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Francesco Salvi: “Con Jannacci e Abatantuono cambiò la mia vita”

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Non ha bisogno di presentazioni il grande Francesco Salvi: cabarettista, attore, comico, cantante e artista. Dopo una carriera ruggente oggi vive un periodo più tranquillo della sua vita in cui è tornato ai primi amori, come sempre artistici. Generoso nella vita come sul palco, l’attore 65enne si concede ad una lunga intervista OFF raccontandosi a 360 gradi.

Attore, comico, cantante, artista a tutto tondo… eclettico a dir poco e soprattutto itinerante, di tutte le città dove ha vissuto in quale ha lasciato il cuore?

In nessuna in particolare, e in tutte! Anche se il cuore io me lo tengo stretto, Luino è il posto dove sono nato e dove torno ogni volta che ho bisogno di riflettere. A Firenze ho studiato e a Roma poi mi sono trovato benissimo. A Milano invece ho vissuto un periodo estremamente produttivo tra teatro e televisione. Sono stato anche negli Stati Uniti dove ho lavorato con il premio oscar Robert Moresco, anche lì fu una grande esperienza.

E ha fatto anche il pittore.

Sono sempre stato multitasking appunto, ho sempre fatto tante cose e ho cominciato tra l’altro proprio come pittore. Durante il liceo ho fatto la scuola d’arte, mi sono iscritto a dei corsi e sono entrato nel giro delle mostre e delle esposizioni d’avanguardia. Ho continuato per un po’ a dipingere e poi però o lasciato per fare altre cose, non ho voluto sovrapporre i quadri con la comicità che in quel momento era ciò che di più volevo inseguire. Ho aspettato per anni un momento di tranquillità come questo e ho ripreso a esporre, da ormai un anno e mezzo, con il mio collega e ispiratore Mario Arlati. A proposito, la prossima mostra la faccio ad agosto presso la Galleria Contini.

Salvi, nella sua vita ne ha viste e vissute di tutti i colori. Ci vuole raccontare un episodio OFF della sua carriera, qualcosa che non ha veramente mai raccontato a nessuno?

Mi recai al Derby Club di Milano per fare un provino. Una volta entrato e mi trovai davanti un ragazzo alto, moro e riccio, con i baffi: era Diego Abatantuono. Feci allora questo provino e mi presero subito. Per un certo periodo lavorai lì ma non mi sentivo a mio agio come quando ero libero di fare come mi pareva sul palco. Un pomeriggio giocando a pallone con gli stessi amici del locale, tra cui Jannacci, Abatantuono e Porcaro, presi in pieno una buca correndo e mi feci parecchio male alla caviglia. Mi portarono a casa e mi misero la caviglia dentro un catino d’acqua fredda con il ghiaccio e io mi addormentai così. Mi svegliai giusto in tempo per andare al Derby ma avevo il piede blu, completamente insensibile. Mi vennero a prendere e mi portarono a farmi ingessare la gamba, poi andai in scena quella sera stessa e mi scusai con il pubblico perché non avrei potuto fare il mio solito spettacolo. Mi sedetti su uno sgabello da bar e iniziai ad improvvisare parlando con gli spettatori. Ebbi un successo straordinario e capii che non avrei più dovuto recitare cose preparate o scritte, ma che avrei dovuto parlare come quando ero al bar; da quella volta non smisi più. Grazie a quell’infortunio la mia carriera cambiò per sempre, quindi… non tutti i buchi vengono per nuocere insomma.

A proposito di episodi OFF, ci dica di più di quella famosa telefonata con Bob Dylan.

Ah ah, eh sì, Bobby cc. Lo chiamo Bobby, ma lui in realtà preferisce farsi chiamare Robert. Segue sempre i miei consigli, infatti è andato a ritirare il Premio Nobel sotto mio suggerimento. Pensa che adesso è a casa mia.

Ma chi, Dylan?

Naturalmente, quando vuole fare le sue cose me lo dice e io gli lascio la mia casa di Milano libera, così può andare a starci lui e stare tranquillo!

Cambiamo argomento: cosa pensa di questo stato confusionale in cui verte la politica italiana allo stato attuale?

Penso che la politica sia una cosa importante e soprattutto una cosa seria. Ora come ora direi solo che nel nostro paese basterebbe non mettere i bastoni tra le ruote a chi prova davvero a fare qualcosa.

Lei ha lavorato con tanti grandi registi e attori del secolo scorso. Uno su tutti il grande Paolo Villaggio con il quale ha girato quella scena diventata cult in Fracchia la Belva Umana. Che uomo era Paolo?

Paolo Villaggio è stato un genio, una persona di un intelligenza impressionante, un uomo di grande cultura e di grande cattiveria, nell’umorismo si intende ovviamente. Ha inventato un genere ed è l’unico che è stato capace di fare due personaggi identici, Fracchia e Fantozzi, diversificati praticamente solo dal nome. Paolo si è reso portavoce scanzonato di una generazione, è entrato nei cuori degli italiani e anche nel nostro vocabolario quotidiano, si pensi solo alla Corazzata Potëmkin

È una cagata pazzesca!

Esattamente, ma nonostante questa sua comicità era un uomo di grandiosa serietà, puntuale e preciso. Anche nella vita reale quando decideva di entrare nel personaggio cominciava a parlare ai camerieri al ristorante come se fosse il ragionier Fantozzi: «Ehi lei venghi qui!». Detto questo, Paolo era anche un uomo di parola: agli inizi della mia mia carriera ne ho incontrati tanti che mi hanno fatto promesse a vuoto, mentre Paolo, che mi conobbe ad una concorso per cabarettisti, mi disse che mi avrebbe dato spazio in un suo film. E così fu, da questo in pratica nasce la nostra collaborazione e le famose scene di Neuro e Fracchia.

Progetti futuri, ci svela qualcosa?

A fine giugno sarò al Festival Jazz Ascona con la mia orchestra. Porteremo uno spettacolo di swing jazz intitolato “Quando eravamo forti, quando eravamo grandi”. Parleremo di quando gli italiani, intorno agli anni 50 erano i numeri uno in tutto, nella musica, nel cinema etc. Racconteremo i grandi italiani d’esportazione anche, coloro che sono andati oltreoceano a cercare fortuna e dei quali poi anche i figli sono diventati ottimi registi, attori, cantanti e chi più ne ha più ne metta. Eravamo forti e siamo ancora i più forti, questa dura situazione economica ce lo fa solo scordare. Non dobbiamo dimenticarcelo mai e io con il mio spettacolo proverò a ricordarlo a tutti!

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Hoara Borselli: “A 19 anni dissi no a quella proposta…”

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Hoara Borselli, classe 1976, raffinata ed elegante showgirl, conduttrice televisiva e attrice, oggi anche speaker radiofonica e titolare di un brand di abbigliamento. Primissima vincitrice di Ballando con le stelle, si racconta a OFF commentando la sua carriera e l’attualità

Una curiosità: da dove viene il tuo nome? C’entra qualcosa con Rossella O’Hara?

Deriva da un romanzo che mia madre lesse da ragazza. Non mi disse mai il titolo, ma solamente che si era innamorata di uno dei personaggi e che si ripropose qualora avesse avuto una figlia femmina di chiamarla così. Non c’entra con Rossella O’Hara, come si potrebbe pensare quindi. Non si scrive nemmeno allo stesso modo…

Ad oggi conduci un programma radiofonico creato e condotto da te: da dove nasce l’amore per la radio?

La radio è sempre stato un mio pallino, ho sempre desiderato farla e alla fine sono riuscita a realizzare questo sogno. Oggi sono autrice e conduttrice del mio programma e vivo unesperienza completamente diversa da quella televisiva; in radio sei solo tu, col microfono e il suono della tua voce. Nel mio programma sono sempre attenta al sociale e allattualità, cerco sempre di essere connessa con il mondo. Un’altra grande soddisfazione che mi sono tolta negli ultimi anni è quella di mettere in piedi un mio brand di abbigliamento dal nome Hdoll, insieme alla radio era un mio grande sogno che ho avuto la fortuna e la determinazione di realizzare.

Per quanto riguarda l’attualità appunto, cosa ne pensi di questo neonato governo giallo-verde?

Io non ho mai nascosto la mia presenza politica che è sempre stata decisamente a destra, ma ti confesso che questa alleanza lì per lì mi ha lasciata un po’ perplessa. Ora devo dire che invece mi sto ricredendo, avendo visto che i due movimenti politici mantengono la loro identità se non nel contratto di governo che hanno sottoscritto per il paese. Qualcosa si muove, vedremo nei prossimi mesi se nella direzione giusta per il paese ma, sono fiduciosa.

Facciamo un salto nel passato: nel 2005 hai vinto la primissima edizione di Ballando con le stelle. Com’è cambiato il programma negli anni e cosa ci dici dell’episodio che nell’edizione di quest’anno ha visto protagonisti Zazzaroni e la coppia Ciacci-Todaro?

Cos’è cambiato? La spettacolarizzazione del tutto. Ormai il programma strizza molto l’occhio alle dinamiche social dei telespettatori, si balla nudi, si è perso un pochino il senso del programma che ne ha determinato il successo all’inizio e, pur mantenendosi una gara di ballo a tutti gli effetti, va a creare situazioni molto teatrali come quella accorsa tra Zazzaroni e il duo Ciacci-Todaro.

LEGGI ANCHE: Raimondo Todaro: “Ivan Zazzaroni non è omofobo”

Secondo te quel siparietto era preparato a tavolino per far parlare i giornali?

No assolutamente, non dico che era preparato, ma conoscendo personalmente Zazzaroni, ed essendo lui una persona molto vera, che dice quello che pensa senza guardare in faccia nessuno, era prevedibile che potesse finire così, con un giudizio mal interpretato dal pubblico insomma. Io credo che si debbano rispettare le opinioni di tutti, e quella di Ivan lo era. Comunque nel periodo successivo alla trasmissione Ivan si è ricreduto parlando positivamente del ballo ma sempre restando delle sue idee e del suo giudizio sulla coppia. Secondo me è stata una scelta coraggiosa ma anche doverosa di Milly il mettere in piedi una coppia così in un momento storico come questo nel nostro paese; veniamo da un anno dove ci sono state conquiste incredibili da parte del mondo omosessuale e perché non portarli anche in televisione? Poi oggi abbiamo questo ministro Fontana che non sappiamo quali intenzioni abbia a riguardo, vedremo…

Hoara, ci racconti un episodio OFF della tua carriera? Qualcosa che non hai mai detto a nessuno e che ha cambiato in qualche modo la tua carriera.

Ti posso dire che c’è stato un no nella mia carriera che sicuramente ne ha determinato un andamento diverso da quello che poteva essere. Quando ero molto giovane, avevo circa 19 anni, ricevetti una proposta lavorativa molto (molto) allettante che avrebbe cambiato la mia vita, ma diciamo che c’erano di base delle condizioni che non mi andavano bene per niente. Dissi di no ovviamente.

Puoi dirci qualcos’altro a riguardo?

Preferirei di no, vorrei evitare di entrare nella dinamica.

Va bene, allora magari raccontaci un altro episodio OFF, sempre dell’inizio della tua carriera.

Non ho mai pensato di fare questo lavoro nella mia vita, è stata davvero una casualità. Accadde così. Avevo 16 anni e stavo con mia sorella davanti alla tv; ad un certo punto passò durante un programma una scritta che chiedeva a giovani ragazze di candidarsi per partecipare al Festivalbar. Io non me ne curai ma mia sorella invece, ebbe la brillante idea di mandare una mia foto ed iscrivermi al concorso Mediaset. Quella stessa estate, eravamo in negozio da mia madre e arrivò una chiamata: rispose mia madre che ovviamente non ne sapeva niente e riagganciò dicendo che avevano sbagliato numero e che sua figlia Hoara non era iscritta a nessun concorso Mediaset.

E poi richiamarono?

Sì, per fortuna ci ricontattarono e riuscì a mettermi in contatto con loro. Ero al mare e mi chiamarono dal lido con il megafono per avvisarmi di questa telefonata. Puoi immaginare che io non mi capacitavo di come mi avessero raggiunto, e nemmeno i miei genitori. Aveva fatto tutto mia sorella per me, senza invidia o gelosia mi aveva spinto verso quello che sarebbe stato il mio lavoro. Così iniziai con quel concorso, feci il Festivalbar con Gerry Scotti, ero entrata nel mondo dello spettacolo insomma e… sono ancora qua!

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Lucio Presta: “Certi programmi andrebbero fermati dopo la sigla”

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Lucio Presta, grande conoscitore della tv, manager di grandi artisti e costruttore di format televisivi, ci racconta retroscena e cambiamenti del mezzo di comunicazione di massa più importante della nostra società.

Come è cambiata la televisione oggi?

La tv, vero specchio della società, oggi ha preso una deriva pericolosa: ci sono programmi che andrebbero fermati dopo la sigla, per quanto sono volgari e diseducativi. Per fortuna il pubblico sta reagendo e di conseguenza stanno smettendo di fare ascolti. Ma si stanno riscoprendo e riproponendo titoli di trenta-quarant’anni fa con l’obiettivo di recuperare una tv semplice, pulita. Ottimo segnale!

I social e il web hanno determinato una rivoluzione nel mondo della comunicazione e quindi anche nella televisione generalista.

E’ innegabile l’influenza dei social sulla tv, ogni programma vive anche di essi, ma al momento non c’è una stretta connessione tra il risultato sui social e quello dell’Auditel.

In questa rivoluzione anche il ruolo dell’artista si è trasformato.

Gli Artisti con la A maiuscola non hanno subito alcuna trasformazione, tanto che alcuni di loro (i più bravi) usano pochissimo i social. E’ vero che arrivano in tv anche Artisti che provengono dai social, ma è altrettanto vero che spesso in poco tempo vi fanno ritorno.

Ci racconti come è nato un tuo successo televisivo?

I successi sono figli di tutti, mentre gli insuccessi sono orfani. Ho avuto la fortuna di assistere a molti successi e pochi insuccessi.

Molti successi professionali, ma sicuramente anche qualche delusione. Ce ne racconti una?

Solo una. Mi brucia molto, perché è avvenuta pochi giorni dopo l’attentato alle Torri Gemelle: dovevamo evitare di fare un programma e invece, per senso del dovere, lo abbiamo fatto, sbagliando! Era cambiato il mondo e dovevamo accorgercene.

E una soddisfazione professionale?

