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“Le donne? Intelligenti o mignotte”. Auguri al mito Franca Valeri

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franca valeri rilancio

“Io sono molto ben voluta e mi chiedo perché. Poi riflettendo qualcosa ho fatto: ho taciuto molto. E non è poco”. Oggi 31 luglio, compie la bellezza di 98 anni. Classe 1920, la mitica, Franca Maria Norsa, in arte Franca Valeri, si racconta in questa intervista cult a OFF di pochi anni fa. Vita e carriera di una delle più grandi attrici italiane di sempre. Molto difficile anche per le nuove leve della comicità di oggi raggiungerla. Artista dalla raffinata intelligenza, Franca possiede una genuina sincerità, che in pochi si possono permettere; la sua autoironia è una lezione per tutti noi. (Redazione).

Franca, ci racconta un episodio Off di inizio carriera?

Prima del matrimonio con Vittorio Caprioli, il prete – presagendo evidentemente qualcosa – ci disse: «Avete già gli anelli?». Stavo per mostrargliene uno semplice, con brillante, ma Vittorio corse alla merceria di fronte e ne acquistò uno da tenda. L’ho conservato per molti anni, anche dopo il divorzio.

Una storia d’amore, quella con Caprioli, nella quale non sono mancati i tradimenti.

E pensi che con lui è durata soltanto dieci anni. Con Maurizio Rinaldi, invece, ho trascorso trent’anni. Non sono mai scappata da casa o fatto scenate isteriche. Ero molto infastidita dai tradimenti dei miei mariti, lo ammetto, ma ho saputo tollerare.

Perché?

Quello che vivevamo in privato era unico, indescrivibile. Andava oltre gli incontri fugaci con le altre donne.

Cosa l’ha dirottata verso la recitazione?

Credo di essere nata con il gene dell’attrice. Già da piccolissima mi dilettavo a recitare seduta sul tappeto di casa. I miei genitori intercettarono subito che ero un’esibizionista. Da mia madre ho preso la comicità estrema, da mio padre l’ironia un po’ spietata.

Oggi, insieme a quella del giornalismo, la professione dell’attore è quella più abusata.

Eh, ma senza la sostanza – in entrambi i casi – non si va da nessuna parte. Non si può mica barare sul talento.

Sua madre diceva: «La Franca non è bugiarda, ma reticente».

Già. Ho usato questa frase per dare il titolo alla mia autobiografia. Mamma sperava che dicessi sempre qualcosa di più, che straparlassi; invece no. Dico sempre quel che conta, mai una parola di troppo.

La disciplina della reticenza è ormai una dinamica dei primi Novecento.

Ah… Detesto quella continua celebrazione di se stessi, soprattutto in televisione. Ma credono davvero che al pubblico possa interessare?

Avviene anche sui social network, che lei – con molta probabilità – ignorerà placidamente.

Sì, ne ho sentito parlare. Pare che la gente inquadri ogni attimo della propria vita: matrimoni, gravidanze e piatti di lasagne. Io non ho neppure il computer. La vita è ormai senza mistero, senza discrezione. Questi strumenti dovrebbero essere usati con intelligenza, non per stupidaggini. Che invenzione strana…

Lei però ha inventato il cabaret moderno.

Quel teatro che si studia, ma non si fa più.

E quella comicità elegante e raffinata che non tornerà più.

È soltanto una questione di scrittura: oggi mancano gli autori comici. Ci sono soltanto troppi attori. Si vedono e si sentono delle cose che rasentano l’insopportabile.

Le parolacce, per esempio?

Anche. Le parolacce e la volgarità non fanno parte della letteratura comica.

Lei le parolacce le sa dire. Ricordo una sua dichiarazione: «Gli uomini si dividono in intelligenti e cretini, le donne in intelligenti e mignotte».

La rivendico. Ma, per fortuna, gran parte dei giovani – uomini e donne – ambiscono alla cultura. Li ammiro, hanno grandi potenzialità.

Si stava meglio quando si stava peggio?

Peggio di adesso è difficile, mi creda.

Perché?

Siamo in un mondo controverso da tutti i punti di vista. Negli anni Cinquanta si emergeva per le proprie qualità. Oggi è tutto spaventosamente difficile. I giovani, purtroppo, sono costretti ad arrangiarsi. Ma sono fiduciosa perché da tutte le crisi, prima o poi, si esce.

Lei è stata sempre coraggiosa?

Abbastanza, sì. Avevo le idee chiare: non ho mai preso via traverse, non ho ricercato il guadagno facile e a ogni costo. Ho semplicemente seguito la mia passione.

Lo è ancora, coraggiosa: torna in scena a 95 anni.

Mio caro, non penso agli anni che ho. Ci pensate soltanto voi giornalisti.

In fondo, ha sempre professato la libertà.

Non riesco a immaginare il contrario. Non ho usato la libertà per imprese eroiche, ma per non tradire le mie idee e per fare quello che mi piaceva.

Ha già identificato l’erede artistica di Franca Valeri?

No. Non ci sarà. La mia storia è stata diversa da quella delle brave attrici comiche di oggi.

Se potesse mostrarmi una foto di un suo caro amico?

Difficile scegliere, ma ne prenderei una di Vittorio De Sica. Era un attore straordinario, abile a far recitare chiunque. Ne Il segno di Venere di Dino Risi, per esempio, con noi sul set c’era la giovanissima Sophia Loren, diventata poi brava per merito di De Sica.

Superati i 95 anni. Come si sente?

Molto bene, grazie. Non certo sola. I ricordi mi fanno compagnia. Ho anche degli amici speciali: i miei cani e i miei gatti. Parlo con loro, scrivo di giorno, e quando c’è da onorare il teatro salgo su un treno e torno sul palcoscenico. Senza paura.

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Jane Alexander: “Avances sul posto di lavoro? Molte. Moltissime. Troppe!”

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Tempo d’estate e al solleone dell’azzurro mare d’agosto vi proponiamo da oggi una serie di interviste cult e fresche come il cocco. Iniziamo con Jane Alexander, luminosa come il sole quando raggiunge lo zenith. E infatti da lei impareremo anche cosa voglia dire  raggiungere …il Punto J. (Redazione).

Jane Alexander, ph. Alessandro Bianchi

Jane Alexander: attrice e conduttrice britannica, naturalizzata italiana. Muove i suoi primi passi in una giovanissima La7, per poi alternarsi tra fiction, tv e grande schermo. Sensuale, elegante e schietta, soprattutto quando si parla di sesso: nessun tabù sotto le lenzuola, se con il partner si raggiunge la giusta sintonia. Sintonia che va ricercata, tanto da dispensare consigli in merito nel suo nuovo format Il Punto J! Le allusioni e l’intrigo, con lei, di certo non mancano …

Se dovessi descriverti in pochissime parole, chi è Jane Alexander?

Sono una donna, una mamma e una creativa, una compagna fedele, amante degli animali e un po’ fuori di testa.

Ci racconti un aneddoto OFF della tua carriera?

Non è proprio off, perché forse qualcuno lo ha visto nel programma Faccio cose, vedo gente,  che conducevo in diretta per Rai cinema dal Festival di Venezia qualche tempo fa ma mi piace ricordare la volta che alla domanda: “se potesse scegliere chi essere, invece di essere lei, chi sceglierebbe?“, Mario Monicelli mi guardò dritto negli occhi e mi disse: “lei, io vorrei essere lei, mandandomi  completamente nel pallone. Non lo dimenticherò mai.

La tua voce, esprime grande sensualità. Hai mai usato la tua bellezza e il tuo sex appeal per ottenere un ruolo?

No, nel senso che intendi tu, no. Ma è ovvio che se non avessi avuto questa fisicità non sarei stata vista e poi scelta per Elisa di Rivombrosa e Ginevra nel Commissario Manara, per dire. Gioco molto con la mia sensualità, ma sono anche un capricorno. Pragmatica, seria, affidabile

Dello scandalo Weinstein cosa ci dici? Ti è mai capitato di ricevere avance sul posto di lavoro?

Dello scandalo preferisco non parlare, ma do il mio completo sostegno a tutte le donne coinvolte,  a partire dalla nostra Asia Argento, che stimo moltissimo. Per quanto riguarda la avances, molte, moltissime. Troppe.

Jane Alexander, ph. Alessandro Bianchi

Il tuo ultimo lavoro Il Punto J tratta tematiche sessuali. Quanto conta il sesso nella tua vita?

Molto. Io adoro il sesso. Adoro fare l’amore con il mio compagno, ci unisce come coppia ed in un rapporto per me è fondamentale una sana vita sessuale. Sia chiaro, per sana non intendo “usuale”, nel sesso tutto è lecito, basta che siano consenzienti tutti i presenti! Con Alberto Pattaccini, il mio co-autore, abbiamo scritto Il Punto J anche perché pensiamo entrambi che si parli poco di sesso in modo naturale e che, specialmente le donne sono sempre molto sacrificate, passatemi il termine, viste ancora in modo antico e di facili costumi se scelgono di godere. Non è così. Siamo donne e il sesso lo possiamo e dobbiamo vivere bene anche noi, senza paura di essere giudicate da nessuno.

C’è qualcosa che nella tua carriera non rifaresti mai?

No. Tutto quello che ho fatto, e ne ho fatte di cose, le rifarei perché mi ha aiutata a crescere e mi ha portata fin qui.

Origini inglesi ma fin da giovanissima hai vissuto in Italia. Cosa ti manca dell’Inghilterra?

L’aplomb degli inglesi e mio papà, che però non è in Inghilterra, mannaggia!!

Jane Alexander, ph. Alessandro Bianchi

La situazione politica italiana sta vivendo un grande cambiamento. Credi che questo nuovo governo possa risollevare le sorti del Bel Paese?

Onestamente nutro dei forti dubbi a proposito, ma cerchiamo di essere ottimisti e vedere il bicchiere mezzo pieno, dai!

Un consiglio per tutti i giovani che vogliono intraprendere il lavoro nel mondo dello spettacolo?

Fidatevi solo di persone qualificate, non date mai soldi in anticipo a nessuno e studiate, studiate, studiate!

Per chiudere, cosa vorresti fare domani?

Domani? Scrivere. Ho una bella idea, un giorno ve la racconterò!

LEGGI ANCHE: Marina La Rosa: “Noi del Gf abbiamo cambiato la tv italiana”

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Paolo Ruffini: “Io, Gaber e i buffoni”

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Paolo Ruffini: "Io, Gaber e i buffoni"

Ph. Chiara Calabrò

Una carriera tra cinema, televisione e teatro. Paolo Ruffini ha saputo costruirsi negli anni una cifra personale. Ora è anche direttore artistico di una manifestazione giovane e dinamica che animerà l’estate della sua Toscana: il Follonica Summer Festival.

L’11 agosto si aprirà il sipario sulla seconda edizione del Follonica Summer Festival. Com’è nata questa manifestazione?

Mi piaceva l’idea di scardinare noiose convenzioni e organizzare una manifestazione poliedrica, sfaccettata e popolare. Ho trovato un sindaco lungimirante, giovane e, oserei dire, avanguardista. Quest’anno lo slogan sarà “sempre meglio”. Ci saranno spettacoli per tutti i gusti: dal musical all’elettronica, dal cabaret di alto livello all’intrattenimento per ragazzi. Detesto, da sempre, qualsiasi tipo di classificazione o etichetta. La programmazione comprenderà da Gianna Nannini al vincitore di Amici. E credo che Follonica abbia tutte le carte in regola per diventare un punto di riferimento per la costa toscana e non solo.

Il 21 agosto con Sono solo, con te porterà in scena un omaggio a Giorgio Gaber. Perché questa scelta?

Gaber è un artista contemporaneo, urgente, politico ma non partitico. Tutto quello che ha raccontato è ancora profondamente attuale. Ha saputo attraversare generi e arti. Lo spettacolo sarà una sorta di varietà musicale: mi accompagnerà al pianoforte Claudia Campolongo, e io interpreterò alcuni suoi brani nel solco del “teatro canzone”. Ci saranno anche dei miei monologhi rielaborati in quella che era la sua poetica e che cercherò umilmente di omaggiare. Sarà uno sguardo disincantato, armonioso, buffo e pungente sulla nostra realtà contemporanea.

Con Up & Down ha diviso il palco con attori disabili. Com’è nato questo progetto?

Qualche anno fa ho visto uno spettacolo con ragazzi disabili diretto da un mio amico, Lamberto Giannini. Per me il teatro è un posto dove succede qualcosa che resta impresso nella memoria. Questi ragazzi mi hanno insegnato a trasformare i limiti in occasione. Siamo in una società che vuole vederci tutti uguali, in realtà siamo meravigliosamente diversi ed è quello che ci accomuna davvero. Lavorare con persone down ti fa capire la bellezza di dire “sì, io non sono normale”.

Paolo Ruffini: "Io, Gaber e i buffoni"

Ph. Chiara Calabrò

Ci racconta di quando era un artista off?

Io sono orgogliosamente e continuamente un artista off. Mi piace la nomea del buffone, penso non ci sia complimento migliore. Una figura meravigliosa, erano coloro che facevano ridere il popolo. Sono contento di essere considerato così, perché posso solo stupire e non deludere.

Nella sua carriera è stato diretto da Carlo Vanzina, un regista tanto amato dal pubblico quanto bistrattato da una certa intellighenzia. Un ricordo?

Carlo per quarant’anni ha aiutato questo Paese a ridere meglio. I suoi film non erano ipocriti. Il dibattito sulle parolacce è durato anni. Per esempio, quando gli omosessuali, nei film, venivano appellati con epiteti “politicamente scorretti” non c’era più omofobia di ora. Quelle parole non venivano dette per offendere. Questo proibizionismo ipocrita ha portato una maggiore ghettizzazione.

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Marina La Rosa: “Noi del Gf abbiamo cambiato la tv italiana”

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La chiamavano “gattamorta”. Lei non sapevo nemmeno cosa volesse dire. E con stile ci dice che questa cosa la fa pensare al dramma “Come tu mi vuoi” di Luigi Pirandello. Lei è Marina La Rosa: siciliana, bella, sensuale e con una voce capace di ipnotizzare chiunque. Nel 2000 entra nella casa più spiata d’Italia, il Grande Fratello, quello che, nel bene o nel male, ha cambiato il modo di fare televisione. Da lì, senza troppi affanni, inizia la sua avventura nel mondo dello spettacolo.

Noi di OFF sotto l’ombrellone vi proponiamo questa bella intervista del nostro infallibile Moreno Amantini. (Redazione).

Chi è oggi Marina La Rosa e quanto c’è ancora della ragazza che partecipò alla prima edizione del Grande Fratello?

Questa domanda converrebbe farla al mio analista! Scherzo, per fortuna non ci vado più da anni. Chi sia io oggi preferisco lo dicano le persone a me vicine, non mi piace parlare di me o di quanto intelligente, sensibile, bella e simpatica io sia. Ecco, l’ho appena fatto!

Nel bene e nel male quanto ti ha cambiato quella esperienza?

Il Grande Fratello ha cambiato completamente la mia vita. L’ha stravolta. Sono convinta però che nella vita ci sono cose che devono accadere perché ne devono accadere delle altre. Ad esempio se io non avessi mai fatto quell’esperienza non avrei mai conosciuto Francesca (un’amica) e non saremmo mai andate insieme in vacanza a Favignana dove poi ho incontrato quello che oggi è il padre dei miei figli. Tu chiamalo, se vuoi, destino.

Ci racconti un aneddoto OFF della tua carriera?

Potrei raccontare di quella volta, a casa di un famoso attore e regista, in cui dopo avermi offerto una parte nel suo prossimo film, si avvicinò per baciarmi, ma è un argomento che attualmente va troppo di moda per cui preferisco parlare di una bruttissima figura che feci nel 2001 quando ad una serata di premi e riconoscimenti cinematografici  mi dissero che avrei dovuto premiare l’uomo seduto in prima fila accanto a me. All’epoca ero molto giovane, avevo più o meno 20 anni e non sapevo chi fosse quell’uomo. Solo dopo, quando mi chiamarono sul palco insieme a lui, sentii nominare il suo nome, era Brian De Palma. Che figuraccia!!!! 

Al Grande Fratello ti affibbiarono l’appellativo di “gattamorta”. Un’offesa o un complimento?

In verità non sapevo neanche cosa significasse il termine “gattamorta”. Tuttavia mi ricorda molto la celebre commedia Come tu mi vuoi di Pirandello in cui, attraverso la narrazione di una bizzarra vicenda (ma a quanto pare vera), l’autore spiega come ogni persona abbia bisogno di identificare gli altri in categorie: belli, bravi, brutti, omosessuali, alti, ipocriti, cattivi, ingenui, etero e perché no, anche gattemorte. Sono in fondo tutti pregiudizi dettati dalle nostre paure. Per cui, in tutta onestà, non mi sono mai preoccupata dei giudizi della gente.

La prima edizione del Grande Fratello vinse un Telegatto e la reazione di Alessandro Cecchi Paone non fu delle migliori. Torto o ragione?

Secondo me, caro Moreno, si ha sempre torto quando si alza la voce. Cecchi Paone non fu l’unico a provare rabbia verso di noi, dieci ragazzi venuti dal nulla. In verità non eravamo noi sotto accusa, bensì il Grande Fratello in quanto reality. Quello fu l’anno in cui cambiò il modo di fare televisione. quindi in molti provarono rabbia. ma anche paura di essere in qualche modo “spodestati” dai loro prestigiosi ruoli di conduttori, attori e soubrette di turno. Alessandro fu però il solo ad alzarsi e ad urlare non ricordo cosa ma, forse, dovendo ancora fare outing, era solamente un po’ più nervoso!

Spesso si dice che tv e politica vadano a braccetto. Come vedi questo nuovo Governo e credi che influenzerà anche i palinsesti tv?

Questa più che una domanda è il domandone!!! Il momento storico che stiamo vivendo è così complesso che non so quanto siano in grado i nostri politici di gestire al meglio sia le situazioni interne sia quelle esterne al Paese. È una realtà questa, definita da Bauman, liquida: non vi sono più punti di riferimento, tutto è in continua trasformazione e non c’è concretezza. Io Conte non lo conosco e Salvini mi angoscia. Non ne capisco molto di politica, so solo ciò che vedo e cioè che l’Italia sta diventando un Paese sempre più povero, sempre più mediocre. E anche noi.

