Milano è un faro in ambito culturale e artistico.

Com’è nata l’idea di questo spettacolo?

Tedeschi: tutto nasce da un mio grande amore per il cinema americano degli Anni ’70 e in particolare per film di Lumet Quel pomeriggio di un giorno da cani. Nella nostra pièce tutti i ruoli sono fondamentali. Gianni Clementi ha scritto un soggetto e da due anni siamo in tournée riscuotendo un ottimo successo.

Patricia Vezzuli: questa commedia fa sorridere e al contempo riflettere.

Ennio, come si fa la commedia?

Ci vogliono le persone giuste al posto giusto. Spesso e volentieri, per amicizia, si mette gente non capace.

Ennio, qualche giorno fa è venuto a mancare un grande artista, Paolo Ferrari. Che ricordo hai?

È quel mondo che sta scomparendo, non vedo più quei professionisti, gente educata che sa dove deve stare, un mix di discrezione, simpatia, intelligenza.

Avete un gesto scaramantico “preferito” dal primo giorno in cui avete cominciato a fare questo lavoro?

Tedeschi: no, anche se so bene che  alcuni colleghi neanche entrano in scena se c’è un certo colore.

Condividete con noi un episodio OFF dell’inizio della vostra carriera.

Coltorti: sono caduto dal palcoscenico ai miei esordi. Dovevo entrare in scena annunciando l’arrivo dei nemici e arrivavo costeggiando un muro. Un giorno arrivo in piazza e i tecnici mi consigliano un’altra entrata per il poco spazio a disposizione, io, invece, penso: mi aggrappo al masso, peccato che non fosse fissato, per cui sono caduto dicendo: «maestà, maestà». Era La devozione della croce  di  Calderón de la Barca.

Tedeschi: il più recente è avvenuto con questo spettacolo a Ferrara. Riprendiamo col secondo atto, nel momento in cui toccava a Brigitta Boccoli, non c’era e abbiamo improvvisato per cinque minuti. Non le avevano dato il chi è di scena. Sono questi imprevisti che rendono ancora più bello.

Vezzuli: quando recentemente abbiamo portato la commedia in Puglia, sin dai primi minuti si era scucita la gonna, ma io non me n’ero accorta e vedevo i colleghi che ridevano.

Corrado, raccontaci, invece, un aneddoto cult della tua carriera 

Non ho memoria per queste cose, è come se volessi guardare avanti.

In queste ore si sta decidendo il nuovo governo, come vedi questa situazione? Da artista cosa chiederesti?

Il rispetto delle regole: questo è un Paese in cui non vengono rispettate in niente. Non sono un estremista. Ahimè stiamo dando uno spettacolo agghiacciante a livello internazionale. Tutti hanno detto che avevano vinto, ma cosa se da soli non si riesce a far niente.

Hai sconfitto un brutto male, quanto ti ha aiutato il palcoscenico?

Ho portato in scena per quindici anni L’uomo dal fiore in bocca e mi chiedevo cosa provasse un uomo condannato da questa malattia che, quindi, vede le cose come se fosse l’ultima volta. La vita andrebbe vissuta così. Dopo sette anni è capitato di ammalarmi e ho fatto gli altri sette anni comprendendo perfettamente di cosa parlasse Pirandello. Dieci giorni dopo un’operazione molto seria ero in scena, il medico mi diede l’autorizzazione. Barcollavo e avvertii il direttore di scena per cautelarmi: «se ti guardo chiudi il sipario». Sentii tutto il calore e l’amore del pubblico e portai a termine la replica. Era la vita che tornava, in teatro c’è uno scambio ogni sera col pubblico che è vita.

In un’intervista di un anno fa hai dichiarato: «sono single perché nella vita ho sbagliato tanto». Oggi qual è la tua situazione?

Sono single.

Che cos’è oggi la famiglia?

Per me sono i figli,  ne ho due di due mamme diverse. Ho sempre paura di caricarli un po’ troppo del mio amore. Ho fatto del male a delle donne, certo, adesso me ne pento e se le incontrassi ora sarebbe diverso e sarei più consapevole. Ma non si può vivere di rimpianti.