Cinque Sanremo straordinari, dove sono accadute cose uniche ed irripetibili, come quando suonammo l’inno di Mameli. E poi tutta la produzione televisiva di Benigni, che resterà nella storia della tv. Ma sono tanti gli artisti e i programmi che mi hanno fatto amare questo meraviglioso lavoro.

Da anni ti occupi di artisti importanti del calibro di Benigni e Bonolis: in questi casi amicizia e lavoro si accavallano.

Non potrei mai lavorare con artisti che non amo. Una l’ho anche sposata.

Ci racconti un episodio OFF della tua vita?

A 11/12 anni, per un incidente a cavallo, ho perso il cristallino dell’occhio sinistro e malgrado oggi si possa fare molto con la chirurgia non l’ho mai “sistemato”, proprio per ricordare che nella vita accadono cose che possono cambiare la nostra esistenza per sempre.

Hai sempre dato grande importanza alla famiglia e tutti coloro che rappresenti  devono aderire ad un codice etico: quanto ha influito la tua formazione in una scuola dei Salesiani?

Io sarò sempre grato ai Salesiani per avermi formato al rispetto degli altri e a comportarmi eticamente e moralmente.

Si può essere grandi artisti ma non grandi uomini nella vita quotidiana?

Mi è capitato di incontrare grandi Artisti ma piccoli uomini. Ma per mia fortuna non ho mai lavorato con loro.

Tuo figlio sta seguendo con successo le tue orme: sei felice di questa scelta?

Ne vado fiero, perché è stata una sua scelta e ha iniziato facendo fotocopie e portando i caffè. Ma ha talento ed è molto preparato. Anche Beatrice oggi lavora in Arcobalenotre e vederli vicino mi riempie di gioia.

Lucio Presta ha un obiettivo professionale che ancora vuole raggiungere?

Certo che sì: spero presto di convincere Roberto Benigni a tornare in Tv e fare una lunga tournée di TuttoBenigni. Il pubblico lo aspetta da tempo e i grandi artisti hanno il dovere di restituire il talento che hanno ricevuto in dono dalla vita.

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Carlo Caprioli: “Io come Gesù in mezzo alla gente semplice”

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Carlo Caprioli, Ph. ANSA

Carlo Caprioli, figlio del grande Vittorio, interpreta magistralmente il Messia nel lungometraggio Oh mio Dio! diretto da Giorgio Amato: Gesù compare improvvisamente nel giorno di Natale, con una semplice tunica rossa indosso e l’accusa, rivolta all’umanità, di aver disatteso il suo comandamento più importante, “Amatevi l’un l’altro come io ho amato voi“. Da quel momento si aggirerà per la Roma del 2016 cercando i suoi apostoli…OFF  ha intervistato Carlo Caprioli/Gesù.

Lei è un figlio d’arte. Il cinema e l’arte li ha respirati fin da bambino, cosa ricorda del suo rapporto con il cinema?

Ricordo che seguivo papà quando era possibile e che era un’atmosfera che ho vissuto attraverso di lui. Tutto questo senza che papà facesse intervenire in qualche modo la sua assenza.

Quindi è venuto naturale questo sbocco?

No, è interessato a me. Papà vedeva che giocavo bene a pallone e a lui sarebbe anche piaciuto altro. Ho avuto la fortuna di avere dei genitori che mi hanno lasciato libero di scegliere qualunque cosa mi fosse interessata.

Quando ha deciso che sarebbe diventato un attore?

Ho capito che non mi andava di proseguire con lo sport perché sarebbe stata una carriera che sarebbe finita molto presto. Ho potuto vedere che mi interessava, ero abbastanza estroverso, mi piaceva far ridere gli altri e che quello poteva essere un percorso che sarebbe potuto durare anche tutta la vita, perché questo è un mestiere che ti accompagna fino alla tomba.

Con che squadra avrebbe voluto giocare se avesse fatto il calciatore?

In realtà l’ho anche fatto, perché da piccolo ho potuto giocare una stagione tra gli esordienti giovanissimi con la Lazio, squadra della quale sono tifoso e nella quale papà mi aveva mandato a fare il provino.

Quindi il suo sogno sarebbe stato giocare con la Lazio?

No, non era il mio sogno. Per il resto ho capito subito che quel tipo di carriera che sarebbe finito molto presto: era più interessante una sfida che sarebbe durata tutta la vita.

Per quanto riguarda il cinema il suo Oh mio Dio! si inserisce in un filone che ha riportato in vita molti personaggi storici oltre a Gesù, come Mussolini o Hitler. Cosa ne pensa di questo filone un po’ surreale che sta avendo successo?

Noi siamo usciti prima di quello su Mussolini, che in realtà è il remake di “Io sono tornato”, noi abbiamo presentato il film al Festival di Roma nel novembre del 2017 mentre l’altro è uscito a febbraio 2018. Il nostro è più dichiaratamente un mockumentary mentre l’altro è più un film, almeno “Io sono tornato”.

Abbiamo trattato il tema della parusia, cioè del ritorno, e questo è un contenuto dei Vangeli. Quindi non è tanto un’opera di rifacimento o un’idea campata per aria, ma una cosa che nessuno ancora aveva trattato.

Poi il genere volutamente è un genere che c’è da poco quello del mockumentary, cioè del finto documentario. Potrebbe essere chiunque che pensa di poter essere o sentirsi Gesù, potrebbe essere di qualunque colore e nazionalità, è un uomo che si sente toccato dal trascendente. L’esperimento poi era quello di portarlo al giorno d’oggi e di vedere le reazioni della gente e soprattutto affrontare il tema dell’indifferenza, che è un po’ uno dei temi o dei difetti della società contemporanea. Credo che sia stato questo a muovere l’animo di Giorgio Amato, autore e regista. Quando mi ha proposto questa parte io avevo già visto le sue opere precedenti e ho visto un professionista di qualità e di coraggio, quindi mi sono buttato dentro questo progetto che sembrava rischioso, a volte il rischio è la nostra fortuna perché in fin dei conti siamo dei giocatori d’azzardo. Valeva la pena di rischiare in queste condizioni, in una condizione “senza rete”: io e lui chiusi un mese prima di iniziare le riprese per capire cosa volevamo tirare fuori esattamente dalle scene e dal messaggio. Con questo tempo a disposizione non ci siamo fatti sorprendere da tutto quello che invece poteva accadere nelle scene reali con la gente comune.

LEGGI ANCHE: Oh mio Dio! Hanno visto Gesù aggirarsi per Roma…

Nel cinema italiano ci sono molte commedie ma c’è poca storia. Come mai si è molto restii a raccontare la storia di questo Paese e i grandi personaggi storici?

Questo non lo so. Vedo che però manca molto coraggio, mancano gli attori e i produttori di un tempo. Manca un po’ il coraggio e forse manca anche ricordarsi che siamo dei grandi artigiani, come lo siamo stati e saremo sempre. La risposta purtroppo non ce l’ho, però ancora io e tanti miei amici e colleghi abbiamo voglia di divertirci e di raccontare storie.

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Marina La Rosa: “Noi del Gf abbiamo cambiato la tv italiana”

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Bella, siciliana, sensuale e con una voce capace di ipnotizzare chiunque. Nel 2000 Marina La Rosa entra nella casa più spiata d’Italia e da lì, senza troppi affanni, inizia la sua avventura nel mondo dello spettacolo. Attrice e conduttrice ma inevitabilmente sempre “ex gieffina”. Il primo Grande Fratello. Insieme a Rocco Casalino, che poi sarebbe diventato il responsabile comunicazione del Movimento 5 Stelle. Il primo Grande Fratello, quello vero. Quello che, nel bene o nel male, ha cambiato il modo di fare televisione.

Chi è oggi Marina La Rosa e quanto c’è ancora della ragazza che partecipò alla prima edizione del Grande Fratello?

Questa domanda converrebbe farla al mio analista! Scherzo, per fortuna non ci vado più da anni. Chi sia io oggi preferisco lo dicano le persone a me vicine, non mi piace parlare di me o di quanto intelligente, sensibile, bella e simpatica io sia. Ecco, l’ho appena fatto!

Nel bene e nel male quanto ti ha cambiato quella esperienza?

Il Grande Fratello ha cambiato completamente la mia vita. L’ha stravolta. Sono convinta però che nella vita ci sono cose che devono accadere perché ne devono accadere delle altre. Ad esempio se io non avessi mai fatto quell’esperienza non avrei mai conosciuto Francesca (un’amica) e non saremmo mai andate insieme in vacanza a Favignana dove poi ho incontrato quello che oggi è il padre dei miei figli. Tu chiamalo, se vuoi, destino.

Ci racconti un aneddoto OFF della tua carriera?

Potrei raccontare di quella volta, a casa di un famoso attore e regista, in cui dopo avermi offerto una parte nel suo prossimo film, si avvicinò per baciarmi, ma è un argomento che attualmente va troppo di moda per cui preferisco parlare di una bruttissima figura che feci nel 2001 quando ad una serata di premi e riconoscimenti cinematografici  mi dissero che avrei dovuto premiare l’uomo seduto in prima fila accanto a me. All’epoca ero molto giovane, avevo più o meno 20 anni e non sapevo chi fosse quell’uomo. Solo dopo, quando mi chiamarono sul palco insieme a lui, sentii nominare il suo nome, era Brian De Palma. Che figuraccia!!!! 

Al Grande Fratello ti affibbiarono l’appellativo di “gattamorta”. Un’offesa o un complimento?

In verità non sapevo neanche cosa significasse il termine “gattamorta”. Tuttavia mi ricorda molto la celebre commedia Come tu mi vuoi di Pirandello in cui, attraverso la narrazione di una bizzarra vicenda (ma a quanto pare vera), l’autore spiega come ogni persona abbia bisogno di identificare gli altri in categorie: belli, bravi, brutti, omosessuali, alti, ipocriti, cattivi, ingenui, etero e perché no, anche gattemorte. Sono in fondo tutti pregiudizi dettati dalle nostre paure. Per cui, in tutta onestà, non mi sono mai preoccupata dei giudizi della gente.

La prima edizione del Grande Fratello vinse un Telegatto e la reazione di Alessandro Cecchi Paone non fu delle migliori. Torto o ragione?

Secondo me, caro Moreno, si ha sempre torto quando si alza la voce. Cecchi Paone non fu l’unico a provare rabbia verso di noi, dieci ragazzi venuti dal nulla. In verità non eravamo noi sotto accusa, bensì il Grande Fratello in quanto reality. Quello fu l’anno in cui cambiò il modo di fare televisione. quindi in molti provarono rabbia. ma anche paura di essere in qualche modo “spodestati” dai loro prestigiosi ruoli di conduttori, attori e soubrette di turno. Alessandro fu però il solo ad alzarsi e ad urlare non ricordo cosa ma, forse, dovendo ancora fare outing, era solamente un po’ più nervoso!

Spesso si dice che tv e politica vadano a braccetto. Come vedi questo nuovo Governo e credi che influenzerà anche i palinsesti tv?

Questa più che una domanda è il domandone!!! Il momento storico che stiamo vivendo è così complesso che non so quanto siano in grado i nostri politici di gestire al meglio sia le situazioni interne sia quelle esterne al Paese. È una realtà questa, definita da Bauman, liquida: non vi sono più punti di riferimento, tutto è in continua trasformazione e non c’è concretezza. Io Conte non lo conosco e Salvini mi angoscia. Non ne capisco molto di politica, so solo ciò che vedo e cioè che l’Italia sta diventando un Paese sempre più povero, sempre più mediocre. E anche noi.

Il tuo calendario fu uno dei più venduti. La bellezza può essere un mezzo per raggiungere un fine?

Ognuno raggiunge i propri fini ed i propri obiettivi come meglio ritiene opportuno. Con la bellezza, con il sesso, con la bravura, con l’onesta o con i sotterfugi. Ma la bellezza, quella fisica, un giorno svanirà e resterà quella interiore. Se c’è.

E’ meglio una vita piena di sogni o un sogno che duri una vita?

Questa è invece la domanda alla Marzullo!! Non so rispondere ma sicuramente non si può vivere senza sogni 

Marina di oggi e Marina di ieri. Per chiudere, un bilancio e un obiettivo, se c’è,  da voler raggiungere …

Un bilancio? Ma così, su due piedi? Lasciamoci così Moreno, con il tuo sguardo profondo e la mia voce bassa e sensuale. Del diman, non v’è certezza… 

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Sandra Milo: “Quella volta che non ho voluto baciare Ugo Tognazzi”

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All’anagrafe Salvatrice Elena Greco ma per tutti è Sandra Milo. Icona del Cinema Italiano, da Lo scapolo con Alberto Sordi fino a Giulietta degli Spiriti e 8 e mezzo di Federico Fellini che si aggiudicò l’Oscar come miglior film straniero. Un’energia da far invidia e ancora un grande entusiasmo per il suo lavoro. Una vera e propria forza della natura.

Com’è Sandra Milo oggi?

Una donna soddisfatta. Vivo i successi con tranquillità così come nello stesso modo vivo anche le delusioni. Tutto fa parte della vita 

Ripercorrendo la sua carriera pensa di avere avuto qualche occasione persa?

Nessuna occasione mancata o persa, se qualcosa non è andata c’era un motivo. Forse, unico rammarico, quello di non aver fatto Amarcord di Federico Fellini a causa del divieto della mia famiglia, o meglio, di mio marito. Comunque in definitiva nessun rimpianto.

Un aneddoto OFF della sua carriera?

Sul set di Totò sulla Luna per la regia di Steno avrei dovuto baciare Ugo Tognazzi. Ero giovane e fidanzata e non volevo farlo. Mi sembrava di fare un torto al mio compagno dell’epoca. La scena venne tolta e Tognazzi, nel ristorante degli Studios, mi disse “Signorina guardi che io mi lavo i denti tutti i giorni!”. Fu una cosa molto divertente dettata dalla mia ingenuità ed inesperienza.

Una donna di grande carisma e successo. Gli uomini che ha incontrato nella sua vita ne hanno risentito?

Se devo essere sincera mai perché in un rapporto di coppia al primo posto ho sempre messo il cuore e non la mia popolarità né il mio successo.

Il suo rapporto con gli uomini di potere?

Se il potere è meritato genera ammirazione, se immeritato preferisco non avere interazioni.

Federico Fellini: un amore o un legame tra Pigmalione e la sua musa?