Il tuo calendario fu uno dei più venduti. La bellezza può essere un mezzo per raggiungere un fine?

Ognuno raggiunge i propri fini ed i propri obiettivi come meglio ritiene opportuno. Con la bellezza, con il sesso, con la bravura, con l’onesta o con i sotterfugi. Ma la bellezza, quella fisica, un giorno svanirà e resterà quella interiore. Se c’è.

E’ meglio una vita piena di sogni o un sogno che duri una vita?

Questa è invece la domanda alla Marzullo!! Non so rispondere ma sicuramente non si può vivere senza sogni 

Marina di oggi e Marina di ieri. Per chiudere, un bilancio e un obiettivo, se c’è,  da voler raggiungere …

Un bilancio? Ma così, su due piedi? Lasciamoci così Moreno, con il tuo sguardo profondo e la mia voce bassa e sensuale. Del diman, non v’è certezza… 

LEGGI ANCHE: Roberta Beta: “Sono egoista perché sono orgogliosa di essere italiana”

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Cucinotta: “50 anni di magia grazie a Massimo Troisi”

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Cucinotta: “Provo ogni giorno un’immensa gratitudine per Massimo Troisi”

Maria Grazia Cucinotta fotografata a La Rambla a Barcellona.
Make up: Luciano Squeio
Abiti: AMEN di Gianluca Grossi
Scarpe e stivali: Vittorio Virgili
Gioielli Marta Paolillo
Foto: Roberto Chiovitti
Coordinamento immagine: Angelo Perrone

Dal terzo posto a Miss Italia nel 1987 per poi approdare in tv con Renzo Arbore a Indietro Tutta!, fino alla consacrazione cinematografica con Il Postino. Maria Grazia Cucinotta, neo cinquantenne, si racconta tra passato, presente e futuro.

Che estate è quella di Maria Grazia Cucinotta?

Un’estate sicuramente di lavoro ma alternata a ritagli di spazio per me e la mia famiglia. Già averla cominciata a Salina dove ho girato Il Postino è stata un’estate magica.

Il Postino è il film che ti ha consacrata nel panorama cinematografico internazionale. Che ricordo hai di Massimo Troisi?

Più che un ricordo è una realtà costante. Se non avessi fatto quel film la mia carriera non sarebbe quella che è oggi. Provo un’enorme gratitudine nei confronti di Massimo. Ogni giorno.

Il 27 luglio hai spento 50 candeline.  Che rapporto hai con il tempo che passa?

Un rapporto bellissimo perché già che passa vuol dire che sei vivo. Io sto vivendo ogni attimo della mia vita intensamente, come ho sempre voluto, senza risparmiare minuti, ore o secondi. Non ho un rapporto morboso con il tempo, riempio le mie giornate con mille iniziative e tante cose da fare. Non mi annoio e non amo perdere tempo. Facendo così mi trovo a non avere rimpianti. Se potessi rivivrei tutto esattamente così come è stato.

Sei una donna molto forte, decisa, determinata. C’è qualcosa che ti spaventa?

Vedere soffrire le persone a me care. Perdere gli affetti e le persone che amo.

Cucinotta: “Provo ogni giorno un’immensa gratitudine per Massimo Troisi”

Maria Grazia Cucinotta fotografata a La Rambla a Barcellona.
Make up: Luciano Squeio
Abiti: AMEN di Gianluca Grossi
Scarpe e stivali: Vittorio Virgili
Gioielli Marta Paolillo
Foto: Roberto Chiovitti
Coordinamento immagine: Angelo Perrone

Un aneddoto OFF della tua carriera?

Il mio primo book fotografico. Non avevo una lira e le agenzie per realizzarlo mi chiedevano delle cifre di cui non disponevo così, alla fine, me lo feci fare da mio fratello, spacciandolo poi per un lavoro professionale.

Attrice, doppiatrice, produttrice e regista. Chi è Maria Grazia Cucinotta?

Tutto questo. Amo mettere tutta me stessa in ogni cosa che faccio. Attualmente sono coinvolta nel progetto Teen, una serie, che mi vede produttrice e regista insieme alla mia amica Paula Boschi. Abbiamo visto oltre cinquemila ragazzi e, in collaborazione con Action Academy, quelli scelti saranno formati e poi realizzeranno il prodotto. Dalla recitazione a tutti i lavori che ne stanno intorno.

Sicuramente un bel modo per aiutare i ragazzi. Come le vedi le sorti dei giovani nel nostro Paese?

I ragazzi sono intelligenti e pieni di sogni. Purtroppo nel nostro Paese si fa poco per loro. Né lo stato né il Governo pensano al loro futuro. Si parla tanto di crisi e di tagli ma mai di creare un’evoluzione del lavoro.

Qual è, secondo te, il segreto del tuo successo?

A saperlo! Gli americani hanno provato a studiare cosa fossero sia il successo che il carisma e non ci sono riusciti. Io credo un insieme di energie e riuscire a far star bene gli altri.

Progetti futuri?

Mi vedrete nei panni di una cantante di liscio. Mi sono misurata con qualcosa di molto lontana da me.

Cucinotta: “Provo ogni giorno un’immensa gratitudine per Massimo Troisi” Cucinotta: “Provo ogni giorno un’immensa gratitudine per Massimo Troisi” Cucinotta: “Provo ogni giorno un’immensa gratitudine per Massimo Troisi” Cucinotta: “Provo ogni giorno un’immensa gratitudine per Massimo Troisi”

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Le donne più intriganti dello Spettacolo italiano

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Cucinotta: “Provo ogni giorno un’immensa gratitudine per Massimo Troisi”

Maria Grazia Cucinotta fotografata a La Rambla a Barcellona.
Make up: Luciano Squeio
Abiti: AMEN di Gianluca Grossi
Scarpe e stivali: Vittorio Virgili
Gioielli Marta Paolillo
Foto: Roberto Chiovitti
Coordinamento immagine: Angelo Perrone

Di sicuro non ti fanno sbadigliare quando le inviti a cena per la prima volta. Sono le donne più sexy e intelligenti -e a tratti anche irriverenti- dello spettacolo italiano. Ecco allora Maria Grazia Cucinotta, lo splendore dei 50 anni  immortalato in una serie di fotografie sexy e “stradaiole”, Efe Bal, la trans più famosa d’Italia, Marina La Rosa, la prima del Gf, cui attribuirono l’appellativo di “gattamorta”, che lei con nonchalance si fa scivolare addosso, la meraviglia del corpo tatuato di Alizee Tassoni, che forse ai più dirà  poco ma dopo averla vista vi toglierà il respiro, Roberta Bruzzone, la criminonologa valchiria che ti “uccide” con lo sguardo. E poi Valeria Marini,che da piccola voleva niente meno che prendere i voti e poi la fascinosissima Hoara Borselli e… Buona lettura -sotto l’ombrellone (Redazione).

Cucinotta: “50 anni di magia grazie a Massimo Troisi”

Roberta Bruzzone: “Se Dio esiste è distratto”

Da Csi ai Soprano l’orgoglio italiano di Sofia Milos

Marina La Rosa: “Noi del Gf abbiamo cambiato la tv italiana”

Emanuela Folliero: “E’ finita l’epoca di Stranamore”

Valeria Marini: “Volevo fare la missionaria!”

Efe Bal: “Non vedo l’ora di emettere una fattura”

Hoara Borselli: “A 19 anni dissi no a quella proposta…”

Alizee il tatuaggio che prende il posto del nudo

Cucinotta: “Provo ogni giorno un’immensa gratitudine per Massimo Troisi”

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Jerry Calà: “Ai giovani dico: più contatto meno chatto”

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Calogero Alessandro Augusto Calà ma per tutti è Jerry Calà. L’eterno ragazzo degli anni ’80, continua a farci ballare e cantare anche nell’estate 2018! Quanto c’è ancora di Calogero in te? Oggi moltissimo. C’è la fierezza di essere nato in una terra meravigliosa come la Sicilia e il rispetto per le mie origini. Nel 1995 hai avuto un grave incidente e per sei mesi hai vissuto su una sedia a rotelle. Cosa ti ha insegnato quell’esperienza? Che prima del successo, del lavoro e dei soldi c’è una cosa molto più importante che si chiama vita. Come hai vissuto la disabilità? Con tutte le difficoltà del caso di chi vive questa condizione, soprattutto in una grande città. Fortunatamente oggi ci sono molte meno barriere architettoniche rispetto ad allora ma si può e si deve sempre migliorare. Ci racconti un aneddoto OFF della tua carriera? Ti posso raccontare di quando ai tempi dei “Gatti di Vicolo Miracoli” vivevamo tutti insieme in un appartamento che era un po’ un porto di mare. Eravamo così compagnoni che le chiavi di casa nostra ce le avevano tutti e, una sera, che non saremmo dovuti rientrare, lo abbiamo fatto e i nostri letti erano tutti occupati. “Un’altra estate che va” è il tuo nuovo singolo che ironizza molto sulla differenza generazionale… Questa canzone nasce da un mio monologo in cui prendo in giro, scherzosamente, i giovani di oggi, rispetto a quelli che eravamo noi. Noi ci fidanzavamo ballando i lenti, loro si fidanzano su whatsapp e si lasciano su Facebook. Meno selfie, meno “chatto” e più contatto, questo è il mio consiglio. Che papà sei? Sono un papà vero che ha voglia di godersi suo figlio e stare con lui più tempo possibile. Vedo tanti genitori che non vedono l’ora di mandare i loro figli all’estero, magari per studi o in vacanza. Io, sarò anomalo, ma ho voglia di fare le vacanze con mio figlio e di divertirmi insieme a lui. Hai partecipato a film diventati “cult”. Quale è stato secondo te il successo di alcune pellicole come “Sapore di Mare” o “Vacanze di Natale”? Intanto la bravura del grande Carlo Vanzina che, insieme al fratello Enrico, hanno saputo fotografare e rappresentare uno spaccato di vita reale. Vedo tanti registi che inventano, creano e immaginano storie. Carlo le storie le verificava e da lì, per esempio, il grande talento di raccontare le vacanze degli italiani. Sai che molti giovani rivedendo “Sapore di Mare” mi dicono che avrebbero voluto vivere quegli anni? Sono film che hanno rappresentato bene un’epoca, soprattutto con verità. Mara Venier, con sui sei stato sposato dal 1984 al 1987, dichiarò che tu la tradisti persino il giorno delle nozze. Verità o leggenda? Mara è una burlona e ama scherzare. Nessun tradimento. Diciamo che io ero un po’ birichino! Oggi siamo come fratello e sorella e ci vogliamo un gran bene. Quanta nostalgia c’è in te? La nostalgia non produce niente di buono. Il ricordo si. Avere memoria e esperienza da poter comunicare agli altri e vivere con ricchezza maggiore il domani. Calogero Alessandro Augusto Calà, ma per tutti è Jerry Calà. L’eterno ragazzo degli anni ’80, continua a farci ballare e cantare anche nell’estate 2018!

Quanto c’è ancora di Calogero in te?

Oggi moltissimo. C’è  la fierezza di essere nato in una terra meravigliosa come la Sicilia e il rispetto per le mie origini.

Nel 1995 hai avuto un grave incidente e per sei mesi hai vissuto su una sedia a rotelle. Cosa ti ha insegnato quell’esperienza?

Che prima del successo, del lavoro e dei soldi c’è una cosa molto più importante che si chiama vita.

Come hai vissuto la disabilità?

Con tutte le difficoltà del caso di chi vive questa condizione, soprattutto in una grande città. Fortunatamente oggi ci sono molte meno barriere architettoniche rispetto ad allora, ma si può e si deve sempre migliorare.

Ci racconti un aneddoto OFF della tua carriera?

Ti posso raccontare di quando ai tempi dei Gatti di Vicolo Miracoli vivevamo tutti insieme in un appartamento che era un po’ un porto di mare. Eravamo così compagnoni che le chiavi di casa nostra ce le avevano tutti: una sera rientrammo a casa e i nostri letti erano tutti occupati!

Calogero Alessandro Augusto Calà ma per tutti è Jerry Calà. L’eterno ragazzo degli anni ’80, continua a farci ballare e cantare anche nell’estate 2018! Quanto c’è ancora di Calogero in te? Oggi moltissimo. C’è la fierezza di essere nato in una terra meravigliosa come la Sicilia e il rispetto per le mie origini. Nel 1995 hai avuto un grave incidente e per sei mesi hai vissuto su una sedia a rotelle. Cosa ti ha insegnato quell’esperienza? Che prima del successo, del lavoro e dei soldi c’è una cosa molto più importante che si chiama vita. Come hai vissuto la disabilità? Con tutte le difficoltà del caso di chi vive questa condizione, soprattutto in una grande città. Fortunatamente oggi ci sono molte meno barriere architettoniche rispetto ad allora ma si può e si deve sempre migliorare. Ci racconti un aneddoto OFF della tua carriera? Ti posso raccontare di quando ai tempi dei “Gatti di Vicolo Miracoli” vivevamo tutti insieme in un appartamento che era un po’ un porto di mare. Eravamo così compagnoni che le chiavi di casa nostra ce le avevano tutti e, una sera, che non saremmo dovuti rientrare, lo abbiamo fatto e i nostri letti erano tutti occupati. “Un’altra estate che va” è il tuo nuovo singolo che ironizza molto sulla differenza generazionale… Questa canzone nasce da un mio monologo in cui prendo in giro, scherzosamente, i giovani di oggi, rispetto a quelli che eravamo noi. Noi ci fidanzavamo ballando i lenti, loro si fidanzano su whatsapp e si lasciano su Facebook. Meno selfie, meno “chatto” e più contatto, questo è il mio consiglio. Che papà sei? Sono un papà vero che ha voglia di godersi suo figlio e stare con lui più tempo possibile. Vedo tanti genitori che non vedono l’ora di mandare i loro figli all’estero, magari per studi o in vacanza. Io, sarò anomalo, ma ho voglia di fare le vacanze con mio figlio e di divertirmi insieme a lui. Hai partecipato a film diventati “cult”. Quale è stato secondo te il successo di alcune pellicole come “Sapore di Mare” o “Vacanze di Natale”? Intanto la bravura del grande Carlo Vanzina che, insieme al fratello Enrico, hanno saputo fotografare e rappresentare uno spaccato di vita reale. Vedo tanti registi che inventano, creano e immaginano storie. Carlo le storie le verificava e da lì, per esempio, il grande talento di raccontare le vacanze degli italiani. Sai che molti giovani rivedendo “Sapore di Mare” mi dicono che avrebbero voluto vivere quegli anni? Sono film che hanno rappresentato bene un’epoca, soprattutto con verità. Mara Venier, con sui sei stato sposato dal 1984 al 1987, dichiarò che tu la tradisti persino il giorno delle nozze. Verità o leggenda? Mara è una burlona e ama scherzare. Nessun tradimento. Diciamo che io ero un po’ birichino! Oggi siamo come fratello e sorella e ci vogliamo un gran bene. Quanta nostalgia c’è in te? La nostalgia non produce niente di buono. Il ricordo si. Avere memoria e esperienza da poter comunicare agli altri e vivere con ricchezza maggiore il domani.

Un’altra estate che va è il tuo nuovo singolo che ironizza molto sulla differenza generazionale…

Questa canzone nasce da un mio monologo in cui prendo di mira, con ironia, i giovani di oggi, rispetto a quelli che eravamo noi. Noi ci fidanzavamo ballando i lenti, loro si fidanzano su Whatsapp e si lasciano su Facebook. Meno selfie, “meno “chatto” e più contatto”, questo è il mio consiglio.

Che papà sei?

Sono un papà vero che ha voglia di godersi suo figlio e stare con lui più tempo possibile. So che tanti genitori che non vedono l’ora di mandare i loro figli all’estero, magari per studi o in vacanza. Io sarò anomalo, ma ho voglia di fare le vacanze con mio figlio e di divertirmi insieme a lui.

Hai partecipato a film diventati cult. Quale è stato secondo te il successo di alcune pellicole come Sapore di mare o Vacanze di Natale?

Intanto la bravura del grande Carlo Vanzina che, insieme al fratello Enrico, hanno saputo fotografare e rappresentare uno spaccato di vita reale. Vedo tanti registi che inventano, creano e immaginano storie. Carlo le storie le verificava e da lì, per esempio, il grande talento di raccontare le vacanze degli italiani.  Sai che molti giovani rivedendo “Sapore di Mare” mi dicono che avrebbero voluto vivere quegli anni? Sono film che hanno rappresentato bene un’epoca, soprattutto con verità.