Spesso si dice che l’attore rimane sempre bambino.

Per quanto mi riguarda sì, Pirandello fa dire a uno dei suoi personaggi: «sul palcoscenico si gioca a fare sul serio».

Tua figlia è un’attrice, hai condiviso questa sua scelta? 

L’ho sconsigliata, ma in poco tempo ha fatto delle cose. Farò uno spettacolo con lei, Partenza in salita, scritto da Gianni Clementi, il quale, mentre stava stilando il copione, mi ha detto: «vorrei che tu confessassi a tua figlia che hai il male del secolo, il cancro» e io gli ho detto che questo era già accaduto nella vita vera:  essendo piccolina, le dissi che avevo l’appendicite e lei per un po’ non me l’ha perdonato. Ai figli va detta sempre la verità.

Corrado, concludiamo con uno sguardo verso il futuro. Tu sei già nonno, che Italia immagini per i tuoi nipoti?

Molte persone consiglierebbero di andar via, io no. Vorrei che i miei nipoti rimanessero qui e provassero a cambiare questo Paese.

L'articolo Corrado Tedeschi: “Dovevo fare l’Isola al posto di Nino Formicola” sembra essere il primo su Il Giornale OFF.

Salvo Sottile: “Detestavo questo lavoro, mi portava via mio padre”

$
0
0

© Copyright ANSA

Attenzione al dettaglio, preparazione e credibilità sono il frutto di una più che ventennale esperienza giornalistica, caratteristiche che fanno di Salvo Sottile un marchio di qualità nella televisione nazionale.

Salvo, sei figlio d’arte: tuo padre Giuseppe è una delle grandi firme del giornalismo italiano. Quanto ha influito la sua figura agli inizi della tua carriera giornalistica?

Mio padre era diverso da tutti gli altri. Sempre impegnato e capace di mollarmi all’improvviso per un impegno di lavoro: un omicidio, un delitto di mafia e papà correva subito, lasciandomi a qualche parente o amico. Era la Palermo degli anni Settanta, quella dei Corleonesi, dove in una sorta di “ragioneria della morte” non passava giorno senza un delitto. Detestavo questo lavoro che mi portava via papà, ma allo stesso tempo ne ero affascinato.

Hai fatto la gavetta da giovanissimo in una Palermo offesa e dilaniata dalla mafia: qual è stata la tua prima esperienza?

Ho iniziato a 17 anni nelle varie tv private locali alternando lo studio al lavoro. Poi sono passato a una televisione siciliana che realizzava i servizi per Canale 5: era il 1992, nei mesi dei delitti di Salvo Lima, Falcone e Borsellino .

Cosa ricordi del tuo primo collegamento con un tg nazionale?

Avevo paura, ma dovevo dimostrare che ci sapevo fare: Enrico Mentana mi aveva dato la sua fiducia.

Sei sempre attento al prossimo e nel tuo programma su Rai3 Mi manda Rai3 ti batti contro le ingiustizie: che Paese è l’Italia?

E’ un Paese soffocato dalla burocrazia. Ma gli italiani vogliono capire ed infatti la striscia quotidiana fa l’8%, un record per Rai3. In fondo gli italiani hanno bisogno di un libretto di istruzioni e noi cerchiamo di darne uno ogni mattina.

Hai avuto ascolti record anche con il tuo programma sulla notte (Prima dell’alba, n.d.r.): come cambia il nostro Paese quando si spengono le luci?

La notte è un mondo contiguo a noi…

Pur essendo giovane sei passato dal mondo del giornalismo “vecchio stampo” a quello dei social media: come è cambiata la tua professione?

Sono un giornalista a metà strada tra il gettone e il ferro da stiro. Giravo con il Vespino ed il taccuino nella tasca, sempre con i gettoni per telefonare in redazione. Poi arrivarono i primi telefonini: dei veri e propri ferri da stiro!

Cosa consiglieresti a un giovane che volesse intraprendere la tua professione?