Un grandissimo amore. Non è stato il mio Pigmalione perché già lavoravo. Il nostro è stato un legame fortissimo e insieme abbiamo condiviso grandi successi

La situazione politica italiana vive un grande cambiamento. Pensa che il nuovo Governo possa risollevare le sorti del Bel Paese?

Mi auguro prima di tutto che possa dimostrarsi un buon governo per gli italiani e per l’Italia tutta. Un’altra speranza è che si adoperi per la cultura e per l’arte. Sono ricchezze che non vanno trascurate.

Un consiglio per i giovani che si affacciano al mondo del cinema e del lavoro in generale?

Di non scoraggiarsi mai, di perseverare e lottare fino in fondo per ciò che desiderano. Gli insuccessi fortificano. Sempre!

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Jane Alexander: “Avances sul posto di lavoro? Molte. Moltissime. Troppe!”

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Jane Alexander, ph. Alessandro Bianchi

Jane Alexander: attrice e conduttrice britannica, naturalizzata italiana. Muove i suoi primi passi in una giovanissima La7, per poi alternarsi tra fiction, tv e grande schermo. Sensuale, elegante e schietta, soprattutto quando si parla di sesso: nessun tabù sotto le lenzuola, se con il partner si raggiunge la giusta sintonia. Sintonia che va ricercata, tanto da dispensare consigli in merito nel suo nuovo format Il Punto J! Le allusioni e l’intrigo, con lei, di certo non mancano …

Se dovessi descriverti in pochissime parole, chi è Jane Alexander?

Sono una donna, una mamma e una creativa, una compagna fedele, amante degli animali e un po’ fuori di testa.

Ci racconti un aneddoto OFF della tua carriera?

Non è proprio off, perché forse qualcuno lo ha visto nel programma Faccio cose, vedo gente,  che conducevo in diretta per Rai cinema dal Festival di Venezia qualche tempo fa ma mi piace ricordare la volta che alla domanda: “se potesse scegliere chi essere, invece di essere lei, chi sceglierebbe?“, Mario Monicelli mi guardò dritto negli occhi e mi disse: “lei, io vorrei essere lei, mandandomi  completamente nel pallone. Non lo dimenticherò mai.

La tua voce, esprime grande sensualità. Hai mai usato la tua bellezza e il tuo sex appeal per ottenere un ruolo?

No, nel senso che intendi tu, no. Ma è ovvio che se non avessi avuto questa fisicità non sarei stata vista e poi scelta per Elisa di Rivombrosa e Ginevra nel Commissario Manara, per dire. Gioco molto con la mia sensualità, ma sono anche un capricorno. Pragmatica, seria, affidabile

Dello scandalo Weinstein cosa ci dici? Ti è mai capitato di ricevere avance sul posto di lavoro?

Dello scandalo preferisco non parlare, ma do il mio completo sostegno a tutte le donne coinvolte,  a partire dalla nostra Asia Argento, che stimo moltissimo. Per quanto riguarda la avances, molte, moltissime. Troppe.

Jane Alexander, ph. Alessandro Bianchi

Il tuo ultimo lavoro Il Punto J tratta tematiche sessuali. Quanto conta il sesso nella tua vita?

Molto. Io adoro il sesso. Adoro fare l’amore con il mio compagno, ci unisce come coppia ed in un rapporto per me è fondamentale una sana vita sessuale. Sia chiaro, per sana non intendo “usuale”, nel sesso tutto è lecito, basta che siano consenzienti tutti i presenti! Con Alberto Pattaccini, il mio co-autore, abbiamo scritto Il Punto J anche perché pensiamo entrambi che si parli poco di sesso in modo naturale e che, specialmente le donne sono sempre molto sacrificate, passatemi il termine, viste ancora in modo antico e di facili costumi se scelgono di godere. Non è così. Siamo donne e il sesso lo possiamo e dobbiamo vivere bene anche noi, senza paura di essere giudicate da nessuno.

C’è qualcosa che nella tua carriera non rifaresti mai?

No. Tutto quello che ho fatto, e ne ho fatte di cose, le rifarei perché mi ha aiutata a crescere e mi ha portata fin qui.

Origini inglesi ma fin da giovanissima hai vissuto in Italia. Cosa ti manca dell’Inghilterra?

L’aplomb degli inglesi e mio papà, che però non è in Inghilterra, mannaggia!!

Jane Alexander, ph. Alessandro Bianchi

La situazione politica italiana sta vivendo un grande cambiamento. Credi che questo nuovo governo possa risollevare le sorti del Bel Paese?

Onestamente nutro dei forti dubbi a proposito, ma cerchiamo di essere ottimisti e vedere il bicchiere mezzo pieno, dai!

Un consiglio per tutti i giovani che vogliono intraprendere il lavoro nel mondo dello spettacolo?

Fidatevi solo di persone qualificate, non date mai soldi in anticipo a nessuno e studiate, studiate, studiate!

Per chiudere, cosa vorresti fare domani?

Domani? Scrivere. Ho una bella idea, un giorno ve la racconterò!

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Efe Bal: “Non vedo l’ora di emettere una fattura!”

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Ph. ANSA / MATTEO BAZZI

Si è spogliata nuda su un aereo, é rimasta sei ore in piedi davanti all’Agenzia delle Entrate e si é ri-spogliata davanti alla Corrierone contro Equitalia. Al al suo debutto in un film per adulti a causa di un farmaco dopante ha rischiato grosso. Efe Bal è la trans più famosa d’Italia e da anni si batte per la regolarizzazione della prostituzione. Non è una che le manda a dire e in questa intervista a OFF non si smentisce affatto. Argomento del contendere la decisione dell’Oms, Organizzazione mondiale della sanità, di non classificare più la transessualità come malattia mentale: “è ormai chiaro che non si tratti di una malattia mentale e classificarla come tale può causare una enorme stigmatizzazione per le persone transgender”. La decisione dell’Oms è stata accolta con gioia dalle organizzazioni che da tempo si battono per vedere riconosciuti i diritti dei transessuali. E anche dalla nostra Efe Bal (Redazione).

Oggi l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha tolto la transessualità tra le malattie mentali. Cosa ne pensi?

Sono andata a letto con ventimila uomini nel corso del mio lavoro: se io sono pazza allora anche questi ventimila uomini sono pazzi. Per questa battuta non mi hanno più invitata a Sky e al posto mio hanno chiamato Eva Robin’s. Io non sapevo neanche che esistesse una organizzazione del genere e che ci considerassero dei pazzi. Secondo me le pazzie mentali sono la pedofilia, o quelli che fanno l’amore con gli animali  o, addirittura, che pensano di essere animali o pensano di avere amici alieni. Dio qualche volta fa un piccolo sbaglio quando ci crea. E quel giorno in cui sono nata ha fatto uno sbaglio. Io dovevo nascere donna e Dio mi ha creato uomo. Infatti quando sono cresciuta, a quindici anni, non mi sentivo come un uomo, mi sentivo come una donna, e ho cominciato a prendere gli ormoni. Non c’entra niente con la pazzia, siamo persone normali. Forse trenta anni fa si pensava la stessa cosa sui gay, perché non c’erano tanti transessuali in giro. Oggi ci sono gay che dirigono il mondo della moda, del design, dell’architettura. Io, è vero, faccio la escort, che non è un lavoro di cui andare fiera, però sono una persona normale, con dei cani che provengono dal canile, degli amici, dei clienti fissi; ho la mia mamma, vado in televisione e dico che bisogna regolarizzare la prostituzione, ho un sogno, una battaglia da portare avanti. Sono pazza di carattere, non di mente.

Qual è il pregiudizio più grande che ancora c’è sul mondo trans?

C’è bisogno di più tempo, forse. Poiché i gay vanno a letto insieme sono uniti, sono amici l’uno dell’altro. Noi trans invece non siamo così, siamo invidiosi, siamo gelosi l’una dell’altra. Basta essere un po’ più bella, più giovane, più ricca e di successo. Forse è anche per questo che noi siamo ancora considerati come un tabu, come qualcuno di cui evitare di parlare. Alla fine però siamo persone normali. Non siamo pazzi, prendiamo solo gli ormoni, che qualche volta ci creano degli sbalzi di umore. Io non sapevo che esistesse questa stupida associazione che ci considerava malati di mente. Siamo solo degli uomini che vogliono essere delle donne bellissime, che vogliono trovare un compagno, un fidanzato, un amore, o un marito che ci può amare, come tutte le persone. Non abbiamo dei sogni diversi dalle persone normali.

Tu hai portato avanti diverse battaglie. Adesso che c’è Salvini al governo cosa vorresti si realizzasse?

Adesso le mie foto con lui valgono molto di più.  Lui è l’unico politico italiano che voleva regolarizzare la prostituzione, ma in questi cinque anni di legislazione non credo che accadrà. Salvini è una persona molto intelligente e se riuscisse ad abolire la legge Merlin (e credo che ce la farà) potrebbe entrare nei libri di storia. E’ una legge assurda, di più di 50 anni fa. Salvini in questo momento è molto impegnato con l’immigrazione e la flat tax, ma ce la farà. In un’Italia in piena disoccupazione, il nostro lavoro potrebbe far guadagnare tanti soldi. Io credo che in Italia si debba parlare di più di regolarizzazione della prostituzione, perché è una fonte di guadagno, è un aiuto per un Paese come il nostro.

Se si regolarizzasse?

Andrei il giorno dopo alla Camera di Commercio a chiedere la partita Iva, andrei a dichiararmi in questura come fanno in Svizzera e, come nei centri massaggi cinesi, rilascerei la fattura. E soprattutto potrei finalmente godermi i soldi che guadagno, perché in questo momento sono considerata un evasore fiscale (ho un debito con il fisco di quasi un milione di euro!).

C’è un uomo politico con cui passeresti una notte di passione?

Fico. Subito! Lui è così bello…E’ bellissimo! Di lui mi piace tutto, dopo Salvini, che è un amico e per anni ho pensato a lui come fonte di passione. Ma oggi è diventato un uomo fin troppo importante da portarmi a letto, ed è solo un amico. Fico mi crea questi sentimenti allucinanti. E’ proprio il mio tipo di uomo.

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Le donne più sexy ed irriverenti dello Spettacolo italiano

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Donne irriverenti che di sicuro non ti fanno sbadigliare quando le inviti a cena per la prima volta. Alice Caioli, giovane promessa della musica italiana e tanti tatuaggi, fascino rock con la pelle colorata da tatuaggi che «aiutano a superare la paura del per sempre»; Jane Alexander, elegante e schietta, soprattutto quando si parla di sesso, tanto da dispensare consigli in merito nel suo nuovo format, Il Punto J; Efe Bal, la trans più famosa d’Italia, “persa” per il Presidente della Camera Roberto Fico – “Fico mi crea questi sentimenti allucinanti. E’ proprio il mio tipo di uomo!”. E poi Jo Squillo, che ricorda con noi quella volta in cui lanciò dei Tampax macchiati di rosso sul pubblico di Piazza Duomo a Milano per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla violenza alle donne; Marina La Rosa, la prima del Gf, cui attribuirono l’appellativo di “gattamorta”, che lei con nonchalance si fa scivolare addosso. Justine Mattera chioma bionda e sorriso provocante, super sexy su Playboy e poi Noemi, Ambra, Selvaggia Lucarelli. Buona lettura -sotto l’ombrellone (Redazione).

Efe Bal: “Non vedo l’ora di emettere una fattura!”

Alice Caioli: da adolescente facevo abuso di alcool

Jane Alexander: “Avances sul posto di lavoro? Molte. Moltissime. Troppe!”

Jo Squillo: “Quando lanciai i tampax su piazza del Duomo”

Marina La Rosa: “Cecchi Paone era nervoso, doveva fare outing”

Noemi: “Cantare? Da bambina non me ne poteva fregare di meno!”

Justine Mattera: “I miei sexy 47 anni su Playboy”

Selvaggia Lucarelli: “Mi diverte essere quella che rovina la festa”

Ambra Angiolini: “Io non ho paura di essere una str…”

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Diego Fusaro: “Viviamo in un totalitarismo glamour”

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Diego Fusaro, Ales, il GiornaleOFFsandro Sansoni, intervistaDiego Fusaro, 35 anni, docente all’Istituto Alti Studi Strategici e Politici (IASSP), è un filosofo che ha fatto del pensare altrimenti e ostinatamente contro il fondamento della sua riflessione, riuscendo però a scardinare il muro di gomma del pensiero unico imperante e del politicamente corretto.

La ragione c’è, ci spiega. Il sistema mediatico si configura come totalitarismo glamour, tratto tipico della società dei consumi, e deve dunque presentarsi ospitale per essere più convincente e, di conseguenza, tende ad accogliere tutti. Ha sempre funzionato così.

All’inizio della sua carriera, o anche di recente, lei ha vissuto dei momenti Off?

Le idee non dominanti, quelle per intenderci della classe non dominante sono da sempre non dico ostracizzate, ma quanto meno diffamate o considerate false in quanto tali. Quindi vivo e ho vissuto continuamente momenti Off.

Canone, forma e “mestiere” sono spesso osteggiati in ogni ambito artistico. Oggi tutto è performance, provocazione solipsistica, destrutturazione nella cultura del jet-set. Gli antichi modelli estetici dei popoli, ispirati al sacro e in grado di innescare empatia con il pubblico sono considerati con snobismo. Secondo lei sarebbe opportuno e, in ogni caso, possibile recuperare una dimensione estetica votata al Bello?

Assolutamente sì. Oggi la cultura dominante, se di cultura si può parlare, si basa essenzialmente sulla distruzione di ogni canone estetico basato sul limite, sulla misura, sulla proporzione. L’arte di un Fidia, per esempio, oggi non sarebbe considerata arte. Oggi è vincente la cosiddetta “merda d’artista”, tutto ciò che profana e viola ogni inviolabile, cioè tutto ciò che asseconda l’illimitatezza e la disarmonia della nostra epoca.

Diego Fusaro, Ales, il GiornaleOFFsandro Sansoni, intervistaIn che misura la decomposizione dei valori tradizionali e la retorica dei diritti civili è funzionale alle logiche del turbo-capitalismo?

Il turbo-capitalismo contemporaneo si basa sull’abbattimento dei diritti sociali, che sono diritti dell’uomo comunitario libero e uguale, figlio di una comunità e portatore di uguali diritti e uguali doveri (“inserito in un popolo”, direbbe Hegel) e promuove per converso in maniera vuoi risarcitoria, vuoi distruttiva, i diritti civili che scalfiscono minimamente le logiche del fanatismo economico, e costituiscono, al contrario, i diritti dell’individuo globalizzato e consumatore, post-comunitario, che considera i diritti individuali proprietà di cui dispone. Essi sono i diritti dell’homo consumens globalizzato.