Calogero Alessandro Augusto Calà ma per tutti è Jerry Calà. L’eterno ragazzo degli anni ’80, continua a farci ballare e cantare anche nell’estate 2018! Quanto c’è ancora di Calogero in te? Oggi moltissimo. C’è la fierezza di essere nato in una terra meravigliosa come la Sicilia e il rispetto per le mie origini. Nel 1995 hai avuto un grave incidente e per sei mesi hai vissuto su una sedia a rotelle. Cosa ti ha insegnato quell’esperienza? Che prima del successo, del lavoro e dei soldi c’è una cosa molto più importante che si chiama vita. Come hai vissuto la disabilità? Con tutte le difficoltà del caso di chi vive questa condizione, soprattutto in una grande città. Fortunatamente oggi ci sono molte meno barriere architettoniche rispetto ad allora ma si può e si deve sempre migliorare. Ci racconti un aneddoto OFF della tua carriera? Ti posso raccontare di quando ai tempi dei “Gatti di Vicolo Miracoli” vivevamo tutti insieme in un appartamento che era un po’ un porto di mare. Eravamo così compagnoni che le chiavi di casa nostra ce le avevano tutti e, una sera, che non saremmo dovuti rientrare, lo abbiamo fatto e i nostri letti erano tutti occupati. “Un’altra estate che va” è il tuo nuovo singolo che ironizza molto sulla differenza generazionale… Questa canzone nasce da un mio monologo in cui prendo in giro, scherzosamente, i giovani di oggi, rispetto a quelli che eravamo noi. Noi ci fidanzavamo ballando i lenti, loro si fidanzano su whatsapp e si lasciano su Facebook. Meno selfie, meno “chatto” e più contatto, questo è il mio consiglio. Che papà sei? Sono un papà vero che ha voglia di godersi suo figlio e stare con lui più tempo possibile. Vedo tanti genitori che non vedono l’ora di mandare i loro figli all’estero, magari per studi o in vacanza. Io, sarò anomalo, ma ho voglia di fare le vacanze con mio figlio e di divertirmi insieme a lui. Hai partecipato a film diventati “cult”. Quale è stato secondo te il successo di alcune pellicole come “Sapore di Mare” o “Vacanze di Natale”? Intanto la bravura del grande Carlo Vanzina che, insieme al fratello Enrico, hanno saputo fotografare e rappresentare uno spaccato di vita reale. Vedo tanti registi che inventano, creano e immaginano storie. Carlo le storie le verificava e da lì, per esempio, il grande talento di raccontare le vacanze degli italiani. Sai che molti giovani rivedendo “Sapore di Mare” mi dicono che avrebbero voluto vivere quegli anni? Sono film che hanno rappresentato bene un’epoca, soprattutto con verità. Mara Venier, con sui sei stato sposato dal 1984 al 1987, dichiarò che tu la tradisti persino il giorno delle nozze. Verità o leggenda? Mara è una burlona e ama scherzare. Nessun tradimento. Diciamo che io ero un po’ birichino! Oggi siamo come fratello e sorella e ci vogliamo un gran bene. Quanta nostalgia c’è in te? La nostalgia non produce niente di buono. Il ricordo si. Avere memoria e esperienza da poter comunicare agli altri e vivere con ricchezza maggiore il domani. Mara Venier, con sui sei stato sposato dal 1984 al 1987, dichiarò che tu la tradisti persino il giorno delle nozze. Verità o leggenda?

Mara è una burlona e ama scherzare. Nessun tradimento. Diciamo che io ero un po’ birichino! Oggi siamo come fratello e sorella e ci vogliamo un gran bene.

Quanta nostalgia c’è in te?

La nostalgia non produce niente di buono. Il ricordo si. Avere memoria e esperienza da poter comunicare agli altri e vivere con ricchezza maggiore il domani.

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Jerry Calà: “Ai giovani dico "più contatto meno chatto"”! Jerry Calà: “Ai giovani dico "più contatto meno chatto"”! Jerry Calà: “Ai giovani dico "più contatto meno chatto"”! Calogero Alessandro Augusto Calà ma per tutti è Jerry Calà. L’eterno ragazzo degli anni ’80, continua a farci ballare e cantare anche nell’estate 2018! Quanto c’è ancora di Calogero in te? Oggi moltissimo. C’è la fierezza di essere nato in una terra meravigliosa come la Sicilia e il rispetto per le mie origini. Nel 1995 hai avuto un grave incidente e per sei mesi hai vissuto su una sedia a rotelle. Cosa ti ha insegnato quell’esperienza? Che prima del successo, del lavoro e dei soldi c’è una cosa molto più importante che si chiama vita. Come hai vissuto la disabilità? Con tutte le difficoltà del caso di chi vive questa condizione, soprattutto in una grande città. Fortunatamente oggi ci sono molte meno barriere architettoniche rispetto ad allora ma si può e si deve sempre migliorare. Ci racconti un aneddoto OFF della tua carriera? Ti posso raccontare di quando ai tempi dei “Gatti di Vicolo Miracoli” vivevamo tutti insieme in un appartamento che era un po’ un porto di mare. Eravamo così compagnoni che le chiavi di casa nostra ce le avevano tutti e, una sera, che non saremmo dovuti rientrare, lo abbiamo fatto e i nostri letti erano tutti occupati. “Un’altra estate che va” è il tuo nuovo singolo che ironizza molto sulla differenza generazionale… Questa canzone nasce da un mio monologo in cui prendo in giro, scherzosamente, i giovani di oggi, rispetto a quelli che eravamo noi. Noi ci fidanzavamo ballando i lenti, loro si fidanzano su whatsapp e si lasciano su Facebook. Meno selfie, meno “chatto” e più contatto, questo è il mio consiglio. Che papà sei? Sono un papà vero che ha voglia di godersi suo figlio e stare con lui più tempo possibile. Vedo tanti genitori che non vedono l’ora di mandare i loro figli all’estero, magari per studi o in vacanza. Io, sarò anomalo, ma ho voglia di fare le vacanze con mio figlio e di divertirmi insieme a lui. Hai partecipato a film diventati “cult”. Quale è stato secondo te il successo di alcune pellicole come “Sapore di Mare” o “Vacanze di Natale”? Intanto la bravura del grande Carlo Vanzina che, insieme al fratello Enrico, hanno saputo fotografare e rappresentare uno spaccato di vita reale. Vedo tanti registi che inventano, creano e immaginano storie. Carlo le storie le verificava e da lì, per esempio, il grande talento di raccontare le vacanze degli italiani. Sai che molti giovani rivedendo “Sapore di Mare” mi dicono che avrebbero voluto vivere quegli anni? Sono film che hanno rappresentato bene un’epoca, soprattutto con verità. Mara Venier, con sui sei stato sposato dal 1984 al 1987, dichiarò che tu la tradisti persino il giorno delle nozze. Verità o leggenda? Mara è una burlona e ama scherzare. Nessun tradimento. Diciamo che io ero un po’ birichino! Oggi siamo come fratello e sorella e ci vogliamo un gran bene. Quanta nostalgia c’è in te? La nostalgia non produce niente di buono. Il ricordo si. Avere memoria e esperienza da poter comunicare agli altri e vivere con ricchezza maggiore il domani.

 

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Gabriele Cirilli: “Quella volta che mi sono depilato tutto!”

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Gabriele Cirilli in scena ad Altomonte – Ph Denise Ubbriaco

Trent’anni di carriera tra teatro, cinema e tv. Al Teatro Belluscio di Altomonte, Gabriele Cirilli porta in scena #TaleEQualeAMe… Again e si racconta tra passato, presente e futuro.

#TaleEQualeAMe… Again è un ritorno sulle scene dopo la tournée 2015-2017. Qual è la chiave del successo di questo spettacolo? 

E’ uno spettacolo vicino alla gente. Il palcoscenico è l’unico posto in cui io riesco ad essere tale e quale a me stesso. Ormai, ho aperto il mio hashtag al pubblico ed il pubblico lo ha apprezzato. Io parlo delle mie foto e da ogni foto che ho nel telefonino esce un monologo, una canzone, uno sketch. Lo spettacolo dura circa due ore. Ha avuto successo dappertutto. Questa è l’ultima tappa.

Qual è il fil rouge? 

E’ il privato di Gabriele che non tutti conoscono. In alcuni momenti fa anche tenerezza. E’ uno spettacolo completo, essendo un monologo in cui canto, recito, ballo. Non so se tutti colgono questa finezza.

La casa nasconde ma non perde“, lo diceva nonna Concetta. Ogni frammento di vita o ricordo di ognuno di noi è in una soffitta o in una cantina. Qual è il tuo più bel ricordo? 

Una lettera che ho trovato in uno di quegli album fotografici nascosti in soffitta. Si tratta di una lettera che scrissi a mia moglie, all’epoca la mia fidanzata, trent’anni fa. Il fatto di averla ritrovata, sentire il profumo di polvere in mezzo a tutta quella carta ingiallita, esprimere sentimenti veri e non crittografati, vale lo spettacolo.

E’ un testo scritto insieme a Maria De Luca e Carlo Negri. Com’è nata l’idea? 

Bella domanda! E’ nato a cena. Sai quando sei a cena e fai vedere la foto su instagram? Ogni volta che commentavo le mie foto, vedevo che la gente rideva. Allora, abbiamo pensato di portarlo sul palco.

Dal 28 agosto, debutterai con Mi piace. Il riferimento è sempre ai social?

Più che ai social, ai like. Secondo me, adesso, per andare in Paradiso ci vogliono un tot di like. Se non hai certo numero di like non sei figo

Qual è il tuo rapporto con i social network?

Altra domanda? (scoppia una risata. n.d.r.) Mio figlio e i miei amici mi danno una mano. Sto cercando di adeguarmi. Se non sei social, non vai avanti. L’artista deve adeguarsi ad ogni era.

Gabriele Cirilli in scena ad Altomonte – Ph Denise Ubbriaco

A tuo parere, c’è un eccessivo legame ai social?

Io dico sempre che se non hai mai avuto il consenso di parlare e te lo ha dato Facebook, un motivo ci sarà. Ognuno ha il diritto di esprimere la propria opinione. Per arrivare al successo, non bastano un milione di like, ma occorre fare gavetta ed esperienza. Insomma, quest’anno ho festeggiato trent’anni di carriera. Premetto che io non sono nessuno. Non ho fatto niente ancora, però ho faticato tanto per avere quel poco che ho.

Un consiglio ai giovani che vogliono avvicinarsi a questo mondo?

Studiare e impegnarsi tanto. Non arriva niente a caso. Il caso ti aiuta quando tu lo aiuti. Se sei preparato, determinato, se hai la passione e sei giusto per quella cosa lì, arriva.

Un aneddoto off che vuoi raccontare ai nostri lettori?

Quando mi sono depilato la prima volta per fare Tale e Quale Show. Giuro! Non sto scherzando. Questa è una cosa che non è mai uscita e te la dico perché sei simpatica! Ero in vasca, in un hotel a Roma. Per l’occasione mi stavo depilando le gambe perché avevo letto che Giusy Ferreri ama essere liscia. Sono rimasto incastrato dentro la vasca. Io soffro un po’ d’artrosi alla gamba, infatti ho fatto un’operazione. Ho dovuto tirare la catenella e chiamare aiuto. Hanno sfondato la porta, sono entrati nel bagno e mi hanno trovato con la lametta. Io ho detto: “Non è come pensate, giuro!”. Un aneddoto che non dimenticherò mai per tutta la mia vita.

Una curiosità da backstage?

Carlo Conti lo vedete come una persona molto sicura, invece è una persona molto timorosa di quello che fa in ogni occasione. Ama talmente tanto questo lavoro che, prima dello spettacolo, viene da te e ti pone delle domande, dicendo che andrà bene. Questa è una cosa che mi colpisce.

Il più grande insegnamento che hai ricevuto nella tua carriera?

Quello di Gigi Proietti: ascoltare il pubblico e respirare insieme al pubblico.

Quanto è importante l’interazione con il pubblico?

Assolutamente importante! Se dimentichi che di fronte hai una persona che sta vivendo un’emozione insieme a te, è meglio che vai a casa.

Teatro o grande schermo?

Tutta la vita teatro. Il grande schermo mi piace. Mi hanno detto che lo faccio anche bene, però il teatro ti dà quelle emozioni che nessuno schermo può darti.

Prossimo film in programma?

Nati Due Volte. Un cast incredibile con Fabio Troiano, Marco Palvetti, Rosalinda Celetano, Francesco Pannofino con la regia di Pierluigi Di Lallo.

Gabriele Cirilli in scena ad Altomonte – Ph Denise Ubbriaco

Personaggio che vorresti interpretare nel prossimo spettacolo? 

Mi piacerebbe fare uno spettacolo televisivo, uno show che possa essere goduto da milioni di persone.

Sogno nel cassetto?

Fare questo mestiere sempre con onestà, tranquillità e fino a novant’anni.

Vuoi aggiungere altro?

Che bella chiacchierata!

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Giampaolo Rossi: “Nuove narrazioni e nuovi linguaggi per la nuova RAI”

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Abbiamo intervistato Giampaolo Rossi, classe 1966, consigliere Rai, già presidente di Rai Net per otto anni, esperto di comunicazione e scrupoloso osservatore dell’evoluzione dei linguaggi.

Quale potrebbe essere la chiave per rilanciare un vero pluralismo dell’informazione?

Il servizio pubblico radiotelevisivo ha una funzione importantissima in una moderna democrazia, che è quello di garantire che tutte le forme culturali possano avere rappresentanze. Il servizio pubblico lavora su queste basi, ogni linea culturale esistente deve avere voce, visibilità e presenza. Probabilmente in questi anni la Rai non ha svolto appieno questo lavoro: credo che una Rai del cambiamento debba essere servizio pubblico e fare informazione per tutti gli italiani e non soltanto per una parte.

Quale potrebbe essere il suo apporto nel CDA Rai?

Ho lavorato 8 anni in Rai ricoprendo un ruolo manageriale nel settore dell’offerta Internet; l’intera offerta presente l’abbiamo costruita con l’unica vera digital factory, Rai Net, che ha sviluppato tutto il web business. Ho lavorato con ottimi manager come Alberto Contri e Piero Gaffuri, e molti dei dirigenti che lavoravano con me in quell’azienda ora sono dei manager affermati nell’azienda sia nel campo editoriale che nella corporate, segno del grandissimo valore di quell’esperienza. Oggi la Rai, che è una media company, deve trasformarsi in una transmedia company, cioè una grande azienda che produce non solo informazione ma  anche immaginario simbolico per il Paese:  nuove narrazioni, cercando di contaminare nuovi linguaggi. Il ruolo delle rete e della digitalizzazione è sempre più importante.

Laureato in Lettere e archeologo di formazione, perché ha deciso di occuparsi di informazione?

Sono una storico dell’antichità, indirizzi archeologici, soprattutto nel vicino Oriente antico, quello fa parte di una mia precedente vita, di un passato giovanile che ho percorso con grande risultati e grande passione. L’evoluzione dei linguaggi e della comunicazione è quello che mi è sempre interessato e che ho sviluppato, e soprattutto insegno ancora oggi nelle università, è il modo in cui evolvono gli strumenti di comunicazione e di costruzione delle relazioni tra gli uomini all’interno delle società; è un elemento importantissimo che non viene spesso valorizzato ma che è il fondamento della costruzione dei percorsi evolutivi delle società e, quindi, c’è un legame diretto tra lo studiare una società antica, il modo in cui evolve i propri linguaggi, e la profonda accelerazione dell’evoluzione delle tecnologie delle comunicazione nel mondo moderno.

La globalizzazione ha fallito, perché secondo lei?

Perché ha prodotto risultati opposti rispetto a quelli che aveva preconizzato e ha fallito rispetto alla dimensione dell’Occidente, che ha prodotto il processo di globalizzazione; noi lo vediamo solo come un fenomeno economico, ma  è anche tecnologico, perché  attraverso l’evoluzione degli strumenti il mondo appare molto più piccolo e più unito. La globalizzazione economica ha fallito perché non ha prodotto maggiore ricchezza ma povertà o, meglio, sta producendo un fenomeno molto pericoloso: la bipolarizzazione del sistema, una grande concentrazione di ricchezza in un numero sempre più ristretto di persone, con un impoverimento complessivo del resto della società. Si vanno definendo una élite sempre più ricca e una massa sempre più povera. Quello che sta avvenendo in Occidente  è un pericolo di tenuta dei sistemi democratici e rappresenta la fine della classe media, la morte di quella che un tempo si chiamava borghesia ed era trainante delle democrazie. Questo è un fenomeno che dobbiamo evitare.

Il crollo del ponte di Genova può diventare spartiacque tra il passato e il futuro della politica italiana?

Sì, perché quel che resta della tragedia è il fallimento delle politiche di privatizzazione su cui si è fondata la politica italiana negli ultimi  20anni. Io sono sempre stato favorevole ai processi di privatizzazione. Quando però privatizzare significa generare un meccanismo di non competività e non efficienza, non si fa privatizzazione, ma si statalizza il privato. Altra cosa è il libero mercato. Quello che sta emergendo è come in questi anni, in Italia, i processi di privatizzazione effettuati e di impoverimento del patrimonio dello stato, non hanno generato efficienza ma disastri, a questo punto rimettere tutto in discussione è necessario.

La cultura può aiutare l’uomo a proiettarsi dall’io al noi rivalutando il concetto di comunità e di piccole patrie?

Sicuramente sì, per cultura noi intendiamo la dimensione dell’uomo di uscire da se stesso e la capacità di costruire un percorso d’immaginario che tenga legato l’io al noi. Il rapporto ad esempio con le identità nazionali in questi secoli è stato fondato su questo continuo equilibrio e cioè la propria individualità e quello che è il senso di responsabilità verso quello noi riteniamo essere la lealtà nazionale. Questo è un lavoro, prima che politico, metapolitico, cioè culturale. Una costruzione dell’immaginario che tenga unite le persone condividendone aspirazioni, percorsi storici, identità memoria, e quindi anche cultura. Il nostro è un paese fondato sulla cultura, non solo perché è un giacimento di produzione culturale e immaginifica di cultura materiale e visiva ma è soprattutto un paese che ha sempre avuto un’esperienza di elaborazione della propria identità che l’ha fatto  faro nel mondo. Credo che in qualsiasi progetto politico e di rivitalizzazione del senso di cittadinanza sia strettamente legata alla capacità di valorizzare la nostra identità e la nostra cultura, questa è la scommessa da giocare nella nostra Italia.

Qual è l’episodio OFF del percorso di vita professionale e/o umana?

Non ricordo episodi in particolare (sorride, n.d.r.).

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Mogol: “Quando Battisti prendeva la chitarra…”

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Ph Denise Ubbriaco

Giulio Rapetti Mogol è il più grande poeta della musica italiana. Un uomo umile e profondo. Nei suoi testi, riesce ad immortalare attimi di vita, come in una fotografia. Racconta verità umane, emozioni quotidiane, pensieri intimi, come se si stesse confidando con un amico. Oltre millecinquecento canzoni pubblicate e grandissime collaborazioni. La sua storia è ormai leggenda! I suoi brani accompagnano la nostra vita, lasciando un segno profondo in ognuno di noi. Nello spettacolo Mogol racconta Mogol, attraverso canzoni, aneddoti ed emozioni, Mogol regala al pubblico una narrazione appassionata, accompagnata dall’interpretazione delle sue indimenticabili canzoni, a partire da Lucio Battisti fino ad oggi. Lo spettacolo è andato in scena al Teatro Belluscio in occasione del Festival Euromediterraneo di Altomonte.

Dopo tanti successi, chi è oggi Mogol?