Premesso che la carta stampata è in crisi, gli direi di essere un attento lettore della realtà. I giornali (sia online che cartacei ) devono contenere notizie e per questo ci vuole fiuto.

Mi racconti un episodio OFF della tua vita?

Mi mandarono sulla scena di un delitto a Palermo: un uomo assassinato e punito per uno sgarro. Mi portai appresso un fotografo e inviai il pezzo in redazione insieme alle foto. Dopo un po’ mi chiamò il caporedattore, che sbraitava per le foto: “il morto è venuto mosso!”, mi disse…

Hai un sogno nel cassetto?

No. Perché non ho neanche un cassetto.

L'articolo Salvo Sottile: “Detestavo questo lavoro, mi portava via mio padre” sembra essere il primo su Il Giornale OFF.

Giuli: “L’attuale scenario politico è preoccupante, interessante e divertente”

$
0
0

Sorridendo si autodefinisce “un eracliteo, dunque membro di una fazione piuttosto minoritaria, se non inattuale” nello scenario politico-culturale italiano, eppure ci assicura che questo non gli “ha impedito di lavorare bene anche in presenza di avversità”. E’ Alessandro Giuli, ormai volto noto della televisione italiana, co-conduttore, insieme con Annalisa Bruchi, del talk show in onda su Rai Due il lunedì, in seconda serata, Night Tabloid. Lunga esperienza quella di Giuli, nonostante l’età relativamente giovane, che prima di approdare sugli schermi della Tv di Stato, ha lavorato a lungo presso il Foglio (dal 2004), di cui è stato anche vicedirettore e condirettore dal 2015, con una breve esperienza di nove mesi lo scorso anno da direttore di Tempi, il settimanale di CL. Un percorso professionale nel campo dell’informazione, con una collocazione precisa, “eraclitea” certo, ma decisamente distante da più comodi “sinistri” approdi, impreziosita da mai nascosti interessi storici, filosofici e, soprattutto, storico-religiosi molto particolari.

Dunque, Giuli, la coerenza e la schiettezza intellettuale non procurano necessariamente momenti “off”?

Lei conosce qualcuno che possa vantare coerenza granitica e schiettezza intellettuale insindacabile? Io no, a cominciare da me stesso. In ogni caso, per indole e formazione non pratico l’autocommiserazione e non ho recriminazioni da fare.

Quali sono le principali differenze, da lei riscontrate, tra un osservatorio come quello del Foglio e quello, invece, di un talk show come Tabloid?

Il Foglio, ai bei tempi, era un giornale in cui facevamo una compiacente e orgogliosa fronda privata a Berlusconi grazie ai soldi pubblici e alla pubblicità di Mondadori. Night Tabloid fa servizio pubblico, come tutta la Rai in generale.

Se dovesse definire con un aggettivo l’attuale scenario politico italiano lo giudicherebbe più preoccupante, interessante o divertente?

Userei i tre aggettivi esattamente in quest’ordine.

Ma l’Italia come paese, secondo lei, ha un futuro? Quali sarebbero a suo avviso le priorità da affrontare?  

Lavoro, fisco, immigrazione. Esattamente in quest’ordine. E fermo restando che l’Italia non è un paese, è “la Patria che ci ha generato” (Cicerone) e il suo Genio è pressoché immortale. Campo di Giove è un paese, bellissimo peraltro.

Lei è ritenuto, oltre che un bravo giornalista, un intellettuale straordinariamente raffinato. Eppure ad oggi ha dato alle stampe un solo libro, “Il passo delle oche”, un’analisi spietata della destra italiana e romana del primo decennio del XXI secolo. Qual è invece il libro che sta scrivendo o che si accinge a scrivere o che magari è già pronto nella sua testa e attende solo di essere messo nero su bianco?

Intellettuale ammìa?! Raffinato? Lei forse vuole ch’io la denunci per calunnia. Libri scritti e pubblicati, invero, più d’uno, l’ultimo dei quali su alcuni antichi culti romani [Venne la Magna Madre, ed. Settimo Sigillo]. Almeno per adesso è anche troppo.