Dalla globalizzazione e dalla standardizzazione dei costumi si esce recuperando le diversità e l’identità dei popoli?

Ci si de-globalizza in vari modi che vanno  messi insieme: sul piano culturale sicuramente valorizzando il caleidoscopio delle culture plurali e innanzitutto valorizzando la propria, naturalmente. E poi lottando contro il sistema del globalismo economico che propone come unico modello il libero mercato deregolamentato, cioè il libero cannibalismo a beneficio delle élite finanziarie, basato sulla competitività senza frontiere, fondato sulla dinamica della crescita illimitata. Bisogna uscire da questo modello e ripartire dall’etica greca del giusto limite, della vita comunitaria, di quella che Aristotele chiama la koinonìa, la comunità come spazio in comune tra gli uomini.

Heidegger, Nietzsche o Del Noce?

Direi nessuno dei tre, o direi tutti e tre messi insieme, nel senso che nessuno di loro è  mio modello privilegiato. Direi che da Heidegger apprendiamo l’idea che l’Essere si sia obliato e dimenticato nell’epoca della Volontà di Potenza illimitata, in cui non vi è più l’Essere, ma l’Ente disponibile per la crescita illimitata. Da Nietzsche riceviamo innanzitutto l’idea che Dio è morto in questa epoca in cui ha valore solo il mercato planetarizzato e gli uomini hanno smesso di credere ad alcunché e ogni valore è precipitato. E infine da Del Noce apprendiamo il fatto tristemente noto che i partiti comunisti si sono trasformati in partiti radicali di massa volti alla difesa dei diritti civili dell’uomo consumatore individualizzato.

 

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Serena Bonanno: “Ogni fallimento in realtà è un cambiamento”

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Chi sia Serena Bonanno è noto a tutti, è un’ attrice popolare, come si definisce lei. O forse è meglio dire era un’ attrice popolare. Sì, perché da qualche tempo ha fatto un cambio di rotta importante. Oggi racconta a Off perché abbia scelto di lasciare il mondo della recitazione.

Serena, sei alle porte di un traguardo importante: tra qualche giorno compirai quarant’anni. L’età viene spesso demonizzata, ma il tempo che passa porta con sé nuove consapevolezze. Che donna è quella che entra negli anta?

Compirò gli anni esattamente il 20 giugno e non ti nascondo che ci sto pensando già da qualche mese. Ero convinta che non mi avrebbe fatto alcun effetto questo famoso passaggio agli “anta”, eppure ti confesso che mi sta emozionando non poco. Si tratta di una serie di riflessioni su me stessa che mi accompagnano ogni giorno. Fortunatamente la concretezza professionale, e di conseguenza una stabilità quotidiana ed economica, l’ho raggiunta, come desideravo. Sono fiera di me e di come sono riuscita a trasformare un pensiero negativo, l’idea del fallimento di una carriera, nella sua versione positiva, cioè il cambiamento. La trasformazione è ovunque in natura, il passaggio da una condizione ad un’altra anche, perché quindi considerare un cambiamento professionale come qualcosa di brutto? Dopotutto è il lavoro ad essere al servizio di un essere umano e non il contrario. La vita è tanto di più, non bisogna dimenticarlo mai. Per il resto, rimango la Serena di sempre, un po’ fissata con i miei difetti fisici, perfezionista, con una soglia di attenzione a ciò che mi circonda fuori dal comune, con la testa perennemente tra le nuvole, persa nelle mie fantasticherie.

Facciamo un passo indietro. A vent’anni circa, hai iniziato la tua carriera d’attrice. A distanza di due decenni, che ricordo hai di quella ragazza?

Ero un’idealista, convinta che il mondo fosse sempre giusto, un luogo in cui i buoni vincono e i cattivi perdono. Devi immaginare una specie di fumetto, una bellissima creatura con la tempesta dentro. Un’estremista nei sentimenti e nella vita. Per me era tutto bianco o nero, le sfumature dei grigi nemmeno le consideravo.

In cosa sei rimasta esattamente uguale alla donna di vent’anni fa?

Nell’idea che ho dell’amore. Mi dicevano tutti che avrei cambiato opinione con la maturità. Si sbagliavano.

Recentemente, hai raccontato di aver deciso di smettere con il mestiere d’attrice. Dev’essere stata una scelta sofferta.

Come ogni scelta importante, è stata ponderata e soprattutto ha necessitato del suo tempo perché potessi elaborarla nella maniera meno dolorosa. Amavo follemente il set, la sua vita, persino i suoi odori. Purtroppo, però, nel tempo era diventato sempre più difficile, e quando mi sono resa conto che quel salto di qualità, per ragioni di varia natura, non lo avrei mai potuto fare, se non per un colpo di fortuna, ho dovuto valutare la realtà per quello che era e chiedermi se mi sarebbe andato bene per sempre. La risposta chiaramente è stata: “Assolutamente no!”. Ho imparato a desiderare il mio bene, e trascinare qualcosa che è finito non è mai bene. Quindi svolgo un meraviglioso lavoro di ufficio, mi sono reinventata, ho cercato lavoro come tutti, e ho dei colleghi e un capo fantastici.

Permettimi una piccola provocazione: non sarebbe stato più semplice naufragare in un’isola deserta o vivere sotto le telecamere della casa più spiata d’Italia e tentare così un rilancio?

Preferisco cercare di passare attraverso la “porta stretta”, perché la vita non è solo cullarsi nel proprio ego, ma curare anche il proprio spirito, e dentro di me sento che questa è stata la cosa giusta. Ciò non fa di me una santa, intendiamoci, ma solo un essere umano in cerca della propria pace. Per questo non critico assolutamente chi fa scelte diverse dalla mia, perché so che il libero arbitrio deve essere rispettato, come spero di essere rispettata io.

Ma veniamo al presente. Da qualche tempo, l’attività a cui ti dedichi è la pittura, che non è esattamente un ripiego, visto che è una passione che ti accompagna da sempre. Quando hai iniziato a dipingere?

A casa mia si dice: “necessità fa virtù”. Avevo tenuto per me questa passione, ma era fine a se stessa. Ho fatto diversi corsi di pittura ed ero sempre lì a scarabocchiare. Pensa, a scuola, mentre i professori spiegavano, io disegnavo corpi e volti in continuazione. Ad un certo punto, avevo bisogno di lavorare e produrre e così mi sono messa al servizio della gente. Infatti dipingo principalmente su commissione, cercando di accontentare i miei clienti per esigenze diverse, dall’arredamento ai regali personalizzati, ai matrimoni. Basta inviarmi una foto col soggetto, scegliere i colori e la grandezza della tela e il gioco è fatto. Funziona!

Parlami delle tue opere. Che pittrice è Serena?

Sono figlia della Pop Art, principalmente figurativa, dipingo utilizzando i colori acrilici su tele italiane di alta qualità. Sono una pittrice smart, dedicata al popolo, non certamente in cerca di gloria e di mostre al momento. Dico sempre che ‘arte è negli occhi di chi guarda e questo la racconta lunga su come la penso.

Sei stata un’attrice di successo, ora ti stai affermando come pittrice: sono due attività diverse, ma si tratta pur sempre d’arte. In quale ruolo ritrovi la tua vera essenza?

Sono stata un attrice popolare, ma non di successo, e ti garantisco che è diverso. E’ la sottile differenza che gli addetti ai lavori ben conoscono tra l’essere un “nome” ed un “nomino”. Rimane il fatto che io abbia messo tutta me stessa nel portare avanti i ruoli che mi venivano affidati, con dedizione al lavoro e la massima professionalità e che ad oggi rimane quello per cui so di essere nata. Nata per stare su quel maledetto set, nata per raccontare storie attraverso gli occhi, nata per recitare. Nei miei quadri esprimo proprio il desiderio di raccontare storie e trasmettere emozioni, dipingendo le mie donne nude e dedicando particolare attenzione agli occhi. La nudità è ciò che rimane, ci si spoglia anche di se stessi a volte e gli occhi sono il veicolo di ciò che abbiamo dentro. Ci sono molte persone che mi hanno fatto notare che spesso rappresento il mio volto o figure a me rassomiglianti. Forse è vero, non ne sono conscia, ma se così fosse si tratterebbe del racconto della mia vita su tela. Spero un giorno, tra molti anni, di osservare tutti i miei dipinti e di poter capire…

C’è un regista per cui metteresti in discussione la tua decisione e torneresti sul set?

Non un regista, ma un progetto per cui valga la pena. Un ruolo cucito addosso ed eventualmente una proposta concreta. Non potrei mai rifiutare qualcosa di bello, ma cercherei di trovare un accordo con l’azienda presso cui lavoro ogni giorno per poter poi tornare al mio normalissimo posto di lavoro una volta terminate le riprese.

Vorrei concludere questa intervista chiedendoti di raccontarmi un’esperienza off della tua vita.

Roma, 5 Giugno 2009. Ma questa è tutta un’altra storia…

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Clapis: “Ci hanno abituato ai salotti, ma l’arte è un’altra cosa”

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Federico Clapis, Stomaco vuoto ed occhi pieni di cristalli liquidi. "The Replacement" 40x40x110 cm

Federico Clapis, Stomaco vuoto ed occhi pieni di cristalli liquidi. “The Replacement” 40x40x110 cm

Artista, scultore e performer milanese, Federico Clapis deve la sua popolarità ad una singolare strategia volta a promuovere le sue opere d’arte: per cinque anni spopola su You Tube grazie al personaggio comico del Doctor Clapis, fino a quando nel 2015, all’apice del successo virale (i suoi video contano milioni di followers e visualizzazioni) e dopo un film al cinema come protagonista (Game Therapy), annuncia il suo addio alle scene dell’intrattenimento. Da quel momento si dedica totalmente alla sua vera passione, l’arte. Considerato dalla stampa come uno dei duecento giovani artisti su cui investire, ha esposto in Italia a Palazzo Montanari di Bologna con la mostra “The Crucifixion of the Artist insieme alle potenti crocifissioni su carta di Francis Bacon e a livello internazionale a Rio De Janeiro, Monaco e New York.

Lei ha iniziato su YouTube con il personaggio del Dottor Clapis. Perché ha usato la via dell’intrattenimento per passare poi all’arte?

Quando nel 2010 ho cominciato a lavorare su tela volevo che quella fosse la mia vita, ma non sapevo minimamente da dove partire. In quel periodo mi capitò di vedere i primi fenomeni web e mi appassionai anche alla video-produzione. Unendo le due cose, ho pensato di creare prima un personaggio mediatico e di diventare popolare, per poi divulgare sui social la mia arte. Così sono dovuto scendere al compromesso dell’intrattenimento. Dentro quell’intrattenimento ho cercato comunque di prendermi certe soddisfazioni a livello comunicativo, seppur celato sempre da una produzione apparentemente comico-demenziale. E poi si è sviluppato il percorso che conoscete.

Un percorso dove non saranno mancati i momenti difficili…

Ci sono state varie occasioni di Nathional GeoClapis, il mio format di intrattenimento con animali feroci in giro per il mondo. Ricordo che un bel po’ di volte ho avuto molta paura. Come quando stavo con la tigre in piscina e ad un certo punto è impazzita, o quel giorno in cui il leone mi ha messo una zampa sulla faccia. Sono stati momenti difficili.

Nel 2015 con un video ha annunciato l’abbandono dalle scene dell’intrattenimento. Come hanno reagito i suoi followers?

All’inizio è stato veramente interessante come fenomeno perché dichiarare l’uscita dall’intrattenimento per entrare nell’arte per la maggior parte dei followers ha rappresentato la mia “morte”. Non sapevano cosa avessi in mente ed è stata un’emozione sia per quelli che mi amavano che per quelli che mi odiavano. Nel tempo comunque i followers sono aumentati, comprendendo anche gli appassionati d’arte.

Qual è stata la molla che le ha fatto dire: “adesso basta”?

Ero un po’ giunto a saturazione. Quando per tanti anni fai una cosa in cui credi fino a un certo punto non puoi andare avanti a lungo. Il mio livello di resistenza era arrivato a un limite, e soprattutto avevo fatto il possibile per avere un bel seguito: venivo da un film al cinema e avevo un bacino di utenza sufficiente, ma non esageratamente pop (se fossi arrivato a una popolarità più mainstream la conversione all’arte sarebbe stata più difficile). Così appena ho sentito fosse il momento giusto, ho dato vita al cambiamento. E da lì è successo tutto.

The Tree Of Life, 140x110 cm, Nylon Powder, resin, sponge on canvas

The Tree Of Life, 140×110 cm, Nylon Powder, resin, sponge on canvas

Come è stato accolto dal mondo dell’arte?

Secondo me non esiste il mondo dell’arte. In Italia ci hanno abituato a dei micro-salotti, ma quello non è il mondo dell’arte. Non contano nulla. Ho fatto a Palazzo Montanari di Bologna la mostra The Crucifixion of the Artist al centro della sala principale e attorniata dalle potenti crocifissioni su carta di Francis Bacon, ma in realtà sono indipendente da quello che è il meccanismo italiano. Sto lavorando tanto all’estero: in giugno farò una cosa importante in una delle principali piazze di Londra, una gigante statua in bronzo. A Rio De Janeiro ho fatto una installazione per la celebre favela City of God, ho esposto a Monaco di Baviera e ho realizzato una micro-installazione a New York. Diciamo che non riesco a definire il mondo dell’arte con la stessa certezza di chi lo definisce andando agli happening.

Ha definito però la condizione umana, con Actor on Canvas…

Già da tempo lavoravo con soggetti in resina prestampati. Poi il desiderio della loro personalizzazione, unito al fatto che avessi scoperto la tecnologia della scansione laser del corpo, ha creato un fil-rouge automatico con quello che era il mio lavoro precedente, ossia l’ attore. Vengo “scansionato” da un laser che immortala la mia posa e poi stampo con macchinari particolari. Così “entro” nella tela a interpretare certe condizioni umane: cercano di essere neutrali, ma mi riguardano inevitabilmente.