Sono io! Sono sempre rimasto me stesso.

Mogol racconta Mogol. La vita professionale di un artista attraverso le canzoni che hanno segnato un’epoca. Uno spettacolo carico di emozioni. Di che si tratta?

Mi vengono rivolte delle domande ed io rispondo, parlando delle canzoni che canteranno e cercando di spiegarne il senso. C’è sempre un senso più profondo di quello che appare. La gente percepisce il senso, ma a volte raccontando le motivazioni per le quali sono state scritte quelle canzoni, le gradisce molto. Io racconto la verità. Nei miei testi, racconto fatti di vita, non fiction!.

Ha costruito il Cet (Centro europeo tuscolano), una scuola dedicata alla formazione degli artisti.

Una scuola molto importante in Europa. L’ho fatta perché ho capito che la cultura popolare sarebbe andata in recessione. Ormai, fanno tutti dischi. Purtroppo, chi fa i dischi e trae profitto da essi, non sempre trasmette le canzoni più belle.

Il suo parere sulla musica attuale? Perché molti giovani hanno una breve vita artistica e scompaiono subito nel dimenticatoio?

Il problema è che quando fanno i reality, si presentano giovani che non sono ancora artisti. I reality non sono scuole. Hanno un atteggiamento simile a quello delle scuole, ma mancano i docenti. Manca il sapere. Dunque, questi ragazzi arrivano, diventano anche noti, ma diventare artisti è una cosa diversa. Il CET, la nostra scuola, invece, forma gli artisti come Giuseppe Anastasi, Arisa e tanti ragazzi veramente preparati. Bisogna studiare. Noi facciamo più fatica a formare coloro che hanno già fatto altre scuole, rispetto a coloro che non hanno mai studiato, perché cambiano i sistemi didattici. E’ come imparare a sciare in un modo e dover imparare a farlo in un modo diverso. E’ difficile insegnare un nuovo metodo.

Ha firmato tantissimi successi.

Ho scritto 150 successi. La SIAE mi dice che ho venduto 523 milioni di dischi. Una cifra spaventosa. L’ho chiesto tre volte, perché non ci credevo. Pare che abbiano avuto tutta questa diffusione nel mondo.

Ph Denise Ubbriaco

C’è un aneddoto off che vuole raccontarci?

Non ho una grandissima memoria. Ci sono scene che sono rimaste nella mia testa. Quando avevo quattro anni, ricordo che per farmi uno scherzo mi hanno messo sotto il lavabo della cucina, tirando una tendina e dicendomi che era arrivato l’uomo cattivo. Ero terrorizzato! Mai scherzare con i bambini, perché i bambini ti credono.

Ha scritto testi per Mina che neppure ricorda di aver scritto per lei. E’ vero?

Un giorno, ho letto sul giornale che chi ha scritto il maggior numero di canzoni per Mina sono stato io. Sono 28. Io non le ho mai contate. Sicuramente, ci credo anche perché ho una memoria così labile. Ogni tanto, faccio serate con il mio amico Ugo Mazzei e lui fa degli scherzi. Mi presenta una canzone e mi dice: «Ti piace? L’hai scritta tu!».

Un periodo o un momento dedicato alla musica che ricorda con maggiore emozione?

La vita è una continuazione di giorni che si susseguono, di soddisfazioni. Non c’è un momento particolare. C’è un divenire. Si dimenticano persino le tappe. Posso dire che sono un uomo molto fortunato, perché trovo un affetto incredibile da parte della gente. E’ molto appagante!

Parliamo di Lucio Battisti. Un sodalizio durato circa 15 anni. Il ricordo più bello di Lucio?

Quando prendeva in mano la chitarra, arrivava quella settimana all’anno a suonarmi una canzone al giorno ed io scrivevo i testi. Poi, gli spiegavo il significato dei testi, perché lui me lo chiedeva. Lui tornava la mattina dopo e la sapeva a memoria.

Il suo brano preferito di Lucio Battisti?

Non c’è. Le pongo io una domanda. Preferisce Pensieri e parole, I giardini di marzo o Emozioni? Vede? Pensi che ne dovrebbe aggiungere altre 40, 50 o 100.

Mi parli del suo impegno nel sociale.

Mi occupo anche di autistici con mia moglie che ha fondato l’associazione L’emozione non ha voce. Abbiamo radunato tutti gli autistici con i loro genitori e ci ha ricevuto il Papa. Mia moglie è il motore di questa associazione ed io sono il padrino. Noi cerchiamo di aiutare chi ha bisogno con molto piacere. Ho scritto una canzone, Anche per te, che racconta le storie di donne che avrebbero bisogno di essere aiutate e che, invece, alla fine la maggior parte della gente non ne ha il tempo, però il desiderio rimane.

Si può imparare a scrivere canzoni?

Si può imparare tutto nella vita, quando ci sono l’insegnante giusto e la passione.

Quali sono le peculiarità che deve avere un artista?

L’artista deve avere grande passione per apprendere e le didattiche giuste. Due cose che creano l’artista.

Un consiglio che vuole dare ai giovani?

Bisogna studiare con le didattiche di persone che sanno profondamente. Il 30 settembre, parto per Boston perché l’università di Berkeley mi chiama per ascoltare la mia didattica, ascoltare le mie lezioni e ci sarà un concerto.

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Ultimo: “Nell’amore senza interessi il legame tra i soldati e il proprio popolo”

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Oggi 3 settembre parte la revoca della scorta al Capitano Ultimo, l’uomo che arrestò Totò Riina. Questo succede purtroppo nella nostra bella Italia, un paese dove i valori andrebbero ristabiliti, dove scrittori radical, super scortati, insultano le istituzioni e dove uomini coraggiosi e non allineati come Sergio De Caprio subiscono queste ingiustizie.

Vi riproponiamo una bella intervista di oltre 1 anno e mezzo fa. Una vita Off, segreta, silenziosa, trascorsa a combattere nelle fila del bene

Patria, legalità, radici. Identità. Fondamenti della cultura di una terra collettiva.  La legalità, sorella maggiore di esse, in un Paese che perennemente rischia il suo contrario, la sua degenerazione, è una forma di elevazione culturale. Perché? Perché attraversa le vene, ci scorre dentro e arriva fino all’anima, alla mente e si plasma tra le componenti fondamentali dell’etica, universale, individuale e collettiva. Militari militanti e Milizia sociale, i valori etici del cittadino-soldato. I valori dei volontari Capitano Ultimo

Devi raccontare quello che accade qui, quello che vedi con i tuoi occhi, più che parlare di Ultimo…”.                                                                                                               

Un grido liberatorio e il falco vola alto nel cielo. Poi torna e non perché sia ammaestrato, ma perché è un essere vivente libero, quindi sceglie. Il momento è quello del  Padre nostro, durante la messa domenicale nella “chiesa dei poveri, senza mura, semplicemente eretta con quattro pali in legno e un tetto di canne”, dove il sacro si percepisce tutto, la gente in cerchio si tiene per mano e le diversità etniche, sociali e religiose sono azzerate. Alla fine del rito cristiano, un omaggio alle altre religioni. Siamo a Roma, alla Tenuta della Mistica sulla via Prenestina, alla casa famiglia Capitano Ultimo. Varcato il cancello, qui tutto ha un sapore diverso, sa di buono, come il “pane del mendicante” fatto in loco con lievito madre da Mario e il suo aiutante Cristopher o le sfogliatelle alle mele della pasticceria dove ex senzatetto e richiedenti asilo lavorano insieme. Qui i Rom il metallo non lo rubano e, grazie a un progetto voluto dal Comandante, tornano alla loro tradizione, quella delle pentole in rame battuto. Tutto è autogestito e autosovvenzionato. Qui c’è legalità, opportunità, speranza e riscatto. “Libertà è partecipazione”, cantava Giorgio Gaber. E libertà è decidere da che parte e con chi stare, senza tentennamenti.

IMG_8227 “Guarda queste persone e parla con loro, è la loro esperienza quella che ha valore…”. Per tutti noi che siamo grati a lui e ai suoi uomini,  angeli silenziosi che ci proteggono dal male, che siamo fieri di condividerne la cittadinanza, sarà sempre il Capitano Ultimo anche se oggi ha il grado di colonnello. Ultimo, al  secolo Sergio De Caprio, non ha bisogno di presentazioni: moltissimi i suoi arresti, ma è conosciuto soprattutto perché, a capo dell’ Unità militare combattente Crimor (acronimo di criminalità organizzata) da lui fondata, ha scovato e ammanettato il boss di Cosa Nostra Salvatore Riina, aggiungendo un tassello importante al lavoro di eroi che all’Italia hanno dato la vita, dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ai tanti servitori dello Stato e nonostante questo Stato, agli stessi ragazzi della Crimor come Volpe, Ram e Mago, caduti per il loro ideale di giustizia come tanti altri guerrieri della legalità e con qualunque divisa, da padre Pino Puglisi ai vari giornalisti uccisi perché onoravano la loro professione. De Caprio  oggi è al Noe (Nucleo operativo ecologico), la sezione dell’Arma dei Carabinieri che si occupa di tutela dell’ambiente, compresi la lotta all’inquinamento da sostanze radioattive e al contrasto della criminalità anche internazionale che lucra sul traffico dei rifiuti.

Alla casa famiglia Volontari Capitano Ultimo la legalità sta generando fratellanza vera e contribuire a questo vuol dire essere cittadini e soldati, è gesto etico ma anche estetico.

Ultimo non è un personaggio mitico anche se deve vivere nascosto, è un uomo concreto e il tramite attraverso il quale tutto questo è possibile. Incontrarlo, seppure di sfuggita e “rubandogli” qualche commento, è un privilegio e un grande onore. Qui il cuore di tutto è il monumento al generale Dalla Chiesa, donato da un carabiniere ausiliario in congedo, su cui sventola il tricolore.

Perché Ultimo ha sentito l’esigenza di fondare una casa famiglia?

“Perché non siamo in grado di adottare le persone e portarcele tutte a casa. Allora, riconoscendo questo nostro gravissimo limite, abbiamo deciso di costruire una casa famiglia e di impegnarci direttamente come gesto d’amore, come gesto di legalità, per far capire che l’impegno è fondamentale e che, così facendo, usciamo un po’ dall’ipocrisia e dalla falsità. Quindi ci impegnamo, rischiamo e cerchiamo di realizzare qualcosa così, con amore”.

Tra i metodi educativi, perché la scelta dei falchi, considerati formativi per i giovani anche nel Medioevo, oltre che bellissimi ed emblemi assoluti di libertà?

“I falchi sono entrati nella mia vita in un periodo in cui stavo male. Mi sono venuti in sogno, me li ha mandati il nostro amico Ronnie Lupe, capo degli Apache delle Bianche Montagne. Falchi che mi venivano addosso ma che non mi facevano male, mi accarezzavano, mi sfioravano come un raggio di luce. Poi ho fatto una ricerca su internet, li ho riconosciuti, erano falchi astori. Ho seguito il corso di falconiere e da quando li faccio volare non soffro più di quei sintomi di malattia che avevo prima. Mi hanno curato. E quindi ho approfondito la falconeria, abbiamo scoperto che è bellissima anche perché, come metodo educativo, il falco lo puoi solo premiare, perché se lo punisci reagisce sempre in due modi: ti aggredisce o fugge via. Come noi. E la usiamo anche come metodo educativo. E poi per me la falconeria è un amore grande. Del resto, ognuno ha i suoi amori”.

Militari militanti e Milizia sociale, i valori etici del cittadino-soldato, come si legge sul sito dei volontari Capitano Ultimo. Che vuol dire, oggi, essere un guerriero? E qual è il senso estetico dell’amor patrio e contemporaneamente del servire i più umili?

IMG_8217“Siamo guerrieri perché creiamo sopravvivenze, perché combattiamo per far sopravvivere le persone, combattiamo in tutti i modi. Lo abbiamo fatto con il Codice, fino a quando il Codice non diventa oppressione o sfruttamento, lo abbiamo fatto con l’impegno sociale e ora lo facciamo con la preghiera, che è la legge più bella che abbiamo e seguendo quello che ha detto Gesù combattiamo. Cerchiamo di far sopravvivere i fratelli Rom, i migranti, i disoccupati, gli abbandonati. Lo spirito guerriero è tutto in questa azione. A volte ci riusciamo, a volte meno e altre volte sbagliamo, però noi lo facciamo, stiamo qua in mezzo alla strada dove c’è l’albergo occupato (struttura abitata da richiedenti asilo a cui i volontari spesso portano un pasto caldo, ndr), e ci giudicano gli occhi della gente affamata e disperata. E discriminata”.

Quelle persone che spesso sono le più vere e sincere, perché non hanno retropensieri…

“E noi stiamo in mezzo a loro, come vedi, con una bandiera tricolore issata che viene rispettata da tutti, da gente che normalmente potremmo dire che si pone in maniera antagonista. E invece noi ci teniamo per mano e combattiamo, insieme, per creare una comunità, vera, senza ipocrisia, senza falsità, senza manipolare nessuno, senza volere nulla in cambio. Per l’amore. Perché questo è il nostro popolo e questa è la nostra nazione. E quindi per questo noi siamo guerrieri”.

Forse molte persone e anche tanti giovani, dovrebbe venire qui, dove si respira bellezza, legalità e  amore di Patria, a fare volontariato, invece di fischiare l’Inno nazionale. Potrebbe essere una nuova base di partenza…

“Io questo non lo so. Certo, non saremo maestri di niente, non insegneremo niente a nessuno. Noi camminiamo in mezzo alla strada e andiamo avanti. È tutto qua. Noi non vogliamo niente, non vogliamo consenso né imporre qualcosa, né dimostrare niente a nessuno. Vogliamo solo servire e amare la nostra gente, creare e stare nella comunità del nostro popolo, qualunque esso sia, qualunque siano le connotazioni etniche e religiose. La comunità nostra è questa e ce l’ha insegnato Gesù di Nazareth e siamo anche indegni di pronunciare quel nome. Però ci proviamo, con tutti i nostri difetti, felici di aver molti difetti”.

LEGGI ANCHE La casa famiglia, i suoi ragazzi. Ultimo: “la nostra vita deve essere una milizia”

Questa vita sempre blindata, di Ultimo e dei suoi uomini, cosa costa in termini di privato?

“Non costa niente. La accettiamo come un dono, sperando di essere degni delle opportunità che Dio ci ha dato. Speriamo di non avere niente per noi, di rimanere semplici, come quando eravamo ragazzi. E speriamo che la derisione di quelli che criticano l’ingenuità e la semplicità sia per noi un grande orgoglio. Dobbiamo considerare sempre questo”.

Il nostro è uno strano Paese, dove chi lavora per il bene comune viene come minimo osteggiato da quelli che, a vario titolo, sono definiti i “professionisti dell’antimafia”…

“Noi stiamo da questa parte. Poi, altrove, è giusto che ognuno si esprima come meglio ritiene e nelle proprie convinzioni. Per noi è così. Non vogliamo e non ci interessa avere ragione. Cerchiamo di dividere quello che abbiamo in parti tutte uguali, cerchiamo di dare qualcosa anche a chi non fa niente, perché magari non è in grado di farlo, perché forse è malato o ha subìto un trauma, però deve vivere. E quelle persone sono nostri fratelli e dobbiamo aiutarli ugualmente. Crediamo nell’uguaglianza e nella fratellanza e questa è una legge importante. Poi, dei professionisti dell’antimafia…boh, non so che dire, se non buon lavoro. Noi rispettiamo il lavoro di tutti ma stiamo qua. La legge nostra è uguaglianza e fratellanza, tutto il resto ci è estraneo”.

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Entrando qui, si respira subito un’aria diversa, di serenità, di uguaglianza, di legalità. Alla base di tutto, quanto conta l’essere un carabiniere?

“Tutto questo vuol dire essere un carabiniere, è lo spirito del carabiniere che serve la sua comunità. E non esercita alcun potere, ma dona se stesso al suo popolo, senza volere nulla in cambio. Questo ce lo hanno insegnato i vecchi carabinieri  e noi non siamo niente di diverso da loro. Anche qui, speriamo di essere capaci di seguire i loro esempi. A volte ci riusciamo, a volte di meno e chiediamo loro scusa per tutte le volte che non siamo riusciti a essere degni dei loro insegnamenti e dei loro sacrifici”.

La Patria si ama e si serve. Lo hanno fatto gli Arditi e i “ragazzi del ’99”  sul Piave come i giovani eroi tra le sabbie infuocate di El Alamein. Lo fanno oggi uomini e donne in uniforme e i cittadini onesti. I valori etici, ricorda Ultimo, il coraggio di donare la vita per amore del proprio popolo, il sacrificio senza “do ut des” sono un dono ereditato dalla cultura delle Forze Armate e dell’Arma dei Carabinieri e sono patrimonio di tutti gli italiani. “Nei secoli fedele” è l’essenza stessa del carabiniere e la fedeltà è al popolo italiano, oggi come ieri. Di “abnegazione silenziosa” dell’Arma parlava Gabriele d’Annunzio  il 12 giugno 1917 nella sua orazione funebre per il capitano della Benemerita Vittorio Bellipanni. È così oggi, con le parole scritte da Ultimo, “Le idee non si fermano, i sogni vivono nelle azioni delle persone, nei gesti quotidiani e rappresentano la sfida più bella contro l’ arroganza della forza, contro l’ arroganza del sopruso”.

L'articolo Ultimo: “Nell’amore senza interessi il legame tra i soldati e il proprio popolo” sembra essere il primo su Il Giornale OFF.