Questo sugli antichi culti romani mi interessa. Lo comprerò. C’è sempre troppa poca cultura “alternativa” disponibile in giro, nelle librerie e non solo… A proposito, cosa è mancato alla destra in questi anni per mettere insieme un minimo di “sistema” in ambito culturale e giornalistico in grado di competere con l’egemonia di sinistra?

Gli uomini, gli esempi e un po’ di Fortuna.

Insomma quasi tutto. Ma secondo lei i valori dell’identità e della Tradizione, nonostante i limiti di chi li ha coltivati e ne è stato l’alfiere in questi anni, risulteranno vincenti nel futuro?

La Tradizione, in sé, ha già vinto ab aeterno e senza neppure dover combattere, essendo essa la totalità dell’esistente. Quanto ai tradizionalisti, vale il seguente precetto: il guerriero vittorioso prima vince e poi va in battaglia.

Chiudo con una domanda un po’ retrò: Gentile o Evola?

Marco Aurelio.

 

 

 

L'articolo Giuli: “L’attuale scenario politico è preoccupante, interessante e divertente” sembra essere il primo su Il Giornale OFF.

Matteo Garrone: “Uso le fiabe per parlare di tutti noi”

$
0
0

IL GARRONE PIU’ NOIR INCANTA CANNESMatteo Garrone torna sulla Croisette per la quarta volta e a tre anni da Il Racconto dei racconti. Dogman il suo  film in concorso per la Palma d’Oro prende spunto dal fatto di cronaca di trent’anni fa legato al cosiddetto “Canaro” ma diventa un affresco sapiente e in stile western noir che ci rimanda al cinema che abbiamo amato dei primi tempi del regista quando presentò L’Imbalsamatore proprio a Cannes. La location vicino a Castelvolturno ed il meraviglioso attore Marcello Fonte sono il centro  della storia di un uomo alla ricerca della propria dignità attraverso la vendetta e il dolore, dovuto al suo aspetto fisico e alla fragilità emotiva. La fotografia scelta da Matteo Garrone, calda e cupa, descrive perfettamente il mondo e la vita di Marcello, sopraffatto da Simoncino, il boss del quartiere interpretato da Edoardo Pesce alla sua prova migliore. Davide e Golia ed il loro mondo. Un gigante e un omino. Attorno a loro una società che li definisce e li comprime. Niente di più facile per il regista,  capace di plasmare pezzi di umanità spesso destinati a una solitudine esistenziale come nei personaggi di Reality, Primo amore e L’imbalsamatore, dove tutte le realtà sono create dalla visione distorta della società  che li deforma loro malgrado.

Garrone vince e fa vincere. Continui ad avere il fiuto per scovare dei veri talenti: come fai?

Sono sempre al servizio della storia e dei miei attori. Quando vado al cinema,l se sento troppo la presenza del regista che mi vuole far vedere quanto è bravo, dopo un po’ mi distraggo. Con i miei attori succede questo: lascio loro la scena.

Ci sono state critiche prima dell’uscita di questo film (per la crudezza della storia), ma poi è stato un dei più applauditi ed apprezzati a Cannes: perché?

Dogman è un film in linea con i miei precedenti lavori, incentrato maggiormente sullo scavo psicologico dei personaggi. L’imbalsamatore(2002), di cui Dogman sembra riprendere almeno in superficie atmosfere e situazioni, è l’esito più compiuto di questa ricerca sull’uomo. Il suo è un cammino di parabole: la coabitazione forse impossibile dei deboli e dei forti, il potere come metro del nostro stare al mondo.

Ti piacciono le favole, ma ancor più narrare la vita come fosse una favola: sarà così anche in futuro?

Il prossimo film sarà l’eternamente rimandato Pinocchio: mi piace utilizzare le fiabe italiane di una volta per mostrare quello che siamo ancora oggi. Il problema è che viviamo un’epoca in cui si cerca la politica in ogni angolo.