Blocks, 60x80 cm, Nylon Powder, acrylic, wool on canvas

Blocks, 60×80 cm, Nylon Powder, acrylic, wool on canvas

Quindi c’è sempre una parte di lei nelle sue opere…

Sì, c’è una parte di me che ogni volta che va su tela si esorcizza. Io all’inizio quando è nato Actor on Canvas cercavo di dargli un certo distacco. Poi mi sono accorto del suo aspetto terapeutico: tutto quello che veniva fuori sulla tela era una parte di me che non avevo mai preso in considerazione, una parte spesso buia che emergeva sulla tela fino a dissolversi. Per me Actor on Canvas per quanto cerchi di dargli una distanza è un continuo specchio.

Negli Actor on Canvas torna spesso anche un tema che riguarda la società, quello dell’“ignorare”. Qual è l’aspetto della vita che più ignoriamo?

Noi ignoriamo di tutto. In primis quello che ignoriamo sono le nostre reali emozioni e quelli che sono i reali motivi dei nostri comportamenti. In media si tende ad ignorare l’introspezione. mentre l’ignorare che si vede nei miei quadri è più iconico dei tempi contemporanei, come l’uomo al cellulare che ignora la natura, che ignora il mondo. Un mondo che avrebbe bisogno di non essere ignorato per andare avanti, almeno per qualche centinaio di anni. E non che scompaia a breve come potrebbe essere preannunciabile.

Lei ha già esposto in varie città del mondo. Tra le tante, quale delle sue opere ha suscitato maggiori reazioni?

In questo momento il mio soggetto più forte è una scultura in bronzo (adesso mi sto dedicando quasi esclusivamente alla scultura in bronzo e in resina) che si chiama Connection. Si tratta di una donna incinta che porta in grembo un bambino già al cellulare. È un’immagine abbastanza iconico di questi tempi e sarà una delle opere che porterò a Londra.

La creazione è un altro argomento che ha affrontato più volte…

Ne sono sempre stato molto affascinato…Quando facevo i video su YouTube avevo una rubrica un po’ più seria che si chiamava #senzamaschere in cui affrontavo il tema del parto e di tutto quello che succedeva in fase prenatale. In particolare notai quanto questo evento fosse determinante nella nostra vita. Ci sono cose che inevitabilmente influiscono su di noi, anche se non ce ne rendiamo conto. Nel momento in cui siamo nella pancia di nostra madre assorbiamo tutto quello che succede intorno a noi, sia di positivo che di traumatico. Questa riflessione mi ha fatto capire molte cose di me, del mio modo di essere.

Per l’arte si è addirittura crocifisso. C’è stata qualche polemica?

Ma no, è stata un’opera che abbiamo esposto a palazzo Montanari insieme alle crocifissioni su carta di Francis Bacon, a Bologna nel 2015. Diciamo che non è più l’epoca dello sconvolgimento, e non era un’opera che voleva sconvolgere. E’ chiaro che quando giochi con i simbolismi religiosi sei sempre un po’ più esposto. Tuttavia ero cosciente del fatto che questo simbolismo religioso fosse super-inflazionato, quindi non pensavo di suscitare chissà cosa. Mi piaceva di più il concetto di far capire la crocifissione di ogni artista che c’è dietro la tela. Infatti quello crocifisso sono io su un telaio fatto a croce, quindi giocavo molto di più su un aspetto concettuale che provocatorio.

In quest’ottica della crocifissione, quali difficoltà incontra un’artista?

Il mondo degli artisti in generale è un mondo che tende a vedere il mondo come nemico, e da un punto di vista empatico li posso anche capire. Poi il salto lo fai quando riesci a raggirare questo problema. Altrimenti vai avanti a lamentarti tutta la vita, così come fa buona parte degli artisti incompresi.

The Connection (Bronze), 30x15x15cm, Bronze

The Connection (Bronze), 30x15x15cm, Bronze

Lei è riuscito a raggirare il problema grazie al mondo del web. Questa realtà come ha modificato il nostro rapporto con l’arte?

Parecchio. Come tutti gli altri settori all’interno del quale il web è entrato prepotentemente, ci son stati grandi cambiamenti anche nella fruizione delle opere d’arte. E’ chiaro che il tutto deve essere accompagnato da un aspetto reale.
Oggi un artista fa la sua opera, la mette online, e se ha una buona attitudine strategica, o anche solo comunicativa, è indipendente, sia dal punto di vista dell’esposizione dell’opera che del commercio. In questo modo si genera un mercato di collezionisti, sia appassionati di arte che neofiti, che compra direttamente dall’artista.

In futuro, cosa le piacerebbe realizzare?

Attualmente sto realizzando una nuova tecnologia di ologrammi insieme ad alcuni ingegneri di New York per mezzo della quale comporre buona parte dei miei futuri quadri, che proietteranno realtà tridimensionali. Sono molto eccitato per questo progetto.

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“Volevo fare la missionaria!”

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Showgirl, attrice e imprenditrice, Valeria Marini ha raggiunto il successo negli anni Novanta grazie agli spettacoli del Bagaglino, lavorando poi in diverse trasmissioni tra cui il 47 Festival di Sanremo. Sex symbol di quegli anni e dei duemila, dal 2005 la diva sarda è anche stilista con le sue linee Seduzioni e Seduzioni Diamond presentate anche nelle settimane della moda milanese.

E’ stata la prima donna italiana a posare senza veli per un calendario. Il suo secondo calendario, quello del 1996, a firma Helmut Newton, ha raggiunto la tiratura record di tre milioni di copie. In questi ultimi anni ha partecipato al Grande Fratello Vip, a L’isola dei famosi e Le spose di Costantino, dove questa volta ha messo a nudo la sua personalità.  

Mi racconti un episodio OFF degli inizi della tua carriera?

Posso citare quando ho fatto il film Incontri Proibiti con Alberto Sordi. Arrivavo da Los Angeles dove ero stata per studiare l’inglese e quando mi ha chiamato Sordi non ci potevo credere. Per me lui era stato un mito, perché siamo cresciuti tutti con i suoi personaggi. Un episodio off è stato sicuramente quando l’ho incontrato e ho fatto il primo provino. Siccome il mio personaggio doveva anche guidare, mentre ero al volante ero distratta (faccio sempre quattro cose in uno). Così, mentre lui mi chiamava con il nome del personaggio e recitava la battuta: “Si, Signorina Federica, io capisco…” aggiungeva “Stà attenta al camion! Stà attenta al camion!” Aveva paura che io andassi a sbattere.

Qual è l’esperienza lavorativa a cui sei più legata?

Sono tante, ma in primis il Bagaglino, al Salone Margherita. È  stato il mio debutto in televisione. Un palcoscenico meraviglioso dove ho imparato tante cose. Io venivo dal teatro e volevo fare quello o il cinema, e non avevo pensato alla tv. Invece è stata una scelta giusta e ringrazio ancora Pingitore di avermi dato questa opportunità che mi ha aperto la strada al successo e al lavoro. Poi son legata tanto al film che ho fatto con Sordi, ma ogni esperienza di lavoro ti lascia qualcosa, anche quelle non positive, perché c’è sempre da imparare. Poi, sicuramente, quello che mi piace del mio lavoro è l’affetto e l’amore del pubblico.

E quella che ancora vorresti fare?

Un bel film con un ruolo divertente, brillante. Ad esempio un’attrice che adoro è Paola Cortellesi. Mi piace tantissimo perché, a parte la bravura e l’intensità, è anche simpatica. Secondo me oggi è importante anche avere un ruolo dove fai sorridere il pubblico. Oggi più che mai c’è voglia di evadere, di sognare, di non pensare ai problemi quotidiani.

Hai mai subito delle avances sul lavoro?

Certo agli inizi della carriera le ho subite, però se una vuole gira i tacchi e se ne va.

Cosa ne pensi di questo nuovo governo gialloverde?

Non si poteva mantenere un’Italia senza Governo, avrebbe creato un sacco di danni. Si è raggiunto un punto d’accordo dopo il risultato delle elezioni e penso che questa unione, questo punto d’incontro, sia stato un bell’esempio, con un Presidente del Consiglio che mi sembra si stia muovendo molto bene, con grande competenza, pur non venendo dal mondo politico. Io come tutti gli italiani mi aspetto che si risolvano pian piano tutti i problemi. Ho votato Salvini, come ho votato Berlusconi, e mi sembra che stia facendo un ottimo lavoro, anche sul discorso dell’immigrazione. Forse è stata troppo netta la sua posizione ma qualcuno doveva pur prenderne una. Ora staremo a vedere. Mi sembra comunque che sia stata presa la soluzione giusta: non tornare alle elezioni e creare un governo “tecnico” che sia una sorta di timoniere della grande Italia per cercare di risolvere le cose più urgenti, più importanti.

Se dovessi andare a cena, con Salvini o con Di Maio?

Con tutti e due insieme. Sono due persone diametralmente opposte ma anche entrambi interessanti. Salvini l’ho votato, Di Maio lo trovo molto in gamba, anche se non mi è piaciuto il momento in cui ha fatto la guerra al presidente Berlusconi, perché era gratuita. Tuttavia trovo che in questo momento stiano facendo un buon lavoro. Poi bisogna vedere i fatti.

Se non avessi lavorato nel mondo dello spettacolo che lavoro avresti fatto?

Il mondo dello spettacolo è il mio mondo, è la mia vita. Anzi, non mi appartiene quasi per niente la vita quotidiana. In alternativa, sicuramente avrei aiutato gli altri facendo la missionaria o aiutato gli animali.

Beh, sappiamo che gli altri li aiuti anche non facendo la missionaria…

Sì, io sostengo da tempo l’AMRI l’associazione che lavora per la ricerca contro le malattie reumatiche infantili e che ha sede al Gaslini di Genova. Ho scelto questa associazione perché una volta sono andata per partecipare e ho visto la serietà con cui lavorano e accolgono sia i bambini che hanno questi problemi che le loro famiglie. Mi son sempre data da fare raccogliendo fondi e grazie alla collaborazione abbiamo comprato due macchinari molto importanti per la ricerca.

A livello personale invece cosa vorresti realizzare?

A parte il fatto di aiutare chi ha bisogno che mi dà molta gioia, mi piacerebbe finalmente farmi una famiglia e dedicarmi sia al mio lavoro che agli altri.

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Carlo Verdone: “Quei 37 ciak per la morte di mio padre”

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Ph. Daniele Notaristefano

Carlo Verdone è un artista che ha sempre saputo raccontare, sin dal primo fotogramma, vizi, fragilità e insicurezze. Tra sorrisi e note malinconiche il pubblico continua a rispecchiarsi nei film che porta sullo schermo. Lo abbiamo intervistato al Sa.Fi.Ter Film Festival, dove ha accompagnato la sua ultima opera, Benedetta follia.

Condivide con noi un episodio OFF della sua carriera?

Nel 1977, quando ebbi successo col mio spettacolo Tali e quali, si sparse la voce che c’era un attore che interpretava tanti ruoli facendo ridere. Recitavo in un teatro off, era una cantina. Subito dopo realizzai per la tv Non stop, che andò benissimo e pensai di riprendere lo spettacolo per far conoscere da dove provenisse l’anima di quei personaggi. Molti agenti teatrali mi scritturarono per serate, in realtà, non avevano visto nulla di me, pensavano soltanto che imitassi la voce o il monologo di un altro; invece i personaggi erano inseriti in un canovaccio ben preciso. La scena consisteva in una bara al centro e tutti i parenti del defunto lo ricordavano a modo proprio. Quando sono andato in tournée, gli agenti non avevano scelto dei teatri, ma dei club per ricchi e in alcune piazze non rise nessuno poiché non era l’atmosfera adatta. A un tratto decisi di fermarmi proprio perché non era stata colta la natura teatrale.

Lei, sin dagli esordi, sapeva di avere un talento se si pensa agli scherzi e alle imitazioni…

Ero una persona molto solitaria, poi improvvisamente diventavo un “pazzo” che era in grado di fare degli scherzi atroci e divertenti soprattutto nei confronti della mia famiglia. Non dimenticherò mai una sera – non so come mi venne in mente – in cui ne organizzai uno e non so come abbiano fatto i miei genitori a non morire d’infarto, ero un cretino. Loro andarono al Teatro dell’Opera, preparai l’ingresso di casa affinché sembrasse che fossero entrati i ladri: aprì tutti i cassetti, buttai per terra degli scritti di papà (il noto critico Mario Verdone, ndr), presi dei gioielli di mamma e li disseminai tra l’ingresso e il corridoio e mischiai la conserva con l’acqua per restituire l’impressione del sangue e, infine, feci trovare la porta spalancata. Mia madre sapeva che io e mio fratello eravamo in casa e, infatti, quando rincasarono lei gettò un urlo per la paura che fosse accaduto qualcosa a noi, mentre io ero nascosto dietro una tenda. A quel punto, proprio perché si stavano sentendo male, sono apparso chiedendo loro scusa per lo scherzo; papà mi diede le cinghiate con la fibbia, però ha fatto bene perché mamma ha avuto un attacco di pressione a causa mia e per una settimana è stata con 200 di max e 90-95 di minima, avevo davvero combinato un guaio.

Come descriverebbe la sua esperienza da regista?

Mi sono diplomato al CSC in regia con direttore Roberto Rossellini e ho imparato tanto sul campo. Le mie regie sono semplici sul piano tecnico, ma molto attente al lavoro dell’attore ed è essenziale che si sappia la parte a memoria perché non faccio prove. Quasi tutti i miei ciak sono buoni alla prima, al massimo alla seconda. Un’eccezione è avvenuta nel 2009 quando è morto papà. Stavo girando Io, loro e Lara, le notizie che provenivano, ogni giorno, dalla clinica, erano pessime, ero talmente triste da non riuscire a capire se il film stesse venendo bene o male. Ricordo un giorno – ed è stata l’unica volta nella mia vita – in cui ho dovuto ripetere un ciak trentasette volte perché non riuscivo ad avere la concentrazione giusta a tal punto che chiesi eccezionalmente un supporto attraverso i gobbi. Stavo vivendo un momento drammatico, il giorno dopo mio padre se n’è andato.

C’è un aspetto in particolare che ricorda di Sergio Leone e Alberto Sordi?

Sono due personaggi che ho avuto la fortuna di incontrare nella mia carriera, è stato un miracolo avere come produttore un grande regista come Leone, evidentemente devono essergli piaciuti molto gli sketch realizzati in tv tant’è che mi chiamò per realizzare il mio primo lungometraggio. E’ stato molto rigoroso, ma mi voleva molto bene ed è intervenuto parecchio in moviola durante la lavorazione di Un sacco bello, io talvolta non ero tanto d’accordo, ma avendolo detto uno della sua caratura accettavo.