Dalla Chiesa: “L’omicidio di mio padre? Deciso a Roma”

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Pubblico dominio wikipedia.org

Oggi, 3 settembre 2018, 36 anni fa, moriva il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, all’epoca prefetto a Palermo: con lui, a bordo di una A112, venne assassinata la compagna Emanuela Setti Carraro. La loro automobile fu affiancata, in via Isidoro Carini, da una BMW, dalla quale partirono alcune raffiche di Kalashnikov AK-47 (nello stesso momento l’auto con a bordo l’autista e agente di scorta, Domenico Russo, veniva affiancata da una motocicletta, dalla quale partì una raffica che uccise Russo). Per il triplice omicidio furono condannati all’ergastolo come mandanti i vertici di Cosa Nostra Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci. Carlo Alberto Dalla Chiesa fu un uomo delle istituzioni e operò nelle questioni più rilevanti e scottanti nazionali: seguì le indagini sull’omicidio del giornalista Mauro De Mauro, collaborò con il celebre commissario Boris Giuliano nella Squadra Mobile di Palermo, arrestò Renato Curcio delle Brigate Rosse, stringendo il cerchio intorno alle Bierre all’epoca del sequestro Moro. Fu insignito di medaglia d’oro al valore civile alla memoria. Vi proponiamo l’intervista a cult a sua figlia, Rita Dalla Chiesa, che ci parla di suo padre e della sua carriera (Redazione)

Mi racconti un aneddoto off degli inizi della tua carriera?

Quando ho cominciato a fare tv, stavo da poco con Frizzi, lui conduceva già “Tandem”. Mi ricordo che si metteva dietro le telecamere e ogni volta che si accendeva la lucetta scappava da una parte all’altra facendomi capire quale mi stesse inquadrando! (ride n.d.r.). È stato lui a insegnarmi come stare davanti alle telecamere. Mi ha detto: “sii sempre te stessa, anche col mal di testa, la coda di cavallo, o senza trucco”.

Tu hai iniziato come giornalista…

Sì, scrivevo per Gioia e Donna moderna. E poi avevo una rubrica su Epoca, “Affari di famiglia”, che fra l’altro ricomincerà a giorni su Visto.

Una notizia in anteprima…

Sì, non lo sa ancora nessuno (ride)

Nel 1983 sei approdata alla tv, appunto, con il programma “Vediamoci sul Due”, dove hai conosciuto l’amore della tua vita. Con Fabrizio è stato amore a prima vista?

Per lui sì, io invece ci ho messo un po’ per via della differenza di età. All’epoca non c’erano ancora matrimoni con divari di età così forti, e anche se io sono sempre stata ribelle, ho dovuto fare un percorso prima di accettare che questa storia stesse diventando importante.

Oggi riavresti una storia con un uomo più giovane di te?

Certo, quelli della mia età mi annoiano! (ride) Molto meglio una persona più giovane. Non dico di trent’anni, ma comunque più giovane. Dai giovani c’è molto da imparare, e questo non basta mai, a qualunque età. Molti ragazzi mi scrivono “per me sei come una zia”. È bellissimo!

Fabrizio si è appena risposato, e si è parlato della tua assenza al matrimonio. C’è stato un momento in cui avresti voluto tornare con lui?

Sì, molte volte. Fabrizio è una persona che non si può non amare, la più perbene che io abbia mai conosciuto. Ho avuto nostalgia di lui, delle cose belle che abbiamo vissuto mille volte. Però poi mi sono arresa all’idea che comunque io ho avuto il mio passato, e oggi è giusto che lui viva il suo presente.

E’ una bella dichiarazione anche questa…

E’ amore anche lasciar libere le persone di vivere la propria vita.

Tornando alla tv, hai condotto proprio con Fabrizio “Pane e marmellata”, un programma per bambini grazie al quale vieni notata dalla moglie di Arrigo Levi e approdi a Fininvest.

Sì, la moglie di Levi guardava sempre “Pane e marmellata”, e mi propose al marito per la prima rubrica di approfondimento Fininvest. Io all’inizio ero convinta, sbagliando, volessero incontrarmi per intervistarmi sulla vicenda mio padre. In quella scelta mi aiutò Maurizio Costanzo. Mi disse “è il momento giusto, fa’ il salto”. Ed lo feci, passando dalla Rai a Fininvest. Arrigo e Maurizio sono stati i miei più grandi maestri.

Tanti programmi di successo, come “Il trucco c’è” con Diego Dalla Palma, ma innegabilmente sei entrata nel cuore di tutti con “Forum”.

Sì, Forum me lo sono cucito addosso, soprattutto nella seconda parte. Infatti abbiamo fatto ascolti tali da andare in onda su Canale 5 e anche con uno sportello pomeridiano su Rete4.

Manchi tanto alla trasmissione! Io ho provato a dargli un occhio: ha un sapore completamente diverso.

E’ un’altra trasmissione, condotta benissimo da Barbara Palombelli. Non ho motivo di esserne gelosa.

E’ spiaciuto non vederti allo speciale per i 30 anni del programma.

Quello è stato un pugno nello stomaco. Avrebbero dovuto evitare di chiamare quella puntata “30 anni di Forum”. Mi hanno detto addirittura che hanno mandato in onda puntate condotte da me, ma coi miei interventi tagliati. Francamente questo non lo capisco.

Una volta hai detto “faccio sempre le scelte sbagliate nel momento più sbagliato”. Qual è la scelta più sbagliata che hai fatto?

(ride) questa!

Anche se in realtà non è dipesa totalmente da te…

Sai, prima di lasciare il programma, ho saputo con dispiacere che Fabrizio e Marco non sarebbero stati confermati. Per me è stato un colpo. Poi ci sono state anche molte voci di corridoio secondo le quali “Forum” sarebbe stato sospeso. Ho sbagliato nel non andare alla fonte, anche perché io sono visceralmente legata a Mediaset. Ma questo è il motivo per cui ho accettato la proposta di Cairo, a cui sono rimasta legata pur non avendoci lavorato. Io e lui avevamo una concezione diversa della messa in onda: lui voleva una trasmissione alla Forum, io non sarei mai andata contro il mio programma di sempre. Andarmene da Canale5 prima, e da La7 dopo sono state due scelte coraggiose, alla mia età non facili.

Altra tua frase: “non ho alcun talento nel frequentare i famosi posti giusti”. Un posto giusto che non frequenti?

I salotti romani stile “Grande bellezza”. Quel film è meraviglioso, perché racconta la solitudine che puoi vivere in una città come Roma, frequentando certi ambienti.

Ti riporto una tua frase che mi ha fatto sorridere. “preferisco chi mangia piccante, vuol dire che mette passione anche nell’intimità”. Che rapporto hai col sesso? 

Meraviglioso! (ride) Credo sia una cosa molto importante, che ti faccia stare bene. Certo, non quello inutile e fine a sé stesso. Devi amare, almeno dal mio punto di vista. Devo amare, perché ci sia il tutto. E quando c’è è bellissimo.

Se poi si mangia piccante ancora meglio…

A me dà fastidio l’uomo a dieta, mi fa paura. Io non mangio carne, ma voglio mangiare la pasta, le pizze rustiche, formaggi saporiti. Mi piace la vita. Un bel piatto di pasta al pomodoro con l’olio piccante sopra, per me, è impagabile!

Una data che è rimasta impressa nella tua vita è il 3 settembre 1982, quella dell’omicidio di tuo padre, Carlo Alberto Dalla Chiesa. Posso chiederti cosa ricordi di quel giorno?

La solitudine nella quale mi sono sentita proiettata nel giro di mezzo secondo. Io ho saputo di questa cosa da un giornalista del Tg2, non dai carabinieri, che sono la mia famiglia, la mia anima, il mio cuore, il mio tutto. Evidentemente al comando generale in quel momento c’era qualcuno che non amava mio padre. Mi sono seduta sotto la doccia e ho passato metà nottata lì, inebetita. La mattina dopo sono arrivata a Fiumicino, mi sono fatta il biglietto per Palermo. All’epoca ero solo giornalista di carta stampata, nessuno mi riconosceva. Mi hanno detto “signora, non c’è un posto perché stanotte hanno ammazzato il Generale Dalla Chiesa”. Ed io ho detto “era mio padre”, e allora il posto è saltato fuori.

Il racconto che Riina ha fatto sulla strage di via Carini è tremendo. Se ne è tornato a parlare anche nei giorni scorsi.

Non riesco a capire se sia vero. È possibile che io debba venire a sapere la verità non dai magistrati, non dai giudici, ma da Totò Riina? Che peraltro parla soltanto adesso! C’è qualcosa di strano, come tutto quello che riguarda la morte di mio padre.

La cassaforte, anche…

Tutto! È tutto molto strano. Hanno fatto film su come si sia arrivati al 3 settembre. Io ne farei uno dal 3 settembre in poi, sui tanti misteri che sono rimasti tali: la borsa di mio padre, i documenti spariti, chi è entrato nella prefettura quella sera invece di buttare un lenzuolo su mio padre? Mio padre è morto in una strada molto affollata, eppure un lenzuolo per coprire mio padre ed Emanuela (Setti Carraro, la seconda moglie del Generale Dalla Chiesa) nessuno l’ha buttato dalla finestra. E chi è entrato a Villa Pajno quella sera? Cos’ha preso? Dov’era la chiave della cassaforte? Nella cassaforte abbiamo trovato una scatola vuota, c’erano i gioielli di Emanuela, ma non i documenti di mio padre. La scrivania di mio padre era sempre piena di carte, scartoffie. Quella sera non c’era un foglio, era perfettamente pulita. Quando mio zio, fratello di mio padre, disse al procuratore “dovete farci capire cosa sia successo” lui gli rispose “non mi gioco di certo le ferie per questo omicidio”…

Allucinante… Da chi vorresti delle risposte?

Dallo Stato. Tutti mi dicono “continui ad andare a Palermo, ad amarla”. Certo, io non dovrei vivere a Roma, dove è stato deciso il tutto! Non a Palermo, dove sono solo state armate le mani.

Sei sempre più convinta che la mafia abbia ucciso tuo padre su commissione…

Certo. Politica……..

Qual è la cosa che più ti manca di tuo padre?

Mi mancano la sicurezza che mi dava, il senso di giustizia che si portava appresso. Il ruvido della sua divisa quando l’abbracciavo, mi manca la sua telefonata serale, mi mancano tante cose. Io ho avuto un padre, non il generale Dalla Chiesa. Mi manca mio padre

(Gabriele Lazzaro)

LEGGI ANCHE: Rita Dalla Chiesa: “Io sono stata molto trasgressiva”

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G.B. Guerri: “Squitieri stava per uccidermi su un set”

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Giordano Bruno Guerri: Ph. © BASSO CANNARSA

Giordano Bruno Guerri: Ph. BASSO CANNARSA

Cosa direbbe D’Annunzio della situazione contemporanea, nell’era della informazione via tweet? Un campione della comunicazione? E che ruolo avrebbe come agitatore culturale? Non occorre nessuno sforzo d’immaginazione: vi proponiamo l’intervista di Edoardo Sylos Labini a Giordano Bruno Guerri, Presidente del Vittoriale degli Italiani, ospite nella rassegna Manzoni Cultura al Mondadori Store di Milano, dove illustra, più che un D’Annunzio inedito, un D’annunzio quanto mai attuale e sferzante (Redazione).

Tu sei il Presidente del Vittoriale degli Italiani, un’istituzione che in termini di visite e non solo ha avuto dei numeri straordinari. Fra i tuoi meriti, hai “liberato” D’Annunzio dal pregiudizio ideologico…

D’Annunzio soffriva di una damnatio memoriae per la quale era legato a un’immagine di decadentismo e di proto-fascismo. Su di lui ci sono tante leggende, fra cui quella celevìberrima “delle costole”. Ho visto l’altro giorno su un sito d’aste di Brescia la messa in vendita di…una costola di D’Annunzio: a cinquemila euro! Garantita! Ho incaricato i miei avvocati di occuparsene: oltre al fatto che non credo si possano vendere on line pezzi di corpo umano, vi confermo che questa “storia” delle costole di D’Annunzio è totalmente inventata: possiamo dire che praticamente negli ultimi cinquant’anni tutte le stravaganze sessuali che sono venute in mente agli Italiani sono state attribuite a D’Annunzio! Bisogna liberare la figura di D’Annunzio da certe immagini. D’Annunzio era un libertario, un anarchico, un fervido organizzatore…basi pensare alla Carta del Carnaro: Mussolini si impossessò dei suoi miti, riti e modi (il discorso dal balcone, “Eia! Eia! Eia! Alalà!”, “Me ne frego”, i labari, il culto dei morti), l’ha acchiappato e l’ha praticamente “ingessato”. Bisogna liberare D’Annunzio da una certa immagine e noi ci stiamo riuscendo: basti pensare che recentemente su Repubblica, un giornale non certo tenero verso un mondo diciamo di destra, il poeta Valerio Magrelli ha scritto che D’Annunzio ha operato una rivoluzione con il Vittoriale, imponendo il suo gusto come un esperimento d’avanguardia e creando una “bellezza nuova”. Dare a D’annunzio quel che è di D’Annunzio: questa “operazione” ha attirato un certo tipo di pubblico che prima lo escludeva a priori. Pensate che nel 2017 sono usciti 70 libri su di lui…

Hai spesso detto che D’Annunzio è stato il primo grande comunicatore del Novecento: i suoi motti erano i “tweet” cent’anni fa (“Me ne frego”, “Vivere ardendo e non bruciarsi mai”): oggi come userebbe la tecnologia?

La userebbe molto bene. Certamente avrebbe a milioni di seguaci. I suoi “post” sarebbero pieni di cose che noi non riusciamo a fare e che lui invece ha fatto nella sua vita, prima con la letteratura, poi con la vita pubblica, poi con gli amori, poi in guerra, poi Fiume…L’unica lezione, vera, che Mussolini prese da D’Annunzio era che lo Stato liberale poteva essere sfidato con la forza e vinto: Mussolini, che era un grande politico, ci riuscì, D’annunzio, che tra le tante doti non aveva quella del politico, non ce l’ha fatta.

Però la Carta del Carnaro è molto moderna…

Beh pensate solo che nel ’20 si discuteva ancora se le donne potessero o no votare, mentre d’Annunzio sancì non solo che potessero votare, ma anche essere elette, una cosa cui nessuno aveva pensato…Ma non solo: mise gli studenti nei consigli scolastici, gli operai nei consigli di fabbrica, inventò il Ministro della Bellezza, e poi il multilinguismo, il multiculturalismo, l’abolizione dei gradi nell’esercito…Fiume fu un’anticipazione del ’68…

Giordano, non hai studiato solo D’Annunzio, naturalmente. Sei specializzato in biografie di personaggi “scomodi” del Novecento, OFF, un po’ forti, vittime della damnatio memoriae e del pregiudizio ideologico…

Sì, ho cominciato con Bottai, oggetto della mia tesi di laurea. Studente alla Cattolica di Milano, mi imbattei in questo strano fenomeno, in quest’uomo strordinario, intelligentissimo, coltissimo, uno dei capi della marcia su Roma, Ministro delle Corporazioni, Governatore di Addis Abeba, Ministro dell’Educazaione Nazionale (quindi dell’istruzione, quindi della cultura: ha fatto delle leggi su cui si basa la conservazione del nostro patrimonio artistico). Credo che Bottai sia stato l’unico fascista, gli altri erano mussoliniani. Si arruolò nella Legione Straniera, combattè contro i Tedeschi senza voler combattere contro altri Italiani. Agli inizi degli anni Settanta, prima degli studi di De Felice, su di lui non c’era niente, si parlava di Farinacci, di Starace, ma non di lui…e quindi iniziai a studiare questo personaggio, che poi per una magia biografica mi ha portato a D’Annunzio: negli archivi di Bottai c’erano infatti le lettere di D’Annunzio, il che mi spinse ad andare al Vittoriale a cercarle…si era agli inizi degli anni Settanta.

Un’altra grande biografia è quella di Filippo Tommaso Marinetti…

Appena ripubblicata negli Oscar. D’Annunzio e Marinetti mi affascinarono per la loro lontananza e la loro vicinanza…Vi racconto un aneddoto: tutti e due amavano l’11 febbraio: Marinetti perché l’11 febbraio 1909 pubblicò il Manifesto del Futurismo, D’Annunnzio perchè l’11 febbraio del 1906 trascorse la sua notte più straordinaria con la Contessa Mancini. Loro iniziarono i loro rapporti litigando (per Marinetti D’Annunzio era la peste della letteratura italiana e D’Annunzio dal canto suo lo apostrofava con un insulto futurista, “cretino fosforescente!”), poi durante la guerra divennero amici, erano entrambi interventisti ed entrambi combattenti. E da quel momento, l’11 febbraio di tutti gli anni decisero di incontrarsi. Io poi ho una mia idea, anche se è tutta da dimostrare: secondo me Mussolini firmò i Patti Lateranensi l’11 febbraio in sfregio a quei due, anticlericali contrari al Concordato con la Chiesa! Marinetti fu l’ultimo personaggio famoso che vide D’Annunzio vivo, proprio l’11 febbraio 1938 si presentò al Vittoriale con una delle sue rarissime sculture, ancor oggi al Vittoriale, un doppio comando di un bimotore con questa scritta: “Perché noi siamo i motori della nuova Italia”.

Nella settimana dannunziana al teatro Manzoni avverrà anche il lancio di #CulturaIdentità: perché sono importanti oggi queste due parole, cultura e identità?

La cultura è importante sempre…l’identità per me è il sentire di un popolo: i popoli hanno un carattere, come gli individui, hanno una storia. Non stiamo parlando di razze, attenzione, ma di una cultura che dà un’identità. E’ chiaro che nel pieno della globalizzazione dell’Unione Europea l’identità è in pericolo. E’ una grandissima perdita per noi come popolo e come individui. Fai benissimo a fare #CulturaIdentità.

D’Annuzio fu il primo a coniare l’espressione “Assessore alla Cultura”…

Certo, lui inventò anche l’espressione “beni culturali”. Si battè come un a furia per impedire che si distruggere le stupende ville rinascimentali in quella che è adesso via Veneto a Roma. Salvò anche le due Torri di Bologna. Questa è segno di una sensiblità molto avanzata per l’epoca.

Non tutti sanno che D’Annuunzio coniò parole poi diventate di uso comune…

Cero. “Velivolo”, “fusoliera”, “tramezzino”…ben prima del Fascismo D’Annunzio proteggeva la lingua italiana. Passava ore e ore, lui uomo famoso per le guerre e gli amori, studiava il vocabolario: ne possedeva a decine (che io ogni tanto sfoglio). Era alla ricerca della parola perfetta, o da ricreare, per metterla al servizio della lingua.