Dogman interpretato da Marcello Fonte è un personaggio “OFF”, non usuale ne convenzionale…

Marcello nel film ama qualsiasi cane e ama in maniera smisurata la sua piccola figlia. Ama i vicini con cui condivide le tavolate e ama essere apprezzato dagli abitanti del quartiere. È la premura di un uomo qualunque – pur con una morale non così fermamente pulita come molti di noi – che Fonte riesce a riproporre e in cui sembra facilitato dal proprio aspetto bonario.

L'articolo Matteo Garrone: “Uso le fiabe per parlare di tutti noi” sembra essere il primo su Il Giornale OFF.

Serena Bonanno: “Ogni fallimento in realtà è un cambiamento”

$
0
0

Chi sia Serena Bonanno è noto a tutti, è un’ attrice popolare, come si definisce lei. O forse è meglio dire era un’ attrice popolare. Sì, perché da qualche tempo ha fatto un cambio di rotta importante. Oggi racconta a Off perché abbia scelto di lasciare il mondo della recitazione.

Serena, sei alle porte di un traguardo importante: tra qualche giorno compirai quarant’anni. L’età viene spesso demonizzata, ma il tempo che passa porta con sé nuove consapevolezze. Che donna è quella che entra negli anta?

Compirò gli anni esattamente il 20 giugno e non ti nascondo che ci sto pensando già da qualche mese. Ero convinta che non mi avrebbe fatto alcun effetto questo famoso passaggio agli “anta”, eppure ti confesso che mi sta emozionando non poco. Si tratta di una serie di riflessioni su me stessa che mi accompagnano ogni giorno. Fortunatamente la concretezza professionale, e di conseguenza una stabilità quotidiana ed economica, l’ho raggiunta, come desideravo. Sono fiera di me e di come sono riuscita a trasformare un pensiero negativo, l’idea del fallimento di una carriera, nella sua versione positiva, cioè il cambiamento. La trasformazione è ovunque in natura, il passaggio da una condizione ad un’altra anche, perché quindi considerare un cambiamento professionale come qualcosa di brutto? Dopotutto è il lavoro ad essere al servizio di un essere umano e non il contrario. La vita è tanto di più, non bisogna dimenticarlo mai. Per il resto, rimango la Serena di sempre, un po’ fissata con i miei difetti fisici, perfezionista, con una soglia di attenzione a ciò che mi circonda fuori dal comune, con la testa perennemente tra le nuvole, persa nelle mie fantasticherie.

Facciamo un passo indietro. A vent’anni circa, hai iniziato la tua carriera d’attrice. A distanza di due decenni, che ricordo hai di quella ragazza?

Ero un’idealista, convinta che il mondo fosse sempre giusto, un luogo in cui i buoni vincono e i cattivi perdono. Devi immaginare una specie di fumetto, una bellissima creatura con la tempesta dentro. Un’estremista nei sentimenti e nella vita. Per me era tutto bianco o nero, le sfumature dei grigi nemmeno le consideravo.

In cosa sei rimasta esattamente uguale alla donna di vent’anni fa?

Nell’idea che ho dell’amore. Mi dicevano tutti che avrei cambiato opinione con la maturità. Si sbagliavano.

Recentemente, hai raccontato di aver deciso di smettere con il mestiere d’attrice. Dev’essere stata una scelta sofferta.

Come ogni scelta importante, è stata ponderata e soprattutto ha necessitato del suo tempo perché potessi elaborarla nella maniera meno dolorosa. Amavo follemente il set, la sua vita, persino i suoi odori. Purtroppo, però, nel tempo era diventato sempre più difficile, e quando mi sono resa conto che quel salto di qualità, per ragioni di varia natura, non lo avrei mai potuto fare, se non per un colpo di fortuna, ho dovuto valutare la realtà per quello che era e chiedermi se mi sarebbe andato bene per sempre. La risposta chiaramente è stata: “Assolutamente no!”. Ho imparato a desiderare il mio bene, e trascinare qualcosa che è finito non è mai bene. Quindi svolgo un meraviglioso lavoro di ufficio, mi sono reinventata, ho cercato lavoro come tutti, e ho dei colleghi e un capo fantastici.