Per quanto riguarda Sordi, quando ero piccolo abitava di fronte alla mia camera da letto – incredibile il destino. Io non andavo al cinema a vedere le sue commedie, ma divoravo molto i film western e storici, però ne avevo sentito molto parlare e crebbe in me la voglia di vederlo. A un certo punto cominciai a tirare dei sassi alla finestra, fino a quando un giorno la finestra si aprì e comparve un faccione che mi disse: «vattene via che Sordi sta’ a dormì, basta a’ ragazzì». Mi trattò talmente male che scappai. Un giorno, mentre camminavo con mia madre nei pressi di casa nostra, vidi uscire Sordi con la sorella ed erano uguali come viso a tal punto che non riuscivo a comprendere chi mi avesse detto di andarmene in quella circostanza.

Alberto Sordi è stato un personaggio colossale della commedia italiana e lavorare con lui a In viaggio con papà diretto da lui e Troppo forte con la mia regia è stato un grandissimo privilegio. Chi pensa che dal vivo fosse la stessa persona che appariva sullo schermo sbaglia poiché nel privato lui era molto metodico, viveva un po’ nel buio, era serissimo e severo, aveva le persiane sempre chiuse a tre quarti, i quadri non prendevano luce. Lui fuori casa era in un modo, all’interno in un altro, un po’ come tutti gli attori che si danno tanto al pubblico, ma non appena entrano dentro le mura domestiche ridiventano degli uomini “normali”. Spesso l’attore è anche timido, ama la solitudine proprio per i bagni di folla a cui è sottoposto quotidianamente. Alberto era un uomo davvero spiritoso e intelligente, d’intuizione ed è stato forse l’attore di commedia più rivoluzionario che abbiamo avuto se si pensa alle primissime opere come Un americano a Roma, che non avevano nulla di studio accademico, ma il dono di un’improvvisazione folle.

Daniele Notaristefano

Cosa la stupisce oggi?

La non preparazione delle persone che vanno molto di pancia. Si è molto arrabbiati, a volte giustamente; ma ritengo che bisognerebbe riflettere un po’ di più, non c’è l’approfondimento che dovrebbe esserci sulle cose. Sento un clima di infelicità nella gente.

Cosa, invece, la indigna?

Com’è ridotta la mia città, Roma, o gli stessi cittadini che continuano a sfregiarla sui muri, a vivere come se niente fosse; è la città più bella del mondo, com’è possibile che sia ridotta così? Mi indigna il fatto che nessuno si indigni più di tanto. Si afferma «non si può più vivere a Roma», ma non è costruttivo dire, bisognerebbe fare qualcosa.

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Toni Capuozzo: “Da terremotato ho capito che avrei fatto l’inviato”

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ilgiornale.it

Toni Capuozzo, 69 anni, giornalista eclettico: inizia la carriera di giornalista presso il settimanale Lotta Continua, dove segue l’America Latina; poi tante altre illustri collaborazioni e una vita professionale in Mediaset, dove segue per i vari TG della rete la guerra in Jugoslavia, i conflitti in Somalia, in Medio Oriente, gli sviluppi delle vicende in Afghanistan e Unione Sovietica. Su Mediaset conduce per anni Terra!. Una carriera dedicata quindi a raccontare i fatti dal mondo agli italiani, come pochi altri cronisti del nostro tempo hanno saputo fare. Da poco è tornato dalla Russia, inviato speciale ai Mondiali 2018.

Lei è itinerante come pochi giornalisti: ci racconti dov’è stato ultimamente.

Sono appena tornato dalla Russia, dove ho seguito, diciamo, il contorno dei Mondiali, dato che non sono andato nemmeno una volta allo stadio. Ho raccontato del clima che si respirava in città a Mosca e dei problemi della sicurezza.

Quali problemi?

Allora, sicuramente c’è stata un’enorme apertura della nazione russa all’esterno, cosa non esattamente all’ordine del giorno. Tieni presente che l’accesso al paese era consentito senza il visto; ho riscontrato una forte presenza di tifosi latino americani, poi nord europei, islandesi, danesi. Tra l’altro ho trovato una Mosca molto cambiata, rimessa a nuovo e aperta ai cambiamenti; io ci sono stato molte volte, per altre ragioni ovviamente, ma questa volta  ho percepito una grande attenzione ai problemi legati alla sicurezza. Mi spiego: ci sono stati almeno due episodi di auto contro la folla (stragi scongiurate per un pelo) che le autorità si sono affrettate a derubricare come incidenti stradali (a Mosca e a Sochi), anche se le dinamiche erano più che sospette. E’ evidente che tutto sia fatto nell’ottica di far passare un clima di serenità e soprattutto una percezione di controllo totale da parte delle autorità.

Torniamo nel nostro Paese. Da ormai qualche settimana, come ben sa, si stanno manifestando le politiche sull’immigrazione di questo governo Lega – 5 Stelle: lei come valuta le scelte prese in quest’ambito?

La situazione come l’abbiamo vista negli ultimi quattro, cinque anni non poteva che esplodere in un cambiamento. Comunque uno la pensi, a Salvini non può non essere attribuito il merito di aver cercato di porre la questione veramente sul tavolo europeo. Eravamo diventati la sala d’attesa dell’Europa e in cambio di una certa “elasticità sul debito”, diciamo, siamo stati lasciati soli a gestire questa situazione drammatica. E la situazione è estremamente complicata, non possiamo certo continuare ad accogliere persone senza poterle mettere in condizione di vivere dignitosamente; c’è molta ipocrisia nel non voler distinguere le situazioni di chi sta scappando da una guerra e di chi sta semplicemente migrando per ragioni economiche. Le migrazioni economiche nello specifico devono rispettare delle regole ben precise. Inoltre in Italia, purtroppo, non c’è una conoscenza reale e diffusa di quali siano i problemi del mondo: se guardi l’elenco delle persone che si imbarcano in Libia, la stragrande maggioranza non viene da paesi in guerra. Non c’è nessun sud sudanese ad esempio, pur essendoci in Sud Sudan l’unica guerra in corso nel continente africano. Il problema vero è che i poveri non partono, parte chi ha abbastanza soldi per poterselo permettere: non tutti però possono venire qui da noi per cambiare vita, la migrazione economica deve sottostare a delle regole, come già detto.

Flickr

Abbiamo parlato di Salvini e di come con questa questione dei migranti abbia in qualche modo attirato le luci della ribalta su se stesso, facendo schizzare il consenso della Lega. In tutto questo Silvio Berlusconi, che non ha niente a che vedere con Salvini evidentemente, cosa rischia? Qual è politicamente lo stato di salute di Berlusconi?

Io credo che lo stato di salute sia incerto per tutti oggi, non solo per Berlusconi. In Italia è un attimo  salire nei sondaggi e  crollare il giorno dopo, dato che l’elettorato italiano si è fatto volatile: un giorno si vota per uno e un giorno per un altro. Mi ha sorpreso Salvini quando ha detto di poter governare per trent’anni: non credo sia possibile. Le partite in questo paese sono in qualche modo sempre aperte per tutti…

Anche per Renzi la partita è ancora aperta?

Quella sinistra lì ha un certo radicamento e Renzi è riuscito a bruciarsi l’attaccamento a quella base elettorale. Detto questo, è impossibile fare previsioni sul futuro e a mio avviso, come nei Mondiali di calcio che stiamo vedendo in questi giorni, può succedere di tutto. L’unica certezza è che i voti sono in prestito, non esistono più grosse fette di elettorato che regalano a prescindere il proprio voto ad una parte politica. Quindi non è detta l’ultima parola per Berlusconi e men che meno per Renzi.

Toni, parliamo un po’ di lei che ne ha viste di tutti i colori e ha raccontato il mondo a questo paese mai troppo conscio di ciò che vi è al di fuori dei confini. Ci racconta un episodio OFF della sua vita che l’ha portato a imboccare la strada che l’ha portata qui oggi?

Ho avuto molti snodi nella mia vita, episodi OFF come hai detto tu, mi è difficile quindi individuarne uno in particolare; se dovessi dirti del momento in cui la mia vita è cambiata, ti direi però certamente del terremoto in Friuli. Ho dormito per un mese in tenda e dopo quell’esperienza, eravamo nel 1976, Lotta Continua, che all’epoca era solo un giornale (non esisteva più il movimento politico), mi chiese di andare in Montenegro a raccontare il terremoto da poco accorso da quelle parti. Lo chiesero a me non in quanto giornalista, che ancora non ero, ma in quanto terremotato. Da lì capii che mi sarebbe piaciuto vivere scrivendo e raccontando storie e, soprattutto, farlo viaggiando.

Ultima cosa: ci dice due parole sulla decisione dell’amministrazione milanese di piazzare alla commissione Cultura la consigliera dem Sumaya Abdel Qader? Decisione su cui lei ha avuto più di una perplessità se non sbaglio, come molti altri.

Naturalmente penso che portare il velo sia un diritto inviolabile e che non ci sia niente di male poiché non preclude nulla, compreso il buon impegno politico. La mia perplessità è legata al fatto che è stata messa proprio alla cultura; non avrei detto nulla se fosse stata nominata – invento –  “assessore al traffico”, andava bene qualunque cosa. Ritengo altresì che questa persona alla Cultura non rappresenti realmente la storia, la cultura e le radici, nonché le molte sfaccettature della cultura milanese e italiana. La cultura è inevitabilmente pluralità di scelta e via così, sia chiaro, ma pur detto questo rimango dubbioso sulla scelta di mettere una donna che ha un background di quel tipo e ha scelto volontariamente di portare il velo, a rappresentare le nostre radici. Non ci credo molto, tutto qui. Mi sembra una provocazione, specie in un momento come questo.

Sumaya Abdel Qader ha poi ritirato la propria candidatura alla Commissione Cultura [n.d.r.]

LEGGI ANCHE: E se alla Cultura di Milano mettessimo un assessore con il velo?

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Emanuela Folliero: “E’ finita l’epoca di Stranamore”

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E’ stata il tramite tra il popolo e la televisione. Ha fatto l’attrice, la presentatrice, la modella. E’ Emanuela Folliero, una donna bella, intelligente e simpatica, ma di cui si sa poco. E ora che è finita l’epoca delle annunciatrici, conosciamo meglio Emanuela Folliero come donna, come persona.

La notizia è finita su tutti i giornali: ultimo annuncio di Emanuela Folliero su Rete 4. E’ finita un’epoca, ma in realtà non la stai vivendo un po’ anche come una liberazione?

No, perché dopo ventotto anni è difficile viverla come una liberazione. E’ stata un’esperienza bella, significativa, che ha segnato anche la mia vita privata. Ho lavorato con persone di cui ho seguito anche le evoluzioni amorose, i loro cambiamenti. E’ stata quasi una telenovela. Era un appuntamento quotidiano per la gente, ma anche per me.

Questo cambiamento è stato un segnale dei tempi che mutano nell’epoca di internet? Non c’era più bisogno di una persona da ascoltare che ci guidasse, che ci raccontasse cosa avremmo visto alla TV?

E’ un cambiamento dovuto ai tempi e al restyling della Rete. Ovviamente lo sapevo da tempo, ma non potevo dire niente. Rete 4 non si rivolgerà più alle famiglie e alle persone di una certa età, sarà più come La 7, si occuperà di politica et cetera e la figura dell’annunciatrice non aveva più molto senso. Ma essendo una donna Mediaset, mi hanno rinnovato il contratto in esclusiva e da settembre parleremo di un nuovo programma.

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A parte questa questione, tu sei uno di quei volti che ci ha accompagnato negli anni, ma sappiamo poco di Emanuela come persona. Per esempio, cosa sognavi da piccola? Cosa volevi fare da grande?

Volevo fare la grafica pubblicitaria. Ho fatto il liceo artistico, ho lavorato per un po’ in questo settore, nel mondo della fotografia, e poi un po’ per caso, un po’ per esibizionismo, -anche se un po’ inconsciamente, perché in realtà ero molto timida- ho frequentato una scuola di dizione e di recitazione e da lì mi sono trovata nel mondo dello spettacolo. Anche se c’è una registrazione di quando ero piccola, a circa otto anni, dove sto leggendo a mio fratello i programmi del giorno sul Corriere.

Insomma, era destino!

Uh mamma! [ride, ndr] Non me lo ricordavo questo video e quando l’ho trovato mi ha fatto molto sorridere.

Emanuela nella vita privata com’è, di cosa si occupa?

Intanto ho un bambino di dieci anni e mi occupo molto di lui, lo accompagno a basket, alle partite, e meno male che fa basket e non calcio, così non prendo la pioggia. Scrivo anch’io su Il Giornale, faccio la spesa, faccio tutto!

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Immagina di avere la possibilità di tornare indietro e di ricominciare da zero: pensi che avresti fatto delle scelte diverse?

Credo che ci siano dei percorsi che uno segue senza neanche accorgersene e che quindi tutto ti fa andare verso quella strada. Ci ho pensato e credo che la mia strada fosse questa.

Ma alla fine, perché si ambisce al successo, a entrare nella televisione?

Guarda, quando ho iniziato io non c’era la spinta dell’autografo, la spinta di esserci a tutti i costi. Ora ci sono i selfie, io e le mie colleghe abbiamo iniziato perché ci piaceva farlo, non per i soldi, quella è una cosa che è venuta dopo. Era una sfida, c’era il gusto di andare ai provini e di ricevere la porta in faccia. Era formativo, c’erano i sì e i no, e ce la facevi se eri bravo. Adesso invece c’è quest’ansia di apparire per un quarto d’ora che secondo me crea dei danni. E’ tutta apparenza, non c’è sostanza, trent’anni di carriera non li fa più nessuno.

Infatti, immaginati ventenne a fare l’influencer. Lo faresti?

No, no, no! Non potrei… Oddio, potrei, troverei sicuramente la mia strada. Ci sono giornaliste che lo fanno, però sono scorciatoie, fumo negli occhi. Perché poi trovi sul Corriere quegli articoli dal titolo “Che fine ha fatto tal dei tali…”, ed è un attimo fare una brutta fine se non hai una base psicologica solida.

Un episodio OFF degli inizi della tua carriera o anche più recente che nessuno sa? Qualcosa di scabroso!