E non tutti sanno che Giordano Bruno Guerri ha anche fatto l’attore… 

Sì, nel 1998, con Claudia Cardinale nel film di Pasquale Squitieri Stupor Mundi su federico II. Io impersonavo Pier Delle Vigne e Squitieri voleva per me una morte…scenografica: “arruolò” un falcone per uccidermi, ma questo falcone era..un attore “esordiente” come me e non “obbediva”, allora Squiteri ebbe l’idea di mettermi dei bocconcini di carne sulla testa per indurlo a “sbranarmi”…per fortuna quel falcone fu parco!

LEGGI ANCHE: GB Guerri e quel Natale di sangue di cento anni fa

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Carmen Russo: “Alain Delon, bellissimo…ma ero già fidanzata!”

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Carmen Russo: "Alain Delon, bellissimo...ma ero già fidanzata!"

ilgiornale.it

Icona della commedia all’italiana degli anni Ottanta, avvenente sogno per molti uomini e artista completatasi con lo studio e la fatica: lei è Carmen Russo, nata a Genova e cresciuta nel mondo del cinema e della televisione.

Qual è stato il tuo primo film?

Avevo 16 anni e partecipai a un film di Paolo Villaggio, Ecco noi per esempio. Lo feci subito dopo essere stata incoronata Miss Liguria. Sicuramente ero molto bella in quegli anni, ma anche emozionata per quella magnifica opportunità.

Come avevi vissuto prima di quel momento il mondo del cinema?

Ho sempre avuto una vera e propria passione per il cinema. Mia mamma era cassiera in un cinema e papà l’andava a prendere alle 23 tutte le sere; io lo accompagnavo, così mi infilavo  nella sala e guardavo i finali di tutti i film. Mi dicevo: “Io voglio finire lì”

La televisione negli anni Ottanta e oggi: cosa è cambiato e come?

Negli anni Ottanta era una televisione che andava in scena con un copione preciso: era una televisione recitata e preparata. La sigla, il balletto centrale e quello finale rappresentavano il clou di uno spettacolo che veniva preparato per un’intera settimana. Quando vedevo Raffaella Carrà mentre ballava, vedevo uno spettacolo vero e proprio, con venti ballerini che accompagnavano una star. Posso dire che la televisione era cinema.  Oggi la tv è diversa: non che sia peggiorata, semplicemente oggi un artista deve essere capace di attualizzarsi.

Fammi un esempio.

Quando ho fatto L’isola dei famosi, ho capito che lì è emersa la persona Carmen, non il personaggio. Penso di aver conquistato il pubblico per ciò che sono.

Nelle trasformazioni di questi ultimi anni ci sono i “social”: che rapporto hai con questi strumenti?

Li utilizzo da due anni. Mi piace il rapporto diretto con il pubblico: senza alcun filtro rispondo in prima persona. E non è detto che io ed Enzo Paolo non faremo qualcosa insieme utilizzando questo strumento.

Sei genovese: sarai passata centinaia di volte sul ponte Morandi…

Una tragedia immane. Ero ragazzina e lo paragonavo al ponte di Brooklyn per la sua maestosità. Era un simbolo della nostra città come la Lanterna,

Torniamo al cinema. Hai recitato con Fellini nella Città delle donne: hai un ricordo particolare?

Ho fatto una piccola parte, sei secondi, ma è stato straordinario frequentare il Maestro  all’interno dello studio 5 di Cinecittà. Lui mi chiamava “la Russina” perché avevo i fianchi stretti.

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A chi sei riconoscente?

A tante persone, a tutti quelli che generosamente mi hanno aiutato agli inizi di carriera, tra tutti Antonio Ricci. Devo molto a mio marito Enzo Paolo TurchiIo ero una maggiorata e non ero credibile come ballerina: lui mi ha insegnato la tecnica ed io ho imparato. Senza di lui sarebbe stato impossibile. Ci siamo conosciuti nell’estate del 1983 e non ci siamo più lasciati, sia professionalmente che nella vita privata .

Sei sempre stata corteggiata da tanti uomini: a parte tuo marito, chi ti ha colpito?

Alain Delon,  gentile ed elegante. Un uomo bellissimo, ma io ero già fidanzata.

Quale è il tuo più grande successo?

Il più grande successo è Maria, mia figlia.

Carmen Russo: "Alain Delon, bellissimo...ma ero già fidanzata!"

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Renzo Arbore: “Il comunismo? Un bluff”

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AdnKronos

L’ultimo concerto è stato tre giorni fa a Reggio Calabria: l’Orchestra Italiana, in una Piazza del Popolo gremita di persone, un live con due generazioni di pubblico. Un’agenda estiva fittissima quella di Renzo Arbore, cantautore, disc jockey, conduttore radiofonico, clarinettista, showman, autore televisivo, attore, sceneggiatore, regista e compositore, forse il primo disc jockey italiano. Ricordiamo i suoi celeberrimi show – “Quelli della notte” – e i tormentoni – il famoso “cacao maravigliao”. Vi proponiamo una sua intervista cult.  (Redazione).

Cognome Arbore, nome Giovanni Lorenzo. Disc-jockey, autore, regista, sceneggiatore, attore, showman, clarinettista. In una parola: artista. La sua casa romana è una specie di Vittoriale Pop, traboccante di ninnoli, carillon che suonano, foto epiche con dediche, libri, vinili; è luminosa e colorata come lui. Abbiamo parlato di tutto: musica, improvvisazione, televisione, poesia, donne, arte e orto: “Come sono difficili le melanzane, vanno aiutate a crescere. I pomodori invece danno molte soddisfazioni”. Abbiamo mantenuto il “lei” istituzionale a fatica.

Chi é un artista?

Secondo me l’artista ha un tassello in più dello scienziato, che è già il massimo della scala. Il vero artista è un signore fuori ordinanza. Ha un vantaggio rispetto agli altri mestieri: non è razionale. L’artista sfugge alle regole. Fontana fa uno squarcio sulla tela ed è artista come Modugno che canta Lu pisci spada. E siccome siamo in un’epoca di rottamazione voglio dire: l’artista è longevo! Quando sento: “Questo lo rottamiamo, ha fatto il suo corso”, ebbene caro Renzi, Presidente del Consiglio, nel mondo artistico non esiste la rottamazione. Io ho imparato dagli artisti più vecchi di me: Roberto Murolo, Louis Armstrong, Totò, Charlie Parker, Ruggero Orlando. Erano tutti più vecchi di me e sono stati tutti miei maestri. Ancora oggi io guardo al passato. È un arricchimento spirituale, di sapienza, saggezza. In arte non esiste vecchiaia. Alcuni sono spenti e vabbè…

Il principale problema dell’artista è quello di essere accettato. Da figlio di un medico e di una casalinga, com’è nata a Foggia la sua passione per la musica?

Foggia è la città di Umberto Giordano. C’era una banda e tutto il pubblico, tutta la gente di Foggia era melomane. I negozi avevano l’altoparlante e si sentiva musica da tutte le parti. La città di Foggia nel’43 è stata severamente bombardata. Tutti i muratori che ricostruivano la città, cantavano. Io sentivo musica da tutte le parti. Mio padre era melomane, mia madre cantava le canzoni napoletane, mia sorella era soprano. Quando io ho sentito il Jazz ho capito che era molto più importante della canzonetta. Comprai una tromba, poi l’ho ceduta in cambio di un clarinetto. Frequentavo un circolo che si chiamava Tre Bis. Ti puoi immaginare il Tre Bis a Foggia! C’erano gli artisti della mia città. Io ho sempre pensato: “Voglio fare l’artista, non voglio essere un figlio di papà con l’Alfa Romeo”. Prima abbiamo fondato il Jazz College e poi la Taverna del Gufo, un Cabaret dove venivano scritturati Roberto Benigni, Massimo Troisi, Carlo Verdone, Enrico Montesano, Pippo Franco… io suonavo il clarinetto, facevo Dixieland.

E’ vero che è stato il primo a mettere i jeans a Foggia?

Sì. Io ero molto appassionato delle mode americane. Sono sempre stato filoamericano. Ero uno di quei ragazzini che chiedevano le gomme americane ai soldati alleati. Appena arrivati a Napoli, i jeans, li ho presi e portati a Foggia. Mio padre diceva: “Cosa sono questi, pantaloni da elettricista? Senza la piega!”

Suo padre non aveva tutti i torti. Lei canterà poi… Mannaggia a sti’ blue jeans!

Le lotte con i jeans stretti, molto più difficili da sfilare rispetto alle gonne per le ragazze.

Si ricorda il primo amore?

E certo. Non si scorda mai davvero. Mi ha fatto soffrire ed è giusto che sia così. Mi ha dato un carattere sentimentale, appassionato. Sono le emozioni che ti dà la vita. Guai a non avere avuto dolori. Sarei un pirla come molti credono che io sia… (ridiamo)

Nei testi delle canzoni napoletane ci sono molti amori non corrisposti. Un suo amore non corrisposto?

Ci sono stati amori non corrisposti con donne non famose. I testi delle canzoni napoletane poi, sono i testi più belli del mondo, più poetici del mondo. Soltanto in Messico ci sono testi altrettanto poetici. Le canzoni spagnole che conosciamo, non sono né spagnole, né cubane, sono messicane! Paloma, La storia di un amor, ecc… quando parlo con dei veri appassionati di canzoni napoletane, mi commuovo e mi delizio. Non si trovano giovani artisti che amano ancora la vera canzone napoletana. Chi canta oggi le canzoni napoletane antiche, d’autore anzi? Chi? Tra i giovani? Il discorso potrebbe riguardare l’intera canzone italiana. Io amo molto Francesco De Gregori, un vero poeta di ricordi, di emozioni. Oggi le canzoni le usano i giornalisti. Mi tocca leggere Scalfari che titola: Fatti più in là! Gaber, Endrigo, testi meravigliosi che andrebbero studiati a scuola.

E’ cambiata Napoli? Io sono romanticamente ancorato a De Filippo, ma c’è ancora la Napoli di Eduardo?

Napoli é cambiata, ma c’é ancora la Napoli che dici tu. Di Napoli si parla solo in senso negativo. C’è la borghesia napoletana che purtroppo è silente. La borghesia napoletana è ancora un’ottima borghesia: educata, elegante, frequenta i teatri, però prende le distanze dalla Napoli eduardiana, non ne parla. C’è stata una generazione -ne ho parlato con Raffaele La Capria – di grandi borghesi: Rosi, Patroni Griffi… un’altra generazione che si è opposta alla Napoli laurina, pittoresca, ecco che ha dominato una cultura egemone della controreazione. Egemonia, a Napoli specialmente, egemonia culturale dei comunisti!

Ancora dicono: “Non ci piace o’ presepe!”

Sì. Qualcuno ha pure detto che Eduardo era piccolo borghese, ma ti rendi conto? La Napoli per loro, per essere verace, deve essere quella della merda, della povertà, della periferia e della suburra. C’é, ma c’è anche Salvatore Di Giacomo! Ecco di Di Giacomo, questi qui, non ne vogliono sentir parlare.

Parliamo di donne se non le dispiace. Lei ha affinato negli anni, una tecnica di seduzione?

A parte gli amori grandi, di cui non voglio parlare perché mi commuovo, ho avuto dei grandi intervalli. Naturalmente venivo corteggiato da aspiranti modelle. Quando non c’era colloquio tra me e una bellissima ragazza fotomodella friulana, il mio amico Luciano De Crescenzo risolveva parlando lui e sfiniva quella poveretta friulana che non si interessava alle sue avventure di guerra. Io mi rendevo conto della noia di dovermi sciroppare i suoi racconti o i miei di repertorio.

De Crescenzo ha dichiarato: “Il sesso? Fatica tanta, piacere breve, la posizione è ridicola”.

(risata contagiosa) E’ vero. La posizione è ridicola. Con De Crescenzo abbiamo parlato molto di sesso…

La nostra testata si chiama OFF. Un racconto Off a riguardo?

Lo sai come ci siamo conosciuti con Luciano De Crescenzo? Avevamo una fidanzatina in comune. Una furbacchiona che manteneva i contatti tra me che stavo a Sorrento, e lui che stava a Napoli. Il bello è che non lo sapevamo! Lo scoprimmo dopo e diventammo amici! Cosa vuoi, con l’età si diventa più esigenti. Se c’è un incoraggiamento da parte loro, va bene… il feeling intellettuale però è importantissimo. La fotomodella friulana non va al cinema, a teatro, non legge, sport niente, musica o politica neanche a parlarne. Arrampicarsi per cercare una conversazione minima è triste. Con la fotomodella poi non c’è neanche la gastronomia. Non mangiano la parmigiana di melanzane… Io le friulane le adoro, intendiamoci, la mia bambinaia era friulana. La mia prima canzone era in friulano, ma la fotomodella no, perfavore!

La canzone Io faccio o’show a chi era dedicata?

A una ragazza con cui ho avuto un breve ma succoso amore. E veramente l’ho scritta in dieci minuti… con questa ragazza, della quale ero innamorato, andai a una festa di amici, e come succedeva sempre, usciva fuori una chitarra e si cantava e beveva. Questa ragazza a fine serata fa una sfuriata al mio migliore amico, mi rimprovera di aver fatto o’ show!
La mattina dopo chiamo Claudio Mattone e gli racconto tutto. Lui mi fa :” Vediamoci subito!” A casa mia in dieci minuti é uscita Io faccio o’ show! E’ autentica.

Come ha vissuto Renzo Arbore gli anni della contestazione del Sessantotto?

Dolorosamente. Avevo amici sessantottini. Io non condividevo. Ero stato a Berlino Est. Avevo visto la differenza. Le chiacchiere sul comunismo non mi convincevano per niente. Il comunismo è stato un bluff! Raccontavano palle! Gli artisti che arrivavano in Russia, in Unione Sovietica, raccontavano di repressione, censura. Io sono sempre partito dalla libertà. Sopra il mio letto c’è un ritratto di Abramo Lincoln. Confesso di essere a-comunista. Poi nel’68 ho sofferto molto per le morti di poliziotti e magistrati. Quando ho fatto Speciale per voi c’erano tutti i ragazzi divisi in categorie ideologiche di sinistra: i Sanbabilini…ecc, in tribù.

E’ una domanda che ho fatto anche a Boncompagni: come vedevano i dirigenti Rai le vostre improvvisazioni?

Bisognava dare il copione. Ad Alto gradimento lo abbiamo eliminato! Siamo riusciti a dire: “Noi il copione non lo possiamo fare!”. I funzionari non volevano, ma noi facevamo le cassette che poi mandavamo alla Siae.

È nata prima Domenica in o L’Altra domenica?

Ecco bravo. È nata prima L’Altra domenica. Domenica In è nata per contrastare il successo nostro. Hanno visto che c’era una trasmissione che intratteneva il pubblico, dalle due di pomeriggio alle otto, nella prima edizione io e Barendson con Sport e Spettacolo. Abbiamo litigato col Tg2 che si mangiava le nostre cose e abbiamo fatto la trasmissione dalle due alle cinque e mezza.

Come riconosce i suoi fan?

Dai capelli! Io per esempio, ti ho individuato subito, persino musicalmente. Vabbè tu sei un caso raro, perché a quarant’anni ami il Jazz, ma la tua generazione è dance music.

Io sono vintage.

E ho capito, sei anomalo. Ma quello di Bandiera Gialla ha settanta anni! Sono i D’Agostino quelli che si sono formati con Bandiera Gialla e che erano giovani. Tra i sostenitori avevo Renato Zero, la Bertè. Poi ci sono quelli di Alto Gradimento, quelli di DOC come te, quelli di Indietro tutta, vengono tutti ai miei concerti.

E i detrattori li hai individuati?

Alcuni intellettuali che ritengono che io sia frivolo come i programmi che ho fatto.
C’è un gruppetto di snob che mi identificano soprattutto con Quelli della notte e Indietro tutta che sono le trasmissioni di maggiore evasione. Non mi considerano. Qualcuno pensa che il mio amore per la canzone napoletana sia suggerito da un fatto commerciale, ma si astengono dal parlare in pubblico male di me, perché io sono “beniamino” e quindi ci rimettono. La mia era una missione.

Un altro episodio OFF della tua vita che ti commuove?

Ho scelto la canzone di Louis Armstrong per il Festival di Sanremo: Mi va di cantare. E quando Ravera mi portò nel suo camerino e disse: “Questo è il ragazzo che ha scelto la tua canzone”, Armstrong mi ha messo la mano sul cuore. Io ancora oggi non ne posso parlare… (Renzo prende un fazzoletto)
Poi Totò. Sono stato una giornata intera sotto la sua casa, il giorno che Totò è morto. Ero con la mia Cinquecento, ho fatto il giro del palazzo, del quartiere, ma non ho avuto il coraggio di vederlo, di salire. Il mio cruccio di tutta una vita: non ho avuto il coraggio di salire per dare l’ultimo saluto a Totò.

E Ruggero Orlando?

Con Ruggero eravamo amici. Ha fatto una scena nel mio Pap’occhio. Io ero timido, dovevo parlare alla radio e lui era il mio idolo di giornalismo televisivo. Con Ruggero ho superato la timidezza. All’epoca della contestazione, noi avevamo la passione per l’America e ci parlavamo all’orecchio: “Ruggé, ma tu hai capito questi che stanno dicendo?”

Federico Fellini?

A lui era piaciuto moltissimo Pap’occhio. Per il secondo film abbiamo litigato. Poi abbiamo fatto pace. Mi ha scritto una lettera bellissima. La fantasia di Fellini!

Nei suoi programmi il telespettatore è invitato a casa sua, alla sua festa, partecipando attivamente alle vostre goliardate. Non c’è separazione fra lo schermo e la vita reale. Sembra di stare con voi.

La parola goliardia va riletta. C’è la buona e la cattiva. In Quelli della notte era Jazz, totalmente improvvisata. Aveva la liturgia del jazz. Tema, tonalità, Pazzaglia: trombone, una jam session.

Un ricordo di Massimo Catalano e le sue massime?

Ecco Massimo era un jazzista. Tutte le domeniche veniva a suonare a casa mia e si divertiva a giocare. Lui suonava con i Flippers, Vianello, Siamo i Vatussi…Spiritoso, carino, educato. Pensa che dal primo bacio fino alla fine dei suoi giorni, è stato sempre con la moglie. Sempre insieme. Un tuffo al cuore quando lo rivedo in televisione. La “catalanata” l’ho suggerita io. Le ovvietà che si dicono nelle interviste su qualsiasi cosa, elette a sistema. E così nacque la “catalanata”.