Permettimi una piccola provocazione: non sarebbe stato più semplice naufragare in un’isola deserta o vivere sotto le telecamere della casa più spiata d’Italia e tentare così un rilancio?

Preferisco cercare di passare attraverso la “porta stretta”, perché la vita non è solo cullarsi nel proprio ego, ma curare anche il proprio spirito, e dentro di me sento che questa è stata la cosa giusta. Ciò non fa di me una santa, intendiamoci, ma solo un essere umano in cerca della propria pace. Per questo non critico assolutamente chi fa scelte diverse dalla mia, perché so che il libero arbitrio deve essere rispettato, come spero di essere rispettata io.

Ma veniamo al presente. Da qualche tempo, l’attività a cui ti dedichi è la pittura, che non è esattamente un ripiego, visto che è una passione che ti accompagna da sempre. Quando hai iniziato a dipingere?

A casa mia si dice: “necessità fa virtù”. Avevo tenuto per me questa passione, ma era fine a se stessa. Ho fatto diversi corsi di pittura ed ero sempre lì a scarabocchiare. Pensa, a scuola, mentre i professori spiegavano, io disegnavo corpi e volti in continuazione. Ad un certo punto, avevo bisogno di lavorare e produrre e così mi sono messa al servizio della gente. Infatti dipingo principalmente su commissione, cercando di accontentare i miei clienti per esigenze diverse, dall’arredamento ai regali personalizzati, ai matrimoni. Basta inviarmi una foto col soggetto, scegliere i colori e la grandezza della tela e il gioco è fatto. Funziona!

Parlami delle tue opere. Che pittrice è Serena?

Sono figlia della Pop Art, principalmente figurativa, dipingo utilizzando i colori acrilici su tele italiane di alta qualità. Sono una pittrice smart, dedicata al popolo, non certamente in cerca di gloria e di mostre al momento. Dico sempre che ‘arte è negli occhi di chi guarda e questo la racconta lunga su come la penso.

Sei stata un’attrice di successo, ora ti stai affermando come pittrice: sono due attività diverse, ma si tratta pur sempre d’arte. In quale ruolo ritrovi la tua vera essenza?

Sono stata un attrice popolare, ma non di successo, e ti garantisco che è diverso. E’ la sottile differenza che gli addetti ai lavori ben conoscono tra l’essere un “nome” ed un “nomino”. Rimane il fatto che io abbia messo tutta me stessa nel portare avanti i ruoli che mi venivano affidati, con dedizione al lavoro e la massima professionalità e che ad oggi rimane quello per cui so di essere nata. Nata per stare su quel maledetto set, nata per raccontare storie attraverso gli occhi, nata per recitare. Nei miei quadri esprimo proprio il desiderio di raccontare storie e trasmettere emozioni, dipingendo le mie donne nude e dedicando particolare attenzione agli occhi. La nudità è ciò che rimane, ci si spoglia anche di se stessi a volte e gli occhi sono il veicolo di ciò che abbiamo dentro. Ci sono molte persone che mi hanno fatto notare che spesso rappresento il mio volto o figure a me rassomiglianti. Forse è vero, non ne sono conscia, ma se così fosse si tratterebbe del racconto della mia vita su tela. Spero un giorno, tra molti anni, di osservare tutti i miei dipinti e di poter capire…

C’è un regista per cui metteresti in discussione la tua decisione e torneresti sul set?

Non un regista, ma un progetto per cui valga la pena. Un ruolo cucito addosso ed eventualmente una proposta concreta. Non potrei mai rifiutare qualcosa di bello, ma cercherei di trovare un accordo con l’azienda presso cui lavoro ogni giorno per poter poi tornare al mio normalissimo posto di lavoro una volta terminate le riprese.

Vorrei concludere questa intervista chiedendoti di raccontarmi un’esperienza off della tua vita.

Roma, 5 Giugno 2009. Ma questa è tutta un’altra storia…

L'articolo Serena Bonanno: “Ogni fallimento in realtà è un cambiamento” sembra essere il primo su Il Giornale OFF.

Viewing all 1106 articles
Browse latest View live