Boh! Beh, che anch’io sicuramente ho trovato persone di serie A e serie B. Io vengo da una famiglia che non mi ha mai sostenuto, ma che non mi ha mai ostacolato, però quando si presentava una situazione strana io avevo la parolina magica: “Mio papà è avvocato.” E sparivano.

Quindi sei una di quelle che ha saputo difendersi, che non ha subito…

No, sono anche scappata una volta. Vorrei ricordami il nome di quell’uomo… Facevo ancora la modella, e questo qui si è messo a toccarsi davanti a me. Mi disse di togliermi gli slip e allora mi guardai in giro per capire dove fosse la porta. Eravamo in un sotterraneo. Gli dissi di portarmi un bicchier d’acqua, lui andò a prenderlo e io sono scappata via con la mia borsetta con dentro i trucchi, sono andata alla mia agenzia dell’epoca, ho raccontato tutto, e poi mio padre gli mandò una lettera… Mamma mia, lo ricordo come fosse ieri, però serve, serve tutto, perché aumenta la capacità di riconoscere il tipo di persona che hai di fronte dopo poco. E’ pieno di questi tipi.

Come vedi, in quanto donna, Salvini e Di Maio?  

Ah! Che domanda prima di mangiare! [ride, ndr]. Se si mettessero d’accordo saremmo tutti più felici. Mi può piacere uno o l’altro. È l’Italia che deve stare attenta a non fare brutta figura soprattutto all’estero, non dobbiamo diventare ridicoli. Abbiamo l’Italia che è un patrimonio, quindi che si mettessero d’accordo. Salvini l’ho incontrato, l’ho conosciuto, non me l’aspettavo così alto ed è molto meglio dal vivo che in foto. Sceglierei lui. Di Maio è troppo perfettino. Salvini è più sexy, dai… [ride, ndr]

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Una tua grande paura?

Una cosa per cui mi prendono in giro è che quando attraverso sembro un vigile urbano: ho il terrore di finire sotto una macchina. Giuro! Sarà perché una volta mi stavano tirando sotto sul marciapiede. Un’auto stava uscendo da un passo carraio e mio figlio Andrea, per fortuna, e per caso, ha fatto un salto e ha evitato di finire contro il muro. Non sai cosa non ho detto a questo, gli ho preso a calci la macchina! Una volta ho pure buttato giù dalla bici una signora tutta chic che è sbucata dal marciapiede. Io ero davanti a lui e sono riuscita a impedire che fosse investito perché ho tirato un calcio alla ruota della bici e questa è finita per terra. E le ho detto: ben ti sta! Resta lì! E mi son trattenuta perché c’era mio figlio che poi si spaventa. Era una tutta pomposa, di quelle che dovrebbero “firmarsi” di meno e usare di più il cervello. Sono brava e cara ma se mi fai arrabbiare… Basta, non mi contengo.

Un rimpianto e una grande soddisfazione.

Un rimpianto sicuramente è quello di aver visto finire Stranamore, che mi piaceva molto. La più grande gioia è stata aver avuto a quarantuno anni Andrea, capolavoro assoluto, con tutte le ansie che comporta. Questo, questo in assoluto, su tutti i soldi, i lavori, le proposte!

Che futuro ti aspetta?

Adesso che posso parlare mi sono arrivate varie proposte, non televisive perché tanto rimarrò a Mediaset. Ho avuto delle proposte da parte di alcune radio ma devo capire se gli orari andranno bene avendo anche un bambino di cui occuparmi. Mi piacerebbe tornare in radio, anche perché ho fatto Radio Italia per sei, sette anni, ed è stata una bella esperienza. Dicono che la mia voce sia molto riconoscibile. Ho varie serate nell’immediato. Nella prossima stagione, anche se sono un po’ marchiata a fuoco come volto di Rete 4, potrò spaziare un po’ sulle altre reti o, perché no, di nuovo su Rete 4. Credo, anzi, sicuramente farò un programma, visto che ho un contratto! [ride, ndr]

Ma sì! Vedrai che sarà una nuova vita!

Sì, non ti so dire ancora quale rete e che programma, non ti dico una bugia, lo saprò i primi di settembre. Adesso c’è il restyling della Rete e non mi avvicino neanche, li conosco!

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Rettore: “Certe offese mi hanno segnata”

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Make up Gennaro Marchese

Donatella, Kobra e Splendido Splendente sono solo alcuni dei titoli che hanno fatto la storia della musica italiana. Animo rock, una grinta e una voce da far paura e uno stile inconfondibile. Tutto questo e molto altro ancora è Rettore!

Nella tua vita cosa è splendido splendente?

Io sono un’ottimista per natura e mi piacerebbe che tutto fosse splendido splendente, ma non sempre va così.

Non hai mai negato il fatto di preferire Rettore al tuo nome, Donatella. Perché?

Agli inizi della mia carriera ebbi un grande successo nei paesi del nord: Germania, Belgio, Francia, Olanda, Austria, Svizzera. Lì, per tutti ero Donatella. In Italia scelsi di cambiare e chiamarmi Rettore per scaramanzia. Mi è andata bene!

Ci racconti un aneddoto OFF della tua carriera?

E’ legato ai miei esordi ed è qualcosa che mi ha fatto molto male. Venivo dal Veneto e, un po’ per il mio accento “polentone”, un po’ per i miei chili di troppo, non ho ricevuto sempre complimenti. Le offese e le vessazioni ti segnano.

Sei considerata un’icona gay. Cosa pensi delle dichiarazioni del Ministro Fontana sulle famiglie arcobaleno?

Gratuite e fuori luogo. Però i gay mi hanno apprezzata in seguito. Io sono sempre stata molto amata dalle donne.

Diretta e schietta, hai mosso critiche verso tuoi colleghi e colleghe. La sincerità paga?

Assolutamente no. Meglio lasciare le critiche ai critici, anche se a onor del vero nelle mie non c’è mai stata cattiveria e le ho sempre mosse contro i forti e mai contro i deboli.

Gli animali, che tu ami moltissimo, possono essere considerati i deboli, gli indifesi. Cosa ti senti di dire in merito?

Che chi non ama gli animali non ama le donne, non ama le minoranze, non ama le diversità. Tutelare i più deboli è un dovere di tutti noi. Non lo dico solo alle istituzioni, ma al genere umano: dobbiamo salvare gli animali, il mare, la terra. Dobbiamo salvare noi stessi.

Make up Gennaro Marchese

Da La Fattoria a Tale e quale Show, dove ci hai regalato un’interpretazione magistrale di Gabriella Ferri …

Pensa che non me la volevano far fare. In tv oggi si tende a ripetersi. Compriamo format dall’estero e abbiamo poca creatività. Un tempo non era così. La musica era più protagonista e univa le famiglie.

Parteciperesti ancora a un reality show?

Premetto che La Fattoria mi ha reso più forte. E’ stata una bella esperienza, seppur difficile. Parteciperei ad un reality se fosse qualcosa di nuovo. Io sono per le “prime”.

Domani. Che sentimenti suscita in te questa parola?

Penso che per poter vivere bene domani, bisogna costruire oggi. Ti potrei dire carpe diem, ma preferisco dirti di concentrarti sull’ora e adesso.

Cosa ne pensi di questo nuovo Governo?

Bisogna tifare per il nuovo governo sperando che lavori bene. Conte mi è simpatico e Di Maio pure. Salvini è un po’rigido, ma in questo momento male non fa.

Progetti futuri?

Come ti ho detto, sono un po’ scaramantica, ma c’è qualcosa che mi vedrà legata alla musica e al cinema in una veste tutta nuova. Di più non posso dire.

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Da Csi ai Soprano l’orgoglio italiano di Sofia Milos

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Sofia Milos ilgiornale off emanuele beluffi luca forlanio syloslabiniSabato sera, 14 luglio, l’attrice italiana Sofia Milos è stata insignita del premio Eccellenze a Capri nella splendida cornice dell’isola più amata del Golfo di Napoli. La cerimonia si è svolta al Grand Hotel Quisisana.

Nei primi anni Novanta Sofia Milos, una giovane ragazza di origine lucana nata da genitori emigrati in Svizzera, a Zurigo – dove ha studiato Economia e Commercio – si trasferisce prima a New York e poi a Los Angeles. E lì trova l’America, è proprio il caso di dirlo.

Negli anni raggiunge il suo sogno di diventare un’affermata attrice italiana internazionale. Recita in ben otto serie televisive da protagonista (tra cui Csi Miami, I Soprano e Criminal Minds) e oltre dieci film.

«È un vero piacere per me essere qui questa sera nella magica isola di Capri. Una delle isole più belle al mondo, che ha ospitato le più grandi dive del cinema. Sono orgogliosa di ricevere questo premio all’eccellenza italiana nel mondo. – ha detto Sofia Milos durante la premiazione – Mentre venivo qui stasera ripensavo a tutte le avversità che ho dovuto affrontare agli inizi da italiana all’estero, comprese le battute sul nostro accento. Devo ringraziare la mia infaticabile tenacia e la mia inarrestabile curiosità che mi hanno permesso di non smettere mai di studiare, né di sognare.

Questo premio “premia” quella sana incoscienza che mi ha spinto, appena diciannovenne, ad andare dall’altra parte del mondo. Dopo aver avuto la possibilità di girare tante serie e tanti film da protagonista all’estero, ora sono estremamente felice di essere premiata nella mia terra. Perché mi sono sempre sentita un’attrice italiana!».

Sofia Milos rappresenta un’eccezione perché nella maggior parte dei casi gli attori italiani (anche illustri) che hanno lasciato la terra natia per gli States non hanno mai ottenuto il successo sperato. Per ricordare storie felici bisogna tornare indietro con la memoria di almeno cinquanta/sessant’anni; erano gli anni d’oro del cinema italiano e le nostre dive incantavano il pubblico di tutto il mondo.

Nel 1956 Anna Magnani vinceva l’Oscar come miglior attrice per la sua interpretazione ne La rosa tatuata di Daniel Mann, e nel 1962 l’ambita statuetta veniva consegnata nelle mani di Sofia Loren per la sua struggente interpretazione ne La Ciociara, capolavoro tutto italiano tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia e diretto da Vittorio De Sica. Poi, molto poco.

I suoi occhi ricordano quel mare del sud Italia che l’ha tanto cullata e la sua bellezza prorompente l’ha resa un’icona di bellezza e fascino. Sofia Milos è in Italia non solo per ritirare il Premio a Capri ma anche per stare un po’ con sua mamma. Uno degli aspetti positivi dell’essere artista oggi è che non ci sono confini, basta un video provino o un colloquio via Skype per stare in contatto (e lavorare) con tutto il pianeta. E chissà che Sofia non possa regalare nuove interpretazioni nel Paese che l’ha allevata. Sicuramente lei rappresenta un grande orgoglio nazionale. Un raro esempio di trasferimento dall’Italia all’America con epilogo positivo.

Sofia Milos ilgiornale off emanuele beluffi luca forlanio syloslabiniChe cosa le ha suscitato ricevere questo riconoscimento in patria?

Soddisfazione e orgoglio. Ancora ricordo quando a 19 anni mi sono trasferita a New York. All’epoca facevo la modella. Nonostante la giovane età, quel lavoro mi aveva già portato a viaggiare in tutto il mondo: Milano, Tokyo, Parigi. Stavo avendo successo nel mondo della moda anche grazie a copertine per riviste importanti come Vogue Italia. Il lavoro di modella iniziava però a starmi stretto, perché era troppo basato sull’estetica. Io ho sempre avuto molta creatività e una fascinazione per tutto quello che era arte. Disegnavo, dipingevo , e capii che la recitazione sarebbe potuta essere la strada giusta. E’ stata un’emozione ricevere questo premio nella mia terra, ma ancor di più perché è un riconoscimento al “genio italiano nel mondo”. Sono orgogliosa di aver tenuto alta la bandiera italiana. E spero di avere l’opportunità per continuare a farlo.

Non solo premiazioni, è in Italia per stare un po’ con la sua famiglia davvero speciale

Sì, la mia famiglia vive qui in Italia tra Roma e la Basilicata. Torno spesso qui. Si sta molto bene, mi piacerebbe passarvi più tempo e questo farebbe molto piacere a mia madre. Questo farebbe piacere anche a me, perché è anche un’ottima cuoca, è stata la mia prima insegnante. Sto passando molto tempo con lei. Inoltre sono andata a trovare mia nonna, che ha 106 anni ed è trisnonna. E’ nata il giorno di Natale, per questo si chiama Natalina, ha partorito 12 figli. E’ una donna fortissima, è sopravvissuta a molti figli, compreso mio padre che è venuto a mancare 13 anni fa. Una vera matriarca, una donna dolce e forte. Quello che ho sempre ammirato di lei è la capacità di farsi ascoltare da tutti senza dover mai alzare la voce. Ogni volta che la vedo mi dice: “t’ho sempre voluto bene”.

Cosa le ha insegnato una donna come sua nonna?

A pensare sempre al futuro. Nonostante l’età avanzata continua a pensare al domani. Quando l’ho vista qualche giorno fa le ho chiesto: “nonna, cos’è secondo te la bellezza in una donna?” e lei ha risposto: “quello che sei tu. Essere se stessi”. E’ una donna saggia e di carattere. Ama il buon cibo e si vanta di bere due bicchieri di vino rosso al giorno, e devono essere pieni sino all’orlo.

Il suo nome le ha portato bene. Sophia Loren è stata una delle poche attrici italiane ad avere successo oltreoceano. Ha rappresentato un modello a cui ispirarsi?

Sicuramente sì. A Los Angeles ho interpretato in teatro Filumena Marturano di Eduardo De Filippo, testo da cui Vittorio De Sica ha tratto Matrimonio all’italiana. E’ un’attrice immensa e per me fonte inesauribile d’ispirazione. Non posso però non citare Anna Magnani. Ho portato in scena per due volte La rosa tatuata. E se in passato ho interpretato Rosa, lo scorso anno ho avuto l’onore di interpretare il ruolo che fu di Anna Magnani. Un’emozione indescrivibile.

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Afferma con orgoglio che, nonostante il successo raggiunto, non ha mai smesso di studiare.