Indietro Tutta. Io ero pazzo di Miss Nord. Ma chi era la più bella?

Difficile. Erano davvero tutte belle. Noi volevamo ragazze della porta accanto. Naturalmente Maria Grazia Cucinotta giovanissima, bellissima e serissima, era una delle più belle perché era l’emblema: la ragazza che avresti voluto sposare.

L’invenzione del Cacao Meravigliao! Mi ricordo un cartello da Castroni (nota caffetteria romana, n.d.r): “Non vendiamo il Cacao Meravigliao!”

Tutti torturavano Castroni. Quella fu un’intuizione. Indietro tutta è stata la satira contro la televisione anni Ottanta/Novanta. Il pericolo era: “La televisione la fate voi, da dove chiama?”. Lo sponsor che è il dominus attraverso la pubblicità. Lo sponsor decideva addirittura le ragazze di Fantastico di Celentano! Metteva bocca sulla qualità dello spettacolo. Allora il Cacao Meravigliao…

Uno poi s’é messo a produrlo…

Abbiamo vinto la causa contro un libanese che aveva depositato il marchio. Noi l’avevamo inventato ma non lo depositammo.

Non le chiederò di Mariangela Melato…

La ferita è aperta e sanguinante. Prima o poi parlerò di lei. Mariangela è stata la più grande. Ha fatto sì il cinema, ma ha fatto tutto il Teatro! Le altre grandi attrici non lo hanno fatto. Basta mettere in fila i titoli.

E’ ancora Radicale?

Sono stato Radicale. Parto da Il Mondo di Mario Pannunzio, Ennio Flaiano, Nicolò Carandini. Mi leggevo tutti i giornali di partito cercando un’identità: La Tribuna, La Voce Repubblicana, Mondo Nuovo, La Discussione. I socialdemocratici mi erano simpatici. Ma io resto kennediano!

Dove ti piace passare le vacanze, se le fai?

Da bambino andavo a Riccione, dalla nonna bolognese. Poi a Pescara, Francavilla, sul Gargano… adesso mi piace la bellezza di Ischia. Saranno i bagni caldi, i nove comuni, la cucina napoletana… Ischia!

Convivi con i selfie dei tuoi ammiratori?

Mammamia! Una volta un fan di Caserta Sud voleva una foto con me alla toilette. “Come scusi, al bagno?” “Devo dire a mia moglie che ho fatto pipì con Renzo Arbore!”. Il pompiere di servizio a teatro che ti abbraccia mentre stai per entrare in scena e vuole farsi il selfie! Io però non posso rifiutarmi.

Ultima domanda: lo stesso giochino che ho fatto con Gianni Boncompagni. Arbore presidente assoluto della Tv. Che farebbe?

Io non sono come Boncompagni. Gianni dice il peggio della tv ma c’è un piccolo particolare: non la vede. Io la vedo. Ha bisogno di creatività. Non c’è creatività. Noi che siamo il Paese del gusto, della fantasia, abbiamo delegato a format olandesi.

Con chi ti piace scherzare, improvvisare oggi?

Con Gegé Telesforo. È un jazzista. Abbiamo un repertorio formidabile. Con Gegé non riesco a fare una telefonata normale. Proviamo a chiamarlo?

LEGGI ANCHE: Anch’io ero off: al telefono con Renzo Arbore

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12 settembre 1919, Fiume Città di Vita, di Arte

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Oggi martedì 12 settembre è il 99esimo anniversario dell’impresa di Fiume di Gabriele D’Annunzio e dei suoi invitti legionari. Si chiudeva una delle pagine più appassionate e rivoluzionarie, ma ancora poco studiate a scuola, della storia italiana: l’occupazione di Fiume. D’Annunzio ed i suoi legionari sfidarono i poteri forti dell’epoca, dai quali il governo italiano prendeva ordini, per ribadire la necessità di dare a quei territori quel marchio di italianità che poi non avrebbero più avuto. Vi proponiamo un’intervista fatta a uno che D’Annunzio lo conosce bene, essendo il Presidente del Vittoriale: Giordano Bruno Guerri. Questa intervista è un ritratto dell’eroe di Vienna e di Fiume, ma anche della situazione politica dei nostri giorni a distanza di un secolo. (Redazione)

Edoardo Sylos Labini: Ci racconti un episodio OFF dell’inizio della tua carriera?

GUERRI GIORDANO

giordano bruno guerri

Un giorno ho pubblicato il mio libro su Bottai, che era la mia tesi di Laurea, da Feltrinelli. Ebbe un immenso successo soprattutto di discussioni sollevate, perché per la prima volta si sosteneva e si dimostrava che non solo era esistita una cultura fascista, ma che erano esistiti anche dei fascisti onesti e in gamba come Bottai. Il fatto poi che l’avesse pubblicato Feltrinelli… puoi immaginare l’emozione e il disorientamento che provocò. Un giorno ricevetti una chiamata da un ragazzo a me ignoto, mi disse che aveva letto il libro e avrebbe avuto piacere di incontrarmi con alcuni amici. Andai volentieri a quel pranzo in Corso Sempione, dove trovai e conobbi le menti migliori della Nuova Destra di allora, che erano Solinas, Cabona, Tarchi, e non so quanti altri. La cosa buffissima, che mi fece molto ridere, era che il ristorante – tutt’altro che ‘Nuova Destra’ – era tenuto da un signore in camicia nera che ci salutò con il saluto romano e che aveva l’intero ristorante tappezzato di ritratti di Mussolini. Fu un curioso incontro, abbastanza OFF, mi sembra!

Giordano sei dai anni il Presidente del Vittoriale degli Italiani, la casa museo di Gabriele D’Annunzio, che cosa ha lasciato il Vate all’arte e alla cultura italiana?

D’Annunzio non solo ha lasciato, ma dona ancora. È un tale anticipatore che ha rinnovato la letteratura italiana dell’800 quando pubblicò Il Piacere, subito diffuso in tutto il mondo, quando all’estero nessuno conosceva – e tuttora nessuno conosce – Manzoni. Ha rinnovato la poesia italiana, i rapporti con la borghesia, con la politica, con la vita militare. Soprattutto ci lascia oggi un messaggio molto importante, “Conservare intera la libertà fin nell’ebbrezza” e “Non chi più soffre ma chi più gode conosce”. E qui non si tratta di edonismo, ma di godimento come vita intellettuale libera e gioiosa. Questi sono i suoi messaggi, oltre a quello di guardare sempre avanti, progettare e imporre il proprio futuro, saper far sognare agli altri uomini i propri sogni.

Le battaglie politiche di D’Annunzio oggi sono ancora attuali?

Sono sempre attuali. Contrariamente a quello che si pensa, con questa etichetta di ‘filofascista’ che gli è stata attribuita – perché era un superuomo e quindi aveva adottato il superomismo che poi combaciava in qualche modo con il fascismo – ma era sostanzialmente un libertario e la difesa della libertà dell’individuo deve essere un nostro compito, dovrebbe essere una delle missioni della Destra, peraltro…

D’Annunzio fa di Fiume “Città di Vita, città di Arte”, quella è una pagina molto importante…

È una pagina straordinaria, qualsiasi Paese disponesse di un episodio simile nella propria storia lo avrebbe mitizzato con film, romanzi e quant’altro, invece sembra quasi che ce ne vergogniamo. Fiume fu un’anticipazione del ’68 da destra, perché nello spirito libertario di Fiume e di d’Annunzio c’era anche questa componente superomista, per cui il ‘capo’ era gran parte della cosa, ma Fiume fu un’avventura indimenticabile che insieme al futuro ripercorre il passato dell’Italia, il Rinascimento. D’Annunzio conquistò Fiume come un condottiero rinascimentale e la mantenne come un pirata di oggi.

La musica è un elemento centrale nella Carta del Carnaro?

Sì, nella costituzione c’è la musica come strumento di vita e di elevazione del popolo, che deve essere quasi distribuita, donata nelle scuole e a tutti quanti, così come la bellezza delle città; l’arredo urbano, così chiamato oggi con una definizione tremenda, non è stato inventato dagli assessori dei vari Comuni, ma è stato inventato da d’Annunzio.

Nell’ultima biografia “La mia vita carnale” racconti un D’Annunzio privato, quotidiano, amante: come corteggiava le donne il Vate?

Gabriele D'annunzioLui aveva il grande vantaggio di essere corteggiato, arrivava in un salotto e le donne erano tutte lì a pendere da un suo sorriso – sdentato, peraltro – perché il suo carisma, la sua fama, la sua eleganza, soprattutto il suo eloquio erano tali da incantare tutte quante. Credo che le seducesse con la parola straordinaria di cui disponeva; a trent’anni disse di aver usato, e gli si può credere, 15.000 parole, mentre noi ne usiamo mediamente da 2.000 a 3.000. Faceva sentire le donne regine della propria vita – questo era un dono magnifico – e secondo il suo motto riceveva quel che donava, una dedizione assoluta.

Un aspetto poco conosciuto di D’Annunzio è l’esoterismo, il suo rapporto con l’aldilà. È vero che ti è capitato di metterti in contatto con il fantasma di D’Annunzio al Vittoriale?

Vivo nella casa dell’Architetto Maroni – come tutti i Presidenti quando sono al Vittoriale – dove Maroni, D’Annunzio e Luisa Baccara facevano delle sedute spiritiche e si mettevano in contatto con l’aldilà. Ogni tanto mi passano accanto dei venti, sento dei soffi, però credo fermamente che sia dovuto alle finestre, che sono ancora quelle degli anni Venti!

Un’altra biografia molto importante che hai affrontato è quella di un grande uomo e artista italiano del Novecento, Filippo Tommaso Marinetti…

Marinetti fu l’ultimo uomo importante che vide D’Annunzio vivo; venti giorni prima della morte andò a trovarlo con tutta la famiglia e gli portò un dono magnifico: una scultura che era il doppio comando di un bimotore Caproni con una dedica che diceva: “Noi siamo i motori della nuova Italia”. Ho scritto questi due libri insieme, prima è uscito D’Annunzio e poi Marinetti, perché fanno parte di uno stesso magnifico progetto culturale inconscio della cultura italiana e mondiale. Due innovatori, uno che parte dal passato (D’Annunzio), uno che guarda direttamente al futuro, ma entrambi vogliono cambiare tutto, due rivoluzionari.

All’inizio tra i due correva buon sangue, poi ci fu uno scontro di personalità. Tu citi sempre una battuta bellissima di D’Annunzio nei confronti di Marinetti.

Marinetti lo stuzzicava dandogli del passatista, del vecchio trombone, e D’Annunzio, da grande creatore della lingua, lo fulminò con un epiteto straordinario: ‘cretino fosforescente’. È futurista al massimo!

Secondo te la vita di D’Annunzio è stata più futurista dei Futuristi? Lui veniva nominato ‘passatista’, in realtà la biografia del Vate affronta tutte le tematiche dell’uomo futurista..

Non tutti i Futuristi sono riusciti a vivere una vita futurista, D’Annunzio sì. Basti pensare a quello che ha fatto con il Vittoriale. Si dice che i Futuristi volessero distruggere i musei, non è vero, era una provocazione. D’Annunzio, al rovescio, creò il museo della propria vita che in realtà non è un museo, è il tempo che si è fermato al momento della sua morte per perpetuare la sua vita. Ha progettato il proprio futuro nel mondo dopo la propria morte ed è riuscito a realizzarlo straordinariamente. Il Vittoriale oggi gode di una salute pienissima, ti voglio dire con orgoglio che abbiamo raddoppiato in questi anni i visitatori. Il Vittoriale non produce solo cultura e bellezza, ma anche ricchezza. Credo che D’Annunzio, a 80 anni dalla morte, possa essere contento.

Qui su OFF abbiamo intervistato Mimmo Paladino e Velasco, che hanno collaborato con te.

Sono due donatori del Vittoriale, hanno dato al Vittoriale delle opere straordinarie, Mimmo Paladino il suo cavallo blu, che è diventato quasi un simbolo del nuovo Vittoriale, così dominante sul lago, e Velasco la sua muta di cani che accompagnano D’Annunzio e i suoi dieci compagni seppelliti nel Mausoleo, quindi mi fa piacere questa comunione.

Oggi che cosa farebbe D’Annunzio nella situazione politica italiana?

Verrebbe d’istinto dire che cercherebbe di prendere in pugno la situazione. Purtroppo sono smentito dal fatto che non lo fece nel 1921 quando avrebbe potuto, ma era tale la disillusione di Fiume – ricordiamoci che fu costretto ad abbandonare Fiume a cannonate dal governo in carica di Giolitti in quel tragico “Natale di sangue del 1920” – che si disgustò profondamente e si ritirò al Vittoriale. Chissà, oggi magari non lo farebbe, certo non passerebbe per il Parlamento!

E quelli che accostarono Grillo e D’Annunzio?

Ma per carità, prima di tutto c’è una differenza culturale pari alla Fossa delle Marianne di 11 km. Certo, i grandi eversori sono sempre accostabili, non a caso Grillo tempo fa mise nel suo mitico blog una frase che sembrava totalmente sua ed era di D’Annunzio. Era una frase che incitava alla necessità di rovesciare l’attuale mondo politico per rinnovare tutto, per riprenderci la gioia di vivere, l’economia, la libertà. Erano parole di d’Annunzio che Grillo ha fatto proprie qualche anno fa. Dubito che D’Annunzio avrebbe fatto proprie delle parole di Grillo…

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Elisa D’Ospina: “La tavola è la mia unica droga!”

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Ph. Francesco Zigliotto

Ph. Francesco Zigliotto

Lei è Elisa D’Ospina, la curvy model più celebre d’Italia,  nata a Vicenza nel 1983. Tutor di moda curvy di Detto Fatto su Rai Due fin dalla prima edizione, è alta 1,80 cm e porta la taglia 48, è in prima linea nella battaglia contro l’anoressia e i canoni estetici proposti dalla moda. Vi proponiamo la sua intervista OFF. (Redazione)

La sua opinione su Weinstein e lo scandalo sessuale?

Io penso che denunciare sia sempre la cosa giusta e che se ci fossero state più denunce al momento dei fatti forse ci sarebbero stati meno casi di molestie. Detto questo, l’importante è che la verità sia venuta a galla.

E che cosa pensa dei movimenti #metoo e #TimesUp?

Quando le donne si uniscono sono capaci di scatenare veri e propri tsunami. In Italia bisognerebbe rivedere il sistema giudiziario perché la legge non sempre ci tutela come dovrebbe.

Com’è stata la sua gioventù?

Serena. Avevo moltissime aspirazioni e presto ho iniziato a lavorare, comprendendo quindi il valore del sacrificio e del guadagno.

Ci racconta un aneddoto legato al periodo in cui non era ancora famosa?

Ancora minorenne per pagarmi le ricariche del cellulare lavoravo come commessa in un negozio di telefonia. Mi alzavo alle 5 per andare a scuola perché era molto distante da casa mia, tornavo alle 14,30 e dalle 15 fino alle 19,30 stavo in negozio. Poi, dopo cena, mi dedicavo ai compiti. Sono stati anni faticosi, ma formativi, che mi hanno fatto maturare e crescere.

Si diverte ancora come ai primi tempi nei panni di modella?

A dire la verità fare la modella non mi ha mai divertito molto. Anzi. È stato un treno che mi è passato davanti e che ho preso al volo. Più che lavorare con il corpo mi piace tutto ciò che posso fare con la testa, ecco perché già a 22 anni avevo la mia agenzia di comunicazione.

Lei è una famosa curvy model. A una dieta ferrea non ha mai pensato?

No! Non potrei mai privarmi dei piaceri della tavola. Sono la mia unica droga!

Parliamo di Milano Moda Donna, che si è chiusa da poco. Ha fatto molto discutere la sfilata organizzata da Gucci tempo fa con in passerella i modelli con il calco delle loro teste. Che cosa pensa della scelta di Alessandro Michele?

La moda ha necessità di far parlare di sé. Diciamo che sotto questo punto di vista l’obiettivo è stato raggiunto. Sul buon gusto ci sarebbe invece da discutere…

Ph. Francesco Zigliotto, make up Eros Sansoni

Ph. Francesco Zigliotto, make up Eros Sansoni

Da sempre lei è impegnata nella lotta contro anoressia e bulimia. Com’è stata la situazione nell’ultima Milano Moda Donna?

Non l’ho seguita da vicino perché mi annoia andare alle sfilate. Ho visto i brand che mi interessavano in streaming e notato che finalmente anche l’alta moda ha portato qualche 44 in passerella. Insomma, siamo sulla giusta strada.

Milano Moda Donna non significa solo modelle, location glamour e passerelle, ma anche tante idee di comunicazione. Una delle trovate più interessanti (a ridosso della fashion week) è stata l’apertura di Deisel, il negozio “tarocco” di Diesel…

Alla base della trovata c’è il bisogno di fare parlare di sé. Risultato? Si è passati da un brand fashion Made in Italy conosciuto per la qualità a ungossip brand che punta su iniziative divertenti, ma che non esaltano la qualità che ha reso la moda italiana famosa nel mondo.

Infine, uno sguardo all’attualità. Come vede la situazione della politica italiana?

Lo scenario è scoraggiante. Mi sembra di essere a Porta Portese: tutti urlano spacciando per “vera finta pelle” la plastica. Purtroppo, la smania di potere sta piegando il nostro Paese che è il più bello del mondo. In campagna elettorale non ho sentito nessuno parlare di come si potrebbe risolvere il problema dei rifiuti tossici, per esempio. E poi, chi davvero aiuta i nostri giovani a rimanere in Italia anziché scappare all’estero? Chi garantisce agli over 50 la possibilità di trovare ancora un lavoro dignitoso? Chi si prende la briga di mettere in galera chi sottopaga le persone arrivando a dar loro anche 2 ore l’ora come succede nel Sud? Chi si occupa di liberare le zone in balia dello spaccio e della malavita? Io vorrei in politica persone come Federica Angeli, la giornalista che ha denunciato la mafia ad Ostia. Gente con obiettivi chiari e concreti che pensino al futuro delle nostre generazioni e non a ottenere solo una poltrona per garantirsi un ottimo stipendio.

Ph. Francesco Zigliotto, make up Eros Sansoni Ph. Francesco Zigliotto, make up Eros Sansoni Angelo Antelmi inedito Ph. Francesco Zigliotto

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Meluzzi: “Voglio morire da cristiano penitente e liberale impenitente”

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Alessandro MeluzziAlessandro Meluzzi non è uno che le manda a dire. Soprattutto in questi tempi turbolenti, parlar chiaro e, come direbbero gli Antichi, “cum grano salis”, non è da tutti. Lui è uno dei pochi. Di recente ha pubblicato un video in cui ci mette in guardia dalla deriva dell’informazione “mainstream”: «In questo momento esiste in Italia una grave emergenza nell’informazione. Se voi avete come unica fonte di informazione i telegiornali e i grandi quotidiani, non avrete trovato queste notizie che sono invece fatti». Vi proponiamo il video e, soprattutto, la bella intervista di Ludovico Terzi (Redazione).

In alcuni e precisi momenti della propria vita bisogna essere in grado di dare degli strappi, di mettersi lì, con tutte le forze che ti rimangono, a navigare controcorrente. Hai le onde che ti sospingono indietro, ma tu riesci a nuotare andando sempre più avanti; e questo possiamo dire che è la sintesi della vita di Alessandro Meluzzi, 62, psichiatra, che ha fatto sì che il controcorrente fosse effettivamente la direzione normale, quella di tutti i giorni.

Per iniziare, qual è stato un momento Off della sua vita?

Quando ero ragazzo, nel 1982, ed ero soprattutto un semplice specializzando, organizzai un convegno sullo stress a Torino, che aveva tra gli ospiti Paolo Pancheri, psichiatra di fame internazionale. Quel giorno, nonostante ci fosse un ulteriore convegno organizzato invece dal professor Torre, io lo stesso mostrai il mio aspetto irriverente, accompagnato sempre dal mio animo ribelle e anticonvenzionale.

Anticonvenzionale è stato sicuramente anche nella sua confessione religiosa: prima cattolico, dopodiché ortodosso. Come mai questo cambio?

Il motivo sostanziale di questo cambio è stato l’allontanamento che ho subito dalla Chiesa cattolica, in quanto, secondo loro, non potevo ricoprire la carica di diacono essendo stato membro della massoneria tempo prima. Allora decisi, dopo anni di studi, di subentrare nel ramo ortodosso, che suppongo sia quello più vicino a me.

Oltretutto lei ha avuto un ruolo importante all’interno del contesto politico italiano, essendo stato tra le altre cose anche senatore: com’è cambiata la politica negli ultimi 20 anni?

Prima avevamo un concetto politico basato sulla contrapposizione tra Destra e Sinistra, che pian piano è morta, dando spazio a quella tra globalismo e sovranismo; io sono sovranista, in quanto ritengo che dovremmo avere una maggiore capacità di autodeterminazione.

Quindi riaffermare una nostra identità che va a perdersi?

Sì, sicuramente. Io non sono contro il concetto d’Europa, anzi, noi facciamo parte dell’Europa fino al midollo; ritengo solo che determinate decisioni dovrebbero prendersi possibilmente di più a Roma, in quanto solo noi sappiamo ciò che è realmente giusto per noi. Abbiamo un’identità straordinaria, e dobbiamo preservarla.

Nella sua vita poi ha avuto due persone che le sono state particolarmente vicine, cioè don Gelmini e Francesco Cossiga. Me ne può fare un breve ritratto?

Don Gelmini è stato un uomo di Dio, che ha aiutato moltissimi giovani e che poi, secondo me, ha subito una gigantesca calunnia ed aggressione che non meritava. Cossiga invece è stato un profondo maestro liberale, capace di trasmettere valori che tuttora io stesso seguo.

E che ruolo avrebbero all’interno del contesto politico-sociale odierno?

Posso dire con certezza che ce l’hanno tuttora un ruolo; le opere di don Gelmini ancora oggi hanno un fine ultimo importante, aiutando tantissime persone. Per quanto riguarda Cossiga invece, posso dire che non si può essere europeisti e liberali senza sostanzialmente seguirne il pensiero. D’altronde, come lui stesso diceva: “Voglio morire da cristiano penitente e da liberale impenitente.”.

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Milena Vukotic: “Quella cena con Villaggio e Fellini”

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Quando dissero alla moglie di Villaggio “Signora c’è la moglie di suo marito”

Ph. Graziano Villa

La grazia, l’eleganza e la gentilezza accompagnano ogni gesto e parola di Milena Vukotic, attrice di cinema e di teatro che incontro quest’estate insieme alla mia amica Francesca Fabbri Fellini, erede e nipote del maestro, durante la manifestazione Estate con Fellini, organizzata dall’amministrazione di Desenzano del Garda e dal suo assessore Francesca Cerini.

Milena, quali sono stati i tuoi primi passi nel mondo dell’arte?

Ho iniziato come ballerina. Esordi un po’ anomali, perché nasco figlia di artisti: mia mamma era una pianista compositrice e papà un autore teatrale. A nove anni ero molto magra e così ho iniziato a studiare danza a Londra. Volevo assomigliare a mia mamma, con cui ho avuto un legame assoluto e profondo di amore.

Quindi la danza è stata la prima forma d’arte per te?

Sì, anche se oltre alla danza studiavo teatro a Parigi, dove poi mi ero trasferita con la famiglia.

E la passione per il cinema?

Ho incontrato il cinema guardando La strada di Federico Fellini: fu in quell’occasione che qualcosa si è aperto in me. Ho sentito come dovesse avvenire se un cambiamento importante e ho subito desiderato incontrare il Maestro. Non ho mai avuto grandi parti nei film di Fellini, ma ho potuto assaporare quell’aria di magia visionaria.

Come avvenne l’incontro con Fellini?

Nel suo studio in via della Croce a Roma: avevo una lettera di presentazione che non usai mai perché ci fu subito grande sintonia e simpatia.

Un altro grande del cinema italiano con cui invece hai lavorato è Paolo Villaggio.

Paolo era un uomo misterioso e poco incline alla battuta. Quando mi scelse per il ruolo della Pina (sua moglie in Fantozzi, n.d.r.) mi disse «Non farti venire velleità femminili»: voleva farmi capire che eravamo attori, maschere prestate alla commedia umana.

Hai un ricordo particolare come moglie di Fantozzi?

Andai a casa sua e mi aprì la domestica, che disse a Maura (la moglie di Villaggio, n.d.r.) «Signora, c’è la moglie di suo marito».

Un ricordo con Fellini?

Sono stata la sua assistente per una settimana, sostituendo Liliana Betti, la sua segretaria. Un giorno entrò un gigante in ufficio, lo ricordo ancora, talmente alto che Fellini sembrava minuscolo.

Sei mai riuscita a riunire Fellini e Villaggio?

A tavola. Cucinai io delle fettuccine alle zucchine e una trota al forno. In realtà Federico voleva il pesce persico del lago di Pusiano, ma non lo trovai. Non sono una grande cuoca ma in quella occasione furono tutti contenti. La fantasia di Federico ci fece trascorrere la serata all’insegna del fantasma del pesce persico.

E con Giulietta Masina che rapporto avevi?

Un rapporto di grande tenerezza. Mi considerava come la sua sorellina. Ho un ricordo di una artista tanto grande quanto umile e piena di gentilezza d’animo. Pensi che a Milano si ritirava alla sera in albergo e si cucinava con un fornellino elettrico la sua pastina in brodo.

Adesso stai facendo ancora teatro?

Ho appena finito la terza recita di Autunno di fuoco, per la regia di Marcello Cutugno con Maximillian Nisi. Riprenderemo a novembre.

E il tuo sogno?

Tornare al cinema, un amore nato attraverso Fellini che non mi ha mai abbandonato.

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Giusy Versace: “Sono quasi pronte le mie nuove gambe tacco 9”

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Giusy Versace: "Sono quasi pronte le mie nuove gambe tacco 9"

ph angelo redaelli

Ieri sera  primo appuntamento, al Mondadori Megastore di Piazza Duomo a Milano, di Mondadori OFF, il format di Edoardo Sylos Labini nel corso del quale i personaggi più popolari della cultura e dello spettacolo italiano si raccontano “senza griglie”. Il pubblico è il co-protagonsta della serata, grazie alla possibilità di intervenire con una domanda agli ospiti via Twitter inserendo l’hashtag #mondadoriOFF – e ricevendo una risposta in tempo reale.

A inaugurare la stagione del Mondadori OFF è Giusy Versace, atleta paralimpica, conduttrice tv, deputato della Repubblica Italiana, membro del Direttivo Nazionale di CulturaIdentità, che proprio con Mondadori ha pubblicato il libro Con la testa e con il cuore si va ovunque, al quale è seguito il nuovo libro per ragazzi WonderGiusy, presentato proprio ieri sera.

Ecco l’intervista OFF  di Edoardo Sylos Labini, accompagnato alla chitarra da Daniele Stefani

Parliamo subito della tua nuova avventura come scrittrice: chi è WonderGiusy?

E’ un supereroe con le ali alle gambe. Un’idea che mi ha dato un bimbo che mi osservava con curiosità al campo e che diceva all’amichetto:

quella lì l’ho vista in televisione, le hanno messo le gambe nuove, corre e vince!!

beh, vince perché avrà il telecomando nascosto da qualche parte“, gli ha risposto l’altro.

Così mi sono messa per terra e ho fatto vedere loro come sono le mie gambe. Il bello dei bimbi è che non hanno filtri, mi vedono come un supereroe perché vedono quello che   riesco a fare nonostante quello che mi manca.

L’idea di WonderGiusy era nel cassetto da due anni: è una storia illustrata, mi sono immaginata una giornata in cui Giusy apre l’armadio e sceglie quali gambe mettere, quel giorno sceglie le gambe con le ali per volare verso i bimbi che si sentono emarginati. Vola verso Chris, che osserva le persone da un balcone perché da quando è costretto su una sedia a rotelle gli altri bambini non giocano più con lui. WonderGiusy gli insegna allora quante cosa può fare: andare al mare, giocare, fare sport. Ovviamente nella storia c’è anche un cattivo che ho voluto chiamare Hater, un disabile rancoroso, arrabbiato con la vita e col mondo, che decide di eliminare tutto ciò che porta sorriso e buon umore.

ph angelo redaelli

WonderGiusy nel libro dice a Chris: “La disabilità è soltanto negli occhi di chi guarda“.

E’ la verità e sono proprio i bimbi ad insegnarcelo. Sentire un bambino identificare un disabile come un atleta mi mette i brividi, fa capire quanto lo sport sia veicolo di messaggi importanti.

Quante paia di gambe hai?

12, sto lavorando sul tredicesimo, con tacco 9.

Giusy Versace: "Sono quasi pronte le mie nuove gambe tacco 9" Giusy Versace: "Sono quasi pronte le mie nuove gambe tacco 9" Giusy Versace: "Sono quasi pronte le mie nuove gambe tacco 9"

Nel tuo primo libro Con la testa e con il cuore si va ovunque c’è un capitolo in cui racconti la tua prima volta al mare con la protesi, ce ne vuoi parlare?

Quest’anno festeggio tredici anni con le protesi e nel tempo la mentalità è molto cambiata. Dieci anni fa una bimba in spiaggia era incuriosita dalla mia gamba e quando me la sono staccata per togliere l’acqua del mare, la mamma le ha coperto gli occhi: un pugno sul naso avrebbe fatto meno male. Credo che quella mamma abbia agito un po’ per ignoranza e un po’ per proteggere la figlia a modo suo. Ma proteggerla da cosa? Il dolore va toccato, sentito, elaborato e superato; evitarlo non è la soluzione

Giusy Versace: "Sono quasi pronte le mie nuove gambe tacco 9"

ph angelo redaelli

Perché sei cosi amata dai bambini?

Mi vedono davvero come un supereroe, vedono che mi monto, mi smonto, sembro un giocattolo per loro.

Perché sei entrata in politica?

Ero spaventata, ma sono circondata da persone con il mio stesso entusiasmo. È stata Mariastella Gelmini in particolar modo a volere abbracciare il mio mondo. Ho scelto un partito che fa molto chiacchierare, non sono mancati insulti e pregiudizi, soprattutto sui social, che però vanno presi per quello che sono: dietro a una tastiera sono tutti bravi. Ho apprezzato molto le parole di chi mi ha detto: “non voto per quella parte, ma so chi sei e ti stimo, in bocca al lupo“. Io mi batto per lo sport, per il sud, per le donne, per i giovani, per i diritti di tutti.

Prima dell’incidente non eri un atleta.

Non correvo, ma ero una sportiva. Ora corro perché non posso farlo.

Parli sempre di Domenico e dei tuoi genitori. Quanto è importante la famiglia nella tua rinascita?

La famiglia è fondamentale per tutti. I miei e mio fratello sono diventati le mie stampelle e il mio scudo. Anche le mie migliori amiche sono parte della mia famiglia, le sorelle che non ho mai avuto. Venivano in ospedale e davano il cambio a mia madre la notte. Da soli non si va da nessuna parte, io da sola non sarei mai diventata WonderGiusy.

E’ importante per te la fede?

Sì, la fede mi ha aiutata a non incattivirmi, ad avere la consapevolezza che siamo tutti sotto lo stesso cielo e siamo niente di fronte a Dio.

Un momento molto toccante della tua vita è rappresentato dal discorso che hai tenuto a Lourdes davanti a migliaia di persone. Il momento certamente più significativo è quello in cui ti chiedi: “perché proprio a me“: ce ne vuoi parlare?

In realtà con il tempo ho realizzato che tutti si chiedono “perché a me?“, non solo io. Quando mi è capitato l’incidente avevo 28 anni: ero nel pieno della mia crescita personale e professionale, mi stavo facendo strada nel mondo della moda, lavorando peraltro per la concorrenza. Ho visto tutto questo come un’ingiustizia, come una punizione. Poi sono andata a Lourdes, avevo promesso che se fossi riuscita a camminare sarei andata li a rendere grazie. Quello è il luogo in cui ho avuto il mio primo vero sfogo di pianto, da questo e dalla magia del posto si è fatta strada in me un’altra domanda, la domanda che mi ha cambiato la vita: “perché non a me?” 

Abbiamo fatto insieme uno spettacolo autobiografico in cui raccontavi te stessa; a pochi giorni dal debutto non riuscivi a interpretare la scena in cui parlavi dell’incidente. Ma quanto ti è servito, con il senno di poi, raccontare di quell’incidente, raccontarti in un libro?

E’ terapeutico. Ogni volta che racconto la mia storia mi viene il mal di testa, tuttavia fare un bel percorso senza condividerlo è egoista. Io sento il bisogno di condividere questa storia con gli altri, perché come ha aiutato me penso possa aiutare molte altre persone. 

A marzo di quest’anno hai deciso di entrare in politica: qual è la tua battaglia?

Io non lo volevo fare, temevo di non essere all’altezza. Ad un certo punto però ho sentito che qualcuno stava cercando di abbracciare il mio mondo, e ho capito che fare politica, la politica vera, significa mettersi a disposizione degli altri.

Perché hai scelto di aderire con la tua onlus, Disabili No Limits, al mondo di CulturaIdentità? Che cosa c’entra con la disabilità?

Ho aderito a CulturaIdentità perché sono certa che per cambiare atteggiamento nei confronti della disabilità, nella nostra società,  si debba partire dalla cultura, ci si debba proprio allenare alla cultura. La disabilità è elemento importante di questa società, e solo cambiando approccio culturale possiamo combattere le barriere mentali. Spesso la gente sbaglia non per cattiveria, per ignoranza. 

Giusy Versace: "Sono quasi pronte le mie nuove gambe tacco 9"

ph angelo redaelli

Tu Giusy sei molto legata alla tua identità calabrese: se dovessi diventare Governatore della Calabria cosa faresti?

Sono matta ma non fino a quel punto! Beh sarebbe una battaglia piuttosto complicata: quella è una regione che può dare tantissimo, ma il paradosso è che in quella terra succede che il delinquente esce e gira per la città a testa alta e il disabile invece non esce di casa perché si vergogna.

Sei stata tante cose nella tua vita: sarà arrivato il momento anche di diventare anche mamma?

Secondo voi perché quando una donna arriva a 40 anni tutti le fanno le stesse domande? Diciamo che negli ultimi 10 anni ho avuto altro a cui pensare, ho dovuto ristabilire il mio equilibrio… inoltre io e Antonino viviamo a distanza. Devo dire che io con i bambini ho un bel rapporto perché ci gioco, ci scherzo, ci tolleriamo a vicenda, con uno tutto mio non so però se sarebbe così semplice. Si può generare nella vita in tanti modi, io mi do comunque agli atri. 

Intervista editata da Arianna Bagnato e Rosa Magrino 

Giusy Versace: "Sono quasi pronte le mie nuove gambe tacco 9" Giusy Versace: "Sono quasi pronte le mie nuove gambe tacco 9" Giusy Versace: "Sono quasi pronte le mie nuove gambe tacco 9" Giusy Versace: "Sono quasi pronte le mie nuove gambe tacco 9" Giusy Versace: "Sono quasi pronte le mie nuove gambe tacco 9" Giusy Versace: "Sono quasi pronte le mie nuove gambe tacco 9" Giusy Versace: "Sono quasi pronte le mie nuove gambe tacco 9" Giusy Versace: "Sono quasi pronte le mie nuove gambe tacco 9" Giusy Versace: "Sono quasi pronte le mie nuove gambe tacco 9" Giusy Versace: "Sono quasi pronte le mie nuove gambe tacco 9" Giusy Versace: "Sono quasi pronte le mie nuove gambe tacco 9" Giusy Versace: "Sono quasi pronte le mie nuove gambe tacco 9" Giusy Versace: "Sono quasi pronte le mie nuove gambe tacco 9" Giusy Versace: "Sono quasi pronte le mie nuove gambe tacco 9" Giusy Versace: "Sono quasi pronte le mie nuove gambe tacco 9"

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