Nei primi anni ’90, appena arrivata negli Stati Uniti ho iniziato a studiare con Milton Katselas al Beverly Hills Playhouse e nonostante già stessi lavorando non ho mai abbandonato lo studio. E’ un coach che ha influito tantissimo sulla mia vita. Da lì sono usciti molti attori importanti di Hollywood, come George Clooney e Michelle Pfeiffer. Ora da qualche anno studio con Ivana Chubbuk che è molto considerata a livello internazionale. Bisogna sapersi mettere continuamente in gioco, provare, sperimentarsi. Attraverso lo studio e l’allenamento costante posso cercare nuove sfaccettature. La vita cambia continuamente e l’artista deve avere umiltà e un’instancabile curiosità per poter volare alto. Deve avere il coraggio di guardare la vita da punti di vista sempre nuovi. Il messaggio più bello che un artista può trasmettere al suo pubblico è quello di non stancarsi mai di rinnovarsi e di lasciarsi ispirare dall’arte.

Sia nel cinema che nella sua famiglia le donne che l’hanno ispirata hanno tutte carattere e personalità.

Sì, prima che le grandi dive del cinema italiano la forza di mia madre è stata per me una grande fonte d’ispirazione. Anche nel lavoro ho sempre preferito interpretare ruoli di donne forti. Donne forti che non abbandonano la loro femminilità. Mi piacciono le donne che sanno tenere testa agli uomini senza perdere classe ed eleganza. Il mio primo lavoro importante è stato Cafè Americain e sono stata la prima straniera ad avere un ruolo costante in una serie tv americana. Spesso, purtroppo, il forte accento straniero può essere un ostacolo. Io credo di aver fatto un po’ da apripista. Poi sono arrivati ruoli da coprotagonista come la detective Yelina Salas in Csi Miami o il boss della camorra Annalisa Zucca ne I Soprano. In entrambi i casi il pubblico ha apprezzato vedere una donna destreggiarsi in lavori generalmente maschili. E io mi sono divertita tantissimo. Ma non finisce qui, vorrei continuare a raccontare la forza e il coraggio delle donne italiane, magari recitando in italiano, la mia lingua.

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Moto, rock e tatuaggi: ecco la tigre, Roberta Bruzzone

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Ph. Andrea Chiarucci

Roberta Bruzzone: criminologa, psicologa forense ma anche scrittrice, opinionista e presentatrice tv. E’ balzata al centro dell’attenzione mediatica per aver trattato i più importati fatti di cronaca nera italiana degli ultimi anni (in primis Il delitto di Avetrana).

Tra le tante iniziative ha recentemente fondato A pista fredda, associazione dedicata all’aiuto delle famiglie vittime di casi rimasti irrisolti.

Mi racconta un episodio OFF degli inizi della sua carriera?

Episodi OFF, visto di ciò di cui mi occupo, è un po’ difficile trovarne…

Perché ha deciso di fare questo lavoro?

Ho seguito una predisposizione naturale. Sono sempre stata una bambina in qualche modo molto incuriosita da quello che succede nella testa delle persone e ho trasformato questo interesse nella mia professione, unendo competenze di natura psicologica (sono una psicologa) a competenze di tipo scientifico-forense. E devo dire che questo tipo di impostazione ha dato ottimi frutti.

Lei ha lavorato ai più importanti fatti di cronaca. C’è qualcosa che accomuna i criminali?

Quelli di cui mi occupo io -quindi parliamo di soggetti che per lo più uccidono all’interno della propria sfera di relazioni  affettive e familiari), hanno un comun denominatore rappresentato dalla presenza di tratti narcisistici maligni. Questo tipo di personalità è correlato a una serie di comportamenti che con molta facilità possono sfociare nel crimine o nell’esercizio di potere sull’altro. Questo è sicuramente uno scenario molto comune tra gli assassini che ho avuto modo di esaminare in questi venti anni.

Cosa si impara da questi casi?

Ad avere poca fiducia nel prossimo, probabilmente. Il mio non è un lavoro che ti aiuta in qualche modo a non fidarti delle persone, perché dopo tanti anni, in qualche modo, ti sei addestrato a cogliere anomalie, incongruenze…io sono abituata a mettere in discussione sempre quello che mi viene detto, perché nel mio lavoro spesso e volentieri i casi si risolvono proprio agendo in questo modo. Si impara a tenere alla larga la maggior parte delle persone. Devo ammetterlo, purtroppo: le emozioni che popolano la mente della maggior parte delle persone sono spesso negative. Ho avuto modo di verificare negli anni quanto possa fare male l’invidia, a quali tipi di condotte possa portare in qualche modo la gelosia. E devo dire che spesso riconosco nelle persone  aspetti di questo genere.

Ph. Andrea Chiarucci

Lei è mai stata oggetto di invidia?

Sì, sono stata e sono spesso oggetto dell’invidia della gente e vittima di menzogne e calunnie di vario genere da parte di alcuni soggetti piuttosto miserabili.

Perché la invidiano?

Io genero invidia per una serie di ragioni che riguardano sia la mia enorme visibilità mediatica che il particolare e difficilissimo tipo di professione che svolgo, con grande successo, da molti anni, ma anche per la mia vita sentimentale e per tante altre cose. Ormai non ci faccio nemmeno più caso. Del resto, in effetti, che io possa scatenare una profonda invidia è comprensibile date le circostanze.

Dopo aver lavorato a numerosi casi, spesso efferati, agghiaccianti, come è cambiata rispetto agli inizi della sua professione?

Davanti a questo tipo di scenari, ogni volta diversi, ogni volta terribili, l’emozione viene ovviamente contenuta. Le emozioni non sono delle buone consigliere, soprattutto per chi fa il mio lavoro. Non credo di essere molto diversa dalla criminologa che ha iniziato venti anni fa. Sono sempre la stessa persona dal punto di vista dell’impegno e della determinazione. Indubbiamente, il lavoro e l’esperienza sul campo mi hanno dato la possibilità di difendermi maggiormente da certe situazioni, perché, soprattutto quando le vittime sono bambini, è veramente difficile contenere l’aspetto emotivo.

Ph. Andrea Chiarucci

Nel suo lavoro deve mantenere una certa distanza emotiva. Nella vita invece cosa la emoziona?

Sono una persona che si emoziona abbastanza facilmente nella vita di tutti i giorni. Mi emoziona un gesto di gentilezza, ma anche andare in moto, che è la mia principale passione extra-lavorativa, il rapporto con i miei animali domestici e la mia vita sentimentale. La corazza la indosso solo quando serve.

E quando non lavora indossa il casco. Come è diventata un’harleysta?

Solo recentemente lo sono diventata,vengo da un’esperienza di molti anni in Ducati. Ho fatto questa scelta per amore, un anno fa. Con mio marito abbiamo iniziato a girare per il mondo con l’Harley. Così ho cambiato tipologia e modo di andare in moto, ma non potrei mai separarmi dalla motocicletta.

Come è nata questa passione per la moto?

Probabilmente è nel mio DNA. Ero piccolissima e per me la passione per le moto e i motori è stata precoce. 

Ph. Andrea Chiarucci

Moto, rock e un tatuaggio con una tigre. Cosa la accomuna a questo animale?

Tutto: non sono mai stata un soggetto da branco. L’autonomia, e la capacità di tirar fuori gli artigli quando serve senza lasciare scampo…credo proprio di riconoscermi completamente in questo animale. Probabilmente in qualche altra vita appartenevo a quella razza felina, chissà!

In genere la passione per la moto si lega bene a quella per il rock; è così anche nel suo caso?

Non ascolto molta musica perché purtroppo non ho tempo, ma quella che preferisco è sicuramente il rock americano anni ‘60 e ’80, come quello  dei Guns N’ Roses, dei Queen e degli Eagles.

Qual è il prossimo viaggio che farà in moto?

Io e mio marito fra agosto e settembre andremo in America, faremo un bel pezzo della leggendaria Route 66 da Chicago e poi andremo a festeggiare il 115 anniversario della Harley Davidson nella casa madre a Milwaukee.

Ha da poco festeggiato un anno di matrimonio: le piacerebbe avere dei figli?

No, è una scelta che ho fatto anni fa. Con quello che ho visto nel mio lavoro in questi anni non me la sento di mettere al mondo qualcuno in questo mondo. E’ una scelta di assoluta consapevolezza.

Lei è credente?

Io sono convinta che l’anima sia qualcosa di indefinibile e che ci sia un altro piano energetico altamente probabile. Sono uno scienziato empirico, quindi sono qui, su questo pianeta, e mi baso su quello che vedo e che posso toccare. Indubbiamente ritengo che possa esserci qualcosa oltre la vita. Forse in qualche modo me lo auguro. Certo che se esiste un Dio, io lo vedo piuttosto distratto.

Ph. Andrea Chiarucci

Eccelle nel suo lavoro, ma in cosa è veramente una frana?

Non vorrei sembrare presuntuosa, ma tutte le volte che mi sono cimentata a fare qualcosa sono riuscita a farla sufficientemente bene. Per me è una questione di impegno, se mi metto a fare una cosa, di solito a farla bene ci vuole poco tempo.

Il 24 luglio uscirà il suo nuovo libro sul caso di Nada Cella…Perché ha deciso di scrivere su questo delitto?

Io incontrai la mamma di Nada Cella due anni fa. Questa storia mi aveva colpito già dal ‘96, seppure non sia stato mai un delitto che ha riscosso un grande interesse mediatico. Questa storia è rimasta lì nel dimenticatoio, ma io non l’ho mai dimenticata. Ho avuto la possibilità di conoscere la mamma di Nada che mi ha dato l’opportunità di accedere agli atti. È stato difficilissimo avere accesso al fascicolo, perché abbiamo dovuto cercarlo ovunque. Ci sono voluti quasi tre anni per avere l’accesso completo a tutti gli atti che sono ancora disponibili, però non ho voluto mollare la presa perché ritengo che questa storia vada raccontata con foto, e sono molto contenta di essere riuscita a terminare questa opera, insieme ai miei collaboratori, perché credo che questa storia possa riservare ancora qualche sorpresa. Per me i casi ‘a pista fredda’ sono da sempre una grande fonte di interesse, infatti ho creato recentemente anche un’associazione insieme ai miei collaboratori che si chiama proprio “A pista fredda” e che dedichiamo all’aiuto delle famiglie che sono purtroppo vittime di casi rimasti irrisolti. Il caso di Nada Cella è la prima opera che nasce all’interno dall’associazione con l’obiettivo di dare a queste famiglie forse l’ultima chance di avere verità.

Nel libro di Nada abbiamo fatto una ricostruzione chirurgica e, a mio modo di vedere, abbiamo anche fornito nuovi spunti investigativi mai percorsi in precedenza. Speriamo possa essere d’aiuto per poter finalmente arrivare a dare un nome e un volto all’assassino di questa ragazza. Una copia del libro verrà omaggiata al Procuratore Capo della procura di Genova sperando che possa trovare interessante la lettura. Per me è proprio una sorta di interesse costante perché non tollero che qualcuno possa farla franca. È qualcosa che mi suscita una reazione interiore molto potente, molto profonda, e se posso dare un aiuto lo faccio volentieri. Infatti, una buona parte della mia attività è proprio finalizzata a ricostruire casi di questo genere. Mi auguro che questo libro possa essere d’aiuto per la famiglia in particolare.

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Enzo Gragnaniello: “Mia Martini ha rappresentato le mie viscere”

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Adnkronos

Enzo Gragnaniello si racconta a OFF in occasione del suo nuovo tour che quest’estate lo porta in giro per l’Italia. Artista fuori tempo perché del tempo gli interessa l’assoluto, l’eterno, ciò che rimane nel profondo. La vena della vita che pulsa e stravolge le viscere. Un artista che è passato attraverso diverse sperimentazioni musicali senza dimenticare la tradizione e la sua origine. Una biografia che si mescola al territorio in un impasto sonoro unico. Primordiale e cristallino allo stesso tempo.

Che cosa rimane oggi della tradizione della musica napoletana?

La canzone napoletana non è un genere. E’ innanzi tutto istinto, parte dagli umori. È come un pranzo napoletano: è questione di gusto, di sensazione. Attraverso gli umori devi scoprire l’anima. Non morirà mai questa radice pulsante della musica perché ci saranno sempre persone “di margine” che sapranno farla vibrare.  

I cantanti moderni, anche i più giovani, sono spesso lontani dalla musica napoletana. Non basta usare la lingua napoletana. È questione di umori.

La tradizione napoletana è quasi primitiva, primordiale. Mescola sacralità e sciamanesimo. Ricordiamoci che la musica napoletana una volta serviva per curare i malati e i nostri cantori erano stregoni. Questa è la tradizione. Tutto il resto è di passaggio.

Come nasce il testo della sua musica?

Come nasce non lo so. Parto dall’invisibile, da quello che sento. Cerco di creare dei simboli e di parlare alle viscere. La razionalità mi serve solo per perfezionare il linguaggio. Io non sono andato a scuola, la mia maestra è stata la chitarra. Sono nato per questo, per esprimere emozione. Per questo la mia musica non tratta l’attualità in senso stretto perché a me interessa l’essenziale dell’uomo, ciò che affonda dentro. La cronaca, la contemporaneità, sono momentanee. Io cerco una voce che risuoni a lungo.

Come quella di Mia Martini. Per lei 35 anni fa scrisse Donna, canzone in realtà più che mai attuale.

Si. Lei era un’artista che sapeva rappresentare le mie viscere. Quando l’ho incontrata era in un momento buio della sua carriera. L’ho ascoltata cantare e ho scritto di getto, ho messo in parole il suo dolore. Mia Martini si immergeva nel male e nel bene. Era sempre totale. La sua voce era una radiografia, riusciva a mettere a nudo, a sviscerare la vita, la luce e il buio più profondo. Era come una meravigliosa malattia invisibile. Per pochi.

Le manca?

Moltissimo. Nessun artista esiste oggi a quel livello; forse sono io che non li conosco. Perché quelli come lei devi andare a cercarli, come un cane da tartufo.

I suoi nuovi progetti musicali? Ci dà qualche anticipazione?

Interessante il progetto musicale che ho fatto con i Solis String Quartet, In viaggio coi Poeti. La mia voce e la forza degli archi insieme per richiamare alla memoria la più alta tradizione musicale. Da Piazzola a Brel e Cohen.

A breve uscirà il nuovo disco. Sono tanti frammenti che parlano della nostra vita, non della società. Io vorrei la dimensione dell’uomo che non c’è. E così cerco di evocarla nella musica. Come sfida culturale. Con uno sguardo che va oltre.

Il titolo?

Bisogna ascoltare l’insieme completo dei frammenti. Poi verrà da solo. La mia musica è come Napoli. Per vederla devi chiudere gli occhi.  